Corte di Cassazione sezione quinta penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2630. La circostanza aggravante della finalita’ di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso

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2. Quanto al secondo motivo, per affermarsene la manifesta infondatezza, basta osservare come lo stesso imputato abbia formulato richiesta di applicazione di pena, ex articolo 444 c.p.p., sulla base della coesistenza dell’aggravante speciale di cui alla L. n. 205 del 1993, articolo 3 con l’attenuante comune di cui all’articolo 62 c.p., n. 2 (v. istanza integrativa per applicazione pena patteggiata del 12 dicembre 2016) per cui ora non puo’ dolersi di una loro pretesa incompatibilita’ posto che, con la richiesta di patteggiamento, l’imputato oltre a rinunciare ad eventuali nullita’, che non riguardino la formazione del consenso, manifesta la volonta’ di dare esecuzione all’accordo con la Parte Pubblica in tema di quantificazione della pena come risultante, altresi’, dal concordato gioco di bilanciamento tra le circostanze dell’ascritto reato.
Comunque, la circostanza aggravante della finalita’ di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso e’ configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulti intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorita’ di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente (v. da ultimo, Cass. Sez. 5, 8 febbraio 2017 n. 13530).
Conseguentemente, contrariamente a quanto richiesto dalla difesa con il suddetto motivo di ricorso, non appare applicabile la pacifica giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. Sez. 5, 26 gennaio 2010 n. 17686) in tema d’incompatibilita’ tra l’attenuante della provocazione e l’aggravante dei futili motivi poiche’ non e’ possibile la coesistenza di stati d’animo diversi nella medesima azione.
Invero, una cosa e’ la coesistenza nella medesima azione criminosa di stati d’animo contrastanti mentre altra cosa e’ la coesistenza tra uno stato d’animo che attenui la gravita’ del fatto e una condotta, destinata a rendere percepibile all’esterno un sentimento d’odio, senza che assuma rilievo la mozione soggettiva dell’agente: il tutto a non voler considerare, secondo quanto affermato dallo stesso ricorrente (v. pagina 6 del ricorso), il lasso di tempo intercorrente tra le espressioni razziste pronunziate dall’imputato e la reazione aggressiva della vittima, che vale a rendere insussistente la pretesa contemporanea coesistenza di situazioni soggettive diverse.
3. Ulteriormente pretestuoso e’ il motivo particolare di doglianza, contenuto nella memoria defensionale 22 novembre 2017, relativo alla parzialita’ del contenuto della requisitoria scritta del Procuratore Generale presso questa Corte Suprema poiche’:
a) non esiste obbligo alcuno di requisitoria scritta nei procedimenti camerali non partecipati, come affermato dalla stessa difesa del ricorrente (v. le citate, Cass. Sez. 1, 19 novembre 1991 n. 4355 e Sez. Un. 17 dicembre 2015 n. 51207);
b) in ipotesi di requisitoria scritta non puo’ imporsi alla Parte Pubblica di prendere posizione su qualsiasi doglianza della difesa, potendo la stessa soprassedere su quelle ritenute manifestamente infondate;
c) il Collegio non e’ vincolato dalle conclusioni della Procura Generale, potendo legittimamente andare di contrario avviso alle stesse.
4. La ritenuta inammissibilita’ del ricorso comporta le conseguenze di cui all’articolo 616 c.p.p., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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