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[…]
2.1. Questa Corte ha chiarito, in tema di omicidio del consenziente ex art. 579 cod.pen., che il consenso della vittima è elemento costitutivo del reato, di tal che, ove il reo incorra in errore sulla sussistenza del consenso, deve trovare applicazione la previsione normativa dell’art. 47 secondo comma cod.pen., in base alla quale l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso, che nel caso di specie è costituito dal delitto di omicidio volontario ex art. 575 cod.pen., del quale pertanto deve rispondere l’agente; il consenso della persona offesa, infatti, incide sulla tipicità del fatto punito dall’art. 579 cod.pen., e non sulla sua antigiuridicità (a titolo di esimente ex art. 50 cod.pen.), con la conseguenza che non può trovare applicazione nella fattispecie – la disciplina dell’errore sulla sussistenza di una causa di giustificazione prevista dall’art. 59 quarto comma cod.pen. (Sez. 1 n. 12928 del 12/11/2015, Rv. 266409), infondatamente invocata dal ricorrente.
Alla stregua dei suddetti principi di diritto, che devono essere ribaditi, le argomentazioni del ricorrente intese a censurare l’omessa (o inadeguata) valutazione, da parte della sentenza impugnata, di una serie di elementi di fatto che sarebbero idonei a dimostrare il convincimento dell’imputato di aver agito, nel commettere l’omicidio del figlio disabile, col consenso della vittima, si rivelano del tutto inconferenti.
2.2. Sotto un ulteriore profilo, la Corte di merito ha correttamente valorizzato la patologia (anche) psichica da cui era affetta la vittima R.A. , sofferente di un ritardo cognitivo aggravato da disturbi psicotici e del comportamento, al fine di escludere – comunque – la stessa configurabilità di un valido consenso della persona offesa alla propria eliminazione fisica.
L’art. 579 terzo comma n. 2 cod.pen. prevede, infatti, che debba trovare applicazione la disposizione relativa all’omicidio volontario, ex art. 575 cod.pen., allorché il fatto sia commesso in danno di una persona che versi in condizioni (patologiche) di deficienza psichica; perché sia configurabile il meno grave reato di cui all’art. 579 cod.pen., occorre che il consenso della vittima alla propria soppressione costituisca il frutto di una deliberazione pienamente consapevole, non inquinata nella sua formazione da un deficit mentale di natura patologica, dovendo altrimenti riconoscersi – in tutti i casi in cui manchi una prova univoca, chiara e convincente di una libera ed effettiva volontà di morire manifestata dalla vittima – assoluta prevalenza al diritto alla vita, quale diritto personalissimo, riconosciuto come inviolabile dall’art. 2 Cost., che non può attribuire a terzi (anche se si tratti di stretti congiunti) il potere di disporre, in base alla propria percezione della qualità della vita altrui, dell’incolumità e dell’integrità fisica di un’altra persona (Sez. 1 n. 43954 del 17/11/2010, Rv. 249052).
3. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato, fino a rasentare l’inammissibilità.
Premesso che, nel caso di specie, appare difficilmente configurabile la stessa sussistenza di un interesse dell’imputato ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante che è stata ritenuta subvalente nel giudizio di comparazione con le concorrenti circostanze attenuanti, in presenza di una pena che è stata determinata dalla sentenza impugnata a partire dal minimo edittale previsto dall’art. 575 cod.pen. di anni 21 di reclusione, con successiva applicazione nella misura piena di un terzo della diminuente per le riconosciute attenuanti generiche (Sez. 4 n. 20328 dell’11/01/2017, Rv. 269942), non è certamente erronea o incongrua la motivazione con cui la Corte di merito ha ritenuto sussistente l’aggravante – di natura oggettiva (Sez. 1 n. 712 del 2/12/2010, Rv. 249422) – della minorata difesa, ex art. 61 n. 5 cod.pen., in relazione alle circostanze di tempo e di luogo della consumazione del reato e delle condizioni personali della vittima, pacificamente conosciute dall’imputato agli effetti dell’art. 59 secondo comma cod.pen., essendo stato commesso l’omicidio in orario notturno all’interno di un’abitazione privata in danno di una persona tetraplegica sostanzialmente incapace di difendersi, soffocandola nel sonno con un cuscino.
4. Il terzo motivo di doglianza è inammissibile, in quanto si risolve in una generica censura di fatto sulla misura della pena, che è stata contenuta dalla Corte di merito, nel corretto esercizio dei poteri discrezionali attribuiti dagli artt. 132 e 133 cod.pen., in misura prossima ai minimi edittali, anche per quanto riguarda l’aumento di anni 1 mesi 6 di reclusione (prima della riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato) applicato per la continuazione con l’omicidio della moglie consenziente, così da rendere il richiamo al criterio dell’adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod.pen., comunque sufficiente a soddisfare l’obbligo di motivazione sul punto (Sez. 2 n. 28852 dell’8/05/2013, Rv. 256464).
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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