Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 24 gennaio 2018, n. 3335. Nell’ambito di una vicenda che ha visto coinvolti alcuni professionisti dell’associazione antiracket per illeciti finalizzati a lucrare finanziamenti statali con falsi rapporti di collaborazione falsi report di attività mai svolte

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Questa Corte ha reiteratamente affermato che ai fini della configurabilita’ del reato di corruzione propria occorre aver riguardo non ai singoli atti, ma all’insieme del servizio reso dal p.u. al privato; per cui, anche se ogni atto separatamente considerato corrisponde ai requisiti di legge, l’asservimento costante della funzione agli interessi del privato concreta il reato di corruzione previsto dall’articolo 319 cod. pen.. L’atto contrario ai doveri d’ufficio non va inteso, dunque, in senso formale, dovendo la locuzione ricomprendere qualsivoglia comportamento del pubblico ufficiale che sia in contrasto con norme giuridiche, con istruzioni di servizio e che comunque violi quegli specifici doveri di fedelta’, imparzialita’ ed onesta’ che debbono essere osservati da chiunque eserciti una pubblica funzione (Sez. 6, n. 3945 del 15/02/1999, PG in proc. Di Pinto e altri, Rv. 213884). Costituiscono, pertanto, atti contrari ai doveri d’ufficio non soltanto quelli illeciti o illegittimi, ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volonta’ del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dall’osservanza di doveri istituzionali espressi in norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza ed imparzialita’ (Sez. 6, n. 30762 del 14/05/2009, Ottochian e altri, Rv. 244530).
Si e’ ulteriormente precisato che integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali spettantigli rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, “ex post”, con l’interesse pubblico in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo e’ costituito dalla “vendita” della discrezionalita’ accordata dalla legge (Sez. 6, n. 23354 del 04/02/2014, Conte, Rv. 260533; n. 6677 del 03/02/2016, Maggiore, Rv. 267187).
Se, dunque, l’illegittimita’ dell’atto puo’ costituire un indice rivelatore della contrarieta’ dello stesso ai doveri di ufficio, ai fini della realizzazione della fattispecie ex articolo 319 cod. pen. assumono rilievo tutti i doveri di ufficio che possono venire in considerazione e tra questi, innanzitutto, quello dell’imparzialita’, bene costituzionalmente protetto, eluso ogni qual volta il pubblico ufficiale agisca anche in funzione di una privata utilita’.
10.1 Nella specie, l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione delle cennate coordinate ermeneutiche, procedendo all’esatto inquadramento giuridico della vicenda investigata sulla scorta di una motivazione immune da criticita’ logiche. Infatti, come evidenziato dal Collegio cautelare, dalle numerose conversazioni telefoniche captate emergono le insistenti pressioni della (OMISSIS) perche’ l’indagato disponesse in tempi brevi il cambio di destinazione d’uso dei locali posti a piano terra dell’immobile concesso in uso all’associazione antiracket e di proprieta’ del Comune di Lecce, presupposto per l’accreditamento come centro di formazione. A tal fine assicurava all’indagato di “avere cinque cose in ballo” in ognuna delle quali ci sarebbe stato “anche lui” e che avrebbero portato “tanta possibilita’ di lavorare e dare lavoro”. Il (OMISSIS), a fronte delle promesse della (OMISSIS), si adoperava non solo per il rilascio del cambio di destinazione d’uso ma, attraverso un conoscente, sollecitava anche il parere della Asl, il 17/3/2015 accompagnava la (OMISSIS) a Bari, ove incontravano la funzionaria regionale dott.ssa (OMISSIS), e successivamente si interessava dell’integrazione della documentazione, sollecitando al responsabile della sicurezza del Comune di Lecce il rilascio delle certificazioni in ordine all’abbattimento delle barriere architettoniche e alla conformita’ degli impianti, anche antincendio, attivita’ tutte esulanti dalle proprie specifiche competenze funzionali e sintomatiche dell’interesse in rem propriam di cui era portatore.
11. Le restanti censure difensive attingono la sussistenza delle esigenze cautelari e i criteri alla base della scelta della misura di massimo rigore e si palesano anch’esse infondate. Il Tribunale del Riesame ha ritenuto a carico del (OMISSIS) sia il rischio di inquinamento probatorio che il pericolo di recidiva, richiamando l’ampia motivazione svolta dal Gip al riguardo ed evidenziando l’oggettivo aggravamento del quadro indiziario per effetto della ritenuta gravita’ degli elementi a sostegno delle ipotesi accusatorie sub CC e DD.
La difesa ha contestato l’operato rinvio per relationem, segnalando che il Gip aveva adottato una motivazione cumulativa, incentrata sulla persona della (OMISSIS), non estensibile all’indagato che pur, essendone a conoscenza, non si era reso responsabile di alcuna interferenza nelle indagini. Quanto al rischio di recidiva, ha lamentato il mancato scrutinio dell’esigenza cautelare alla luce dei parametri di concretezza ed attualita’ normativamente postulati, argomentando, inoltre, che alcuna plausibile giustificazione e’ stata fornita in ordine all’inadeguatezza di misure diverse dalla restrizione in carcere.
11.1 Osserva la Corte che la stessa difesa non revoca in dubbio che in fase di indagini si sia assistito ad un massiccio tentativo di orientare le dichiarazioni di persone informate sui fatti, soprattutto da parte della (OMISSIS), allo scopo di disvelare il meno possibile della gestione dell’associazione antiracket e delle cointeressenze nella stessa. Orbene, se l’esigenza di preservare la genuinita’ della prova deve essere senza dubbio personalizzata, non v’ha dubbio che l’apprezzamento involga l’intero intervento cautelare e in presenza di un addebito di natura associativa quale quello contestato al prevenuto, cui si ascrive il ruolo di promotore ed organizzatore del sodalizio criminoso sub A), non puo’ ignorarsi che la condotta della (OMISSIS) era dettata da un comune e condiviso interesse che non risulta eliso dalla mancanza di dirette iniziative del (OMISSIS), in assenza di un’esplicita presa di distanza dalla coindagata, sintomatica del permanere di vincoli solidaristici confliggenti con l’accertamento giudiziario in corso e suscettibili di fondare in termini di concretezza l’esigenza cautelare in esame.
Questa Corte ha gia’ affermato che il pericolo attuale e concreto per l’acquisizione o la genuinita’ della prova, richiesto per l’emissione di una misura cautelare personale dall’articolo 274 c.p.p., lettera a), e’ riferibile non solo a condotte proprie dell’indagato ma anche a quelle di eventuali coindagati volte ad inquinare, nell’interesse comune, il quadro probatorio emergente nella fase delle indagini preliminari relative ai fatti per i quali si procede (Sez. 3, n. 40535 del 12/10/2007, Russo, Rv. 237556; Sez. 6, n. 41606 del 05/06/2013, Vivolo e altro, Rv. 257598).
11.2 Quanto al rischio di recidiva il giudizio prognostico negativo, fondato sulla pluralita’ degli illeciti ascritti, su modalita’ esecutive sintomatiche di anomia e di intensa proclivita’ a delinquere, la spregiudicatezza nel piegare la funzione ad interessi personali e la capacita’ manipolatoria di colleghi e collaboratori, risulta coerente con il tracciato ermeneutico fissato dalla giurisprudenza di legittimita’ che ha in piu’ occasioni precisato che il requisito dell’attualita’ del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell’articolo 274 c.p.p., lettera c), dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad indicare la continuita’ del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si e’ manifestata la potenzialita’ criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettivita’ del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare e’ chiamata a realizzare (ex multis Sez. 2, n. 18745 del 14/04/2016, Modica, Rv. 266749; n. 26093 del 31/03/2016, Centineo, Rv. 267264).
In punto di adeguatezza della misura devesi aggiungere che il giudizio del tribunale del riesame sull’inidoneita’ degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sulla impossibilita’ di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’articolo 275-bis cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 31572 del 08/06/2017, Caterino, Rv. 270463). Appaiono, dunque, destituiti di pregio i rilievi difensivi in ordine alla possibilita’ di preservare le esigenze ritenute con la misura autocustodiale, avendo l’ordinanza impugnata denegato siffatta opzione in ragione del giustificato convincimento circa l’inidoneita’ del regime alternativo a neutralizzare la spinta a delinquere manifestata dal ricorrente.
12. Alla stregua delle argomentazioni che precedono il ricorso del (OMISSIS) deve essere rigettato con condanna del ricorrente alle spese del grado.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente alla sussistenza delle esigenze cautelari per il primo ed alla gravita’ indiziaria per il secondo, con rinvio al Tribunale di Lecce, Sezione del Riesame, per nuovo giudizio.
Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.
Si provveda ai sensi dell’articolo 28 reg. att. cod. proc. pen..

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