Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 16 gennaio 2018, n. 1822. Non e’ applicabile la disciplina dettata dall’articolo 254 c.p.p., con riferimento a messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro

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1. Va premesso che la questione dell’interesse ad impugnare, coltivato dalla ricorrente con il primo motivo, e’ stato risolto dalle Sezioni Unite con una decisione intervenuta dopo la presentazione del ricorso.
Si e’ affermato il principio che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico – nel caso in cui ne risulti la restituzione previa estrazione di copia dei dati ivi contenuti – e’ ammissibile soltanto se sia dedotto l’interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilita’ dei dati (Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497).
Nella specie il tenore complessivo del ricorso lascia emergere la sussistenza di un interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilita’ dei dati, collegato alla dedotta natura personale e riservata degli stessi.
2. Ferma, dunque, l’ammissibilita’ del ricorso, si ritiene che i motivi dedotti siano privi di fondamento.
3. Il primo motivo e’ infondato.
I dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagata (sms, messaggi whatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio cellulare) hanno natura di documenti ai sensi dell’articolo 234 c.p.p.. La relativa attivita’ acquisitiva non soggiace ne’ alle regole stabilite per la corrispondenza, ne’ tantomeno alla disciplina delle intercettazioni telefoniche.
Secondo l’insegnamento della Corte di legittimita’ non e’ applicabile la disciplina dettata dall’articolo 254 c.p.p., con riferimento a messaggi WhatsApp e SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro, in quanto questi testi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un’attivita’ di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito (Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991).
Non e’ configurabile neppure un’attivita’ di intercettazione, che postula, per sua natura, la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, mentre nel caso di specie ci si e’ limitati ad acquisire ex post il dato, conservato in memoria, che quei flussi documenta.
4. Il secondo motivo e’ del pari infondato.
4.1 I principio di proporzionalita’ e adeguatezza non e’ invocabile nella specie, poiche’ l’acquisizione di dati informatici mediante la cd. copia forense e’ una modalita’ conforme a legge, che mira a proteggere, nell’interesse di tutte le parti, l’integrita’ e affidabilita’ del dato cosi’ acquisito.
La Corte di cassazione, intervenendo in un caso analogo a quello oggetto del presente scrutinio, ha gia’ avuto occasione di chiarire che non merita censura, sotto il profilo dell’adeguatezza e proporzionalita’, il sequestro di supporti contenenti dati informatici poi restituiti, previa estrazione di copia integrale della relativa memoria, poiche’ “l’attivita’ di analisi per la selezione dei documenti contabili e’ particolarmente complessa investendo in toto l’attivita’ imprenditoriale dell’indagato. Ne’ le operazioni di estrazioni di copia dei documenti rilevanti a tal fine avrebbe potuto essere condotta in loco in un limitato arco temporale, investendo l’attivita’ di selezione una significativa attivita’ di studio e analisi proprio al fine di un’eventuale selezione” (Sez. 5, n. 25527 del 27/10/2016, dep. 2017, Storari, in motivazione).
La doglianza sollevata dalla difesa in merito alla acquisizione di copia anche di documenti non rilevanti e, comunque, non sequestrabili siccome non pertinenti al reato o addirittura relativi al mandato difensivo, non inficia la validita’ del provvedimento di sequestro, e dunque non puo’ trovare rimedio in questa sede.
4.2 In merito alla questione del sequestro di informazioni scambiate tra indagata e difensore, e’ sufficiente osservare che, non vertendosi in tema di sequestro di corrispondenza per le ragioni esposte al punto 2, e’ inconferente il richiamo al divieto di cui all’articolo 103 c.p.p., comma 6.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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