Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 24 gennaio 2018, n. 3350. E’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione di congruita’ della pena

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Ritiene il ricorrente che la frase rivolta al militare vada “valutata nella sua concreta oggettivita’”. L’effetto della frase minacciosa proferita, per la difesa, non avrebbe cagionato effetti intimidatori sul soggetto passivo, perche’ non ingenerante timore per la persona offesa, al contrario di quando sia diretta a fare compiere al pubblico ufficiale un atto contrario ai doveri di ufficio mediante l’uso di violenza o minaccia, situazione nella quale si appalesa penalmente rilevante, perche’ diretta a far compiere un atto illegittimo.
Il collegio di secondo grado, viceversa, ha congruamente vagliato il contegno tenuto dal (OMISSIS), che, lungi dal perdere la connotazione di intimidazione, non puo’ essere valutato alla stregua di un improvviso scoppio d’ira sfociato in volgarita’ ingiuriosa, bensi’ nell’ottica della potenzialita’ costrittiva, espressa con giudizio ex ante, del male ingiusto prospettato, contenuto nella frase: “appuntato prima o poi iu ci scippu la testa”; inoltre, costituendo il fatto storico un reato di mera condotta, esso non richiede per il suo perfezionarsi ne’ che il destinatario sia stato in concreto intimidito, ne’ il verificarsi del risultato perseguito dall’agente, il quale, peraltro, secondo le emergenze probatorie risultanti dagli atti, anche dopo aver firmato alle ore 15.28 ed essere uscito dalla caserma, ha continuato ad inveire e gesticolare, nonche’ rivolgere frasi all’indirizzo del militare, anche suonando il clacson ripetutamente.
3. Quanto al secondo motivo di impugnazione, esso appare del pari inammissibile per manifesta infondatezza.
Precisato che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione di congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, Rv. 259142) – ipotesi che nel caso di specie non ricorre – va rilevato che, a fronte del minimo edittale applicato per il reato addebitato e del minimo aumento di un mese per la recidiva contestata (tenuto conto della pericolosita’ sociale e della capacita’ a delinquere manifestate, desunte anche dai plurimi pregiudizi penali annoverati, che hanno anche indotto al diniego delle circostanze attenuanti innominate), l’impugnazione ha genericamente censurato il trattamento sanzionatorio, senza argomentare specificamente perche’, nella prospettiva del ricorrente, dovessero essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche e non applicata la recidiva, non offrendo elementi o circostanze che possano contraddire il giudizio espresso dalla Corte d’appello.
4. Con riferimento al terzo motivo di doglianza – riguardante l’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in violazione dell’articolo 6, par. 3 lettera D, Cedu (norma interposta ai sensi dell’articolo 117 Cost.), articolo 533 c.p.p., comma 1 e articolo 603 c.p.p., rilevata ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e) sostiene la difesa che il ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado e’ avvenuto sulla scorta della mera “rivalutazione cartolare” del verbale di trascrizione dell’unica prova dichiarativa assunta direttamente dal giudice monocratico, senza la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, dedicata alla escussione del teste.
Vale osservare, al riguardo, che la censura e’ stata avanzata in questa sede soltanto con i motivi aggiunti ai sensi dell’articolo 585 c.p.p., comma 4; non aveva formato oggetto di doglianza disattesa in appello, ai sensi dell’articolo 603 c.p.p.; non e’ stato mai messo in discussione che il ricorrente abbia pronunciato l’espressione riportata testualmente in entrambe le sentenze di primo e secondo grado, in nessuno degli atti di impugnazione proposti, discutendosi piuttosto della ricorrenza o meno degli elementi costitutivi della fattispecie in contestazione. Vale riflettere che la formale nuova audizione del carabiniere nulla potrebbe aggiungere sul piano degli apporti cognitivi rispetto a quanto risultante dalla precedente audizione e dalla annotazione di servizio in cui venne trasfusa e compendiata la vicenda. Il cuore della disamina giuridica, allora, non attiene alla categoria ne’ della prova “negata” ne’ della prova che “se espunta possa incidere sull’esito del giudizio”. Non e’ in discussione “l’attendibilita’” della fonte testimoniale di prova, o il “valore” della prova dichiarativa assunta in primo grado, che deve trovare una “legittimazione” in appello, in vista del ribaltamento decisorio attraverso una nuova istruzione orale, attinente alla “storicita’” dell’episodio. Infatti, non e’ contestato che l’imputato abbia pronunciato l’espressione minacciosa addebitatagli, tale da rendere necessario saggiare l’affidabilita’ del dichiarante: la prospettiva – ed in questa ottica si e’ concentrato, con i primi due motivi, il ricorso per cassazione – non e’ quella di dubitare dell’attendibilita’ della persona offesa, bensi’ di connotare la condotta dell’autore alla stregua degli elementi strutturali della fattispecie ascritta, con riferimento alla “interpretazione” della frase espressa dall’imputato, sul piano della idoneita’ o meno a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, per fargli compiere un atto illegittimo e dell’assenza o meno del requisito della minaccia. La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha incensurabilmente valutato trattarsi di una “promessa inquietante” rivolta dal ricorrente al militare, ancorche’ lo stesso non ne sia rimasto intimidito, ha stimato il coefficiente di gravita’ del male prospettato e, tenuto conto del bene giuridico protetto dalla norma, ha soppesato la minaccia come dotata di forza intimidatrice tale da ritenere consumato il reato addebitato. Ne consegue che anche il terzo motivo deve ritenersi inammissibile perche’ tende ad introdurre indirettamente un nuovo apprezzamento del materiale probatorio cristallizzato agli atti, rimesso alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, esente da vizi logici, perche’ basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza.
5. All’inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in Euro duemila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

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