Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2688. Sussiste l’aggravante della connessione teleologica, se l’atto di violenza, con il quale l’agente ha consapevolmente prodotto le lesioni, non risulta fine a se stesso, ma e’ stato posto in essere allo scopo di resistere al pubblico ufficiale

segue pagina antecedente
[…]

La Corte di appello, inoltre, aveva tenuto conto di “alcune circostanze positive circa la personalita’ dell’imputato” soltanto ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, senza valorizzarle anche ai fini della determinazione della pena.
La valutazione delle circostanze obliterate nella sentenza impugnata avrebbe dovuto determinare la prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestate aggravanti e la determinazione della pena in misura sensibilmente inferiore a quella irrogata.
5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi nello stesso proposti si rivelano manifestamente infondati.
6. Manifestamente infondato e’ il primo motivo di ricorso relativo alla erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all’articolo 585 c.p., articolo 576 c.p., comma 1, n. 1, in relazione al reato di lesioni aggravate.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, dal quale non vi e’ ragione per discostarsi, quando la violenza esercitata nei confronti di un pubblico ufficiale per costringerlo ad omettere un atto del proprio ufficio anteriormente all’inizio della sua esecuzione eccede il fatto di percosse e volontariamente provoca lesioni personali in danno dell’interessato, si determina un concorso tra il delitto di violenza o minaccia a pubblico ufficiale e quello di lesioni (Sez. 6, n. 24554 del 22/05/2013, Bertini, Rv. 255734; Sez. 6, n. 7195 del 08/02/2013, Sema, Rv. 254721; Sez. 2, n. 1420 del 14/12/2012, Bertolino, Rv. 254127); per quest’ultimo, inoltre, sussiste l’aggravante della connessione teleologica (Sez. 1, n. 1420 del 23/03/1994, Sibilloni, Rv. 197486), se l’atto di violenza, con il quale l’agente ha consapevolmente prodotto le lesioni, non risulta fine a se stesso, ma e’ stato posto in essere allo scopo di resistere al pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 27703 del 15/04/2008, Dallara, Rv. 240880; Sez. 6, n. 3595 del 23/04/1986, Peressini, Rv. 172638).
6.1. La censura formulata dal ricorrente oblitera, invero, che la aggravante del nesso teleologico non trae fondamento dalla plurima contestazione della medesima condotta, bensi’ ha natura essenzialmente soggettiva e consiste nella consapevole accettazione della consumazione di un reato pur di realizzarne un altro; in tale situazione psicologica non assume alcuna rilevanza il fattore temporale in ordine alla successione ed alla contestualita’ delle condotte criminose poste in essere.
La giurisprudenza di legittimita’, dopo la pronuncia delle Sezioni Unite nel caso Esposito (Sez. U, n. 19 del 29/11/1958, Esposito, Rv. 098052), ha costantemente ribadito che l’aggravante della connessione teleologica e’ applicabile anche nel caso in cui il reato-mezzo ed il reato-fine siano commessi con unica azione (cosiddetti reati contestuali) (ex plurimis: Sez. 6, n. 32703 del 17/04/2014, Bontempo, Rv. 260321; Sez. 6, n. 1272 del 05/12/2003 (dep. 20/01/2004), Colletti, Rv. 229508), giacche’ e’ irrilevante qualsiasi considerazione di ordine cronologico tra un reato e l’altro in ragione del presupposto intenzionale che giustifica la sussistenza del nesso teleologico (Sez. 6, n. 6866 del 17/03/1994, Casasole, Rv. 198746).
6.2. La Corte di appello di Torino, muovendo da tali consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimita’, ha, pertanto, correttamente ritenuto applicabile nella specie l’aggravante della connessione teleologica di cui all’articolo 585 c.p., articolo 576 c.p., comma 1, n. 1, in quanto le lesioni poste in essere dal (OMISSIS) sono state intenzionalmente dirette ad opporsi agli agenti operanti intervenuti per sedare la lite familiare in atto.
7. Manifestamente infondato si rivela anche il secondo motivo di ricorso.
In tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimita’ soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza allorche’ il giudice (Sez. 5, n. 5579 del 26/09/2013 (dep. 04/02/2014), Sulo, Rv. 258874), nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’articolo 69 cod. pen., l’abbia ritenuta la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena in concreto irrogata (Sez. 6, n. 6866 del 25/11/2009 (dep. 19/02/2010), Alesci, Rv. 246134).
Il Tribunale di Torino ha, del resto, concesso all’imputato le attenuanti generiche sulle base delle dichiarazioni ammissive rese dall’imputato in sede di interrogatorio di convalida e sulla resipiscenza dimostrata in tale sede, ad onta della “negativa personalita’ del prevenuto”, documentata dal certificato del casellario giudiziario.
Il diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti e’, invece, stato motivato dalla Corte di appello di Torino, tutt’altro che illogicamente, in ratione della personalita’ dell’imputato, particolarmente violenta ed aggressiva, come dimostrato dalle modalita’ di commissione dei reati, peraltro avvenuta in stato di ubriachezza, e dalle pregresse condanne riportate (per sequestro di persona, per resistenza a pubblico ufficiale e lesione personale, per estorsione e minaccia).
Si rivelano, da ultimo, meramente assertive le deduzioni svolte dal ricorrente in ordine alla illegittima mancata mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Il parametro valutativo della pena e’, infatti, desumibile dal testo della sentenza impugnata riguardata nel suo complesso argomentativo e non necessariamente nella parte destinata alla mera quantificazione della pena (ex plurimis: Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949); in tale prospettiva interpretativa la valutazione di equita’ della pena irrogata e’ stata congruamente motivata nella sentenza impugnata, richiamando le statuizioni del Tribunale di Torino che, nel dare applicazione ai criteri enunciati dall’articolo 133 cod. pen., ha attribuito prevalenza alle specifiche modalita’ di esecuzione dei reati accertati, che denotavano “l’assenza di ogni considerazione da parte del (OMISSIS) delle regole del vivere civile”.
Il ricorrente non ha, peraltro, indicato alcun parametro tra quelli enunciati dall’articolo 133 cod. pen. che i giudici di merito avrebbero indebitamente pretermesso e che, invece, avrebbero dovuto valutare per pervenire ad un maggiore contenimento della misura della pena.
8. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtu’ delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, deve, altresi’, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di duemila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *