Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 8 febbraio 2018, n. 6138. La titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante

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6. Come sostenuto dal ricorrente, la titolarità della posizione di garanzia-certamente rivestita dal P. , destinatario dell’obbligo di controllo dell’arrestato nella camera di sicurezza, posto a tutela dell’incolumità del detenuto- non implica un automatico addebito della responsabilità colposa per il prodursi dell’evento, in forza del principio della verifica concreta sia della prevedibilità ed evitabilità del medesimo, che del nesso causale tra l’omissione e l’evento.
8. L’art. 177 del regolamento generale dell’Arma chiarisce che la sorveglianza degli arrestati provvisoriamente detenuti in caserma ha principalmente due scopi: la sicurezza della salute della persona -in particolare la tutela della sua vita da atti anticonservativi – e la necessità di evitare l’evasione.
Il regolamento introduce un dovere generale di controllo dell’atteggiamento del rinchiuso rimettendo alle condizioni del soggetto una frequenza maggiore di quella minima determinata in due ore (art. 170.1), che diventa ininterrotta quando il detenuto sia pericoloso (art. 170.2), ma che, d’altrò canto, non consente di ‘disturbare’ il detenuto, tanto che durante la notte si prevede che, prima dell’apertura dello sportello, il militare di servizio debba origliare.
Nondimeno, se l’art. 170.1 dispone la frequenza dei controlli attraverso lo sportello, l’art. 171 specifica che ‘quando la camera di sicurezza non presenti la necessaria garanzia, vi sia qualche detenuto pericoloso, dovrà essere comandato un secondo militare di servizio il quale si alterna con il primo a sorvegliare i detenuti con lo sportello sempre aperto’.
Dalla complessiva lettura delle norme si trae, dunque, che la norma sulla conformazione dello sportello e sulla sua chiusura non ha quale scopo quello di preservare dal pericolo di atti anticonservativi, assicurato, invece, dalla frequenza dei controlli, ma quello, da un lato, di evitare i contatti con l’esterno e dall’altro, di mantenere la riservatezza del ristretto, diritto che viene meno, come chiarisce l’art. 171, quando il detenuto sia pericoloso o quando la camera di sicurezza non presenti le necessarie garanzie contro l’evasione. È in queste ipotesi che il regolamento impone una vigilanza ‘a vista’, a mezzo l’apertura dello sportello, da tenersi altrimenti chiuso per le ragioni chiarite dalla disposizione precedente.
Che la presenza dello sportello abbia una funzione diversa da quella di preservare la salute del detenuto, come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, emerge con chiarezza anche dalla sua posizione sulla porta di chiusura della camera di sicurezza, essendo il medesimo, per ovvie ragioni, posto ad altezza d’uomo, al fine di consentire l’ispezione. È chiaro, infatti, che una simile collocazione rende di per sé molto difficile l’impiccagione.
Fatte queste premesse, non può certamente ritenersi che mantenendo aperto lo sportello il brigadiere abbia violato una disposizione specificamente rivolta ad evitare il suicidio del ristretto, avendo al più violato il suo diritto alla riservatezza, per ragioni di non minore importanza, quali assicurare il benessere del medesimo, stante l’elevata temperatura estiva e le condizioni irregolari della cella rispetto allo standard richiesto per la salvaguardia della salute. Tutte circostanze delle quali i giudici di merito danno atto.
Ecco, allora, che considerando anche le altre emergenze risultanti dal provvedimento, l’evento si presentava in concreto altamente improbabile perché – ed anche di questo si dà atto, benché se ne affermi l’irrilevanza- le condizioni del detenuto non mostravano alcun segno di turbamento psichico ed anzi il detenuto si presentava tranquillo, mentre in modo de tutto regolare erano stati svolti i controlli previsti dall’art. 170.1 del Regolamento dell’Arma, tanto che una frequenza inferiore a quella minima prevista non era stata suggerita neppure suggeriti dal maresciallo con il quale l’imputato aveva effettuato l’ultima ispezione.
3. Va, dunque, esclusa la configurabilità della colpa, sotto il profilo dell’insussistenza della concreta prevedibilità del gesto autosoppressivo.
4. La sentenza va pertanto annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato

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