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La giurisprudenza di legittimita’ ha puntualizzato da tempo che il prestigio dello Stato, dei suoi emblemi e delle sue istituzioni rientra tra i beni costituzionalmente garantiti, per cui si pone come limite ad altri diritti costituzionalmente protetti e la sua tutela non e’ in contrasto con gli articolo 9 e 10 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, in quanto esplicativi degli articolo 21 e 25 Cost. (Sez. 1, n. 6822 del 14/06/1988, dep. 1989, Paris, Rv. 181275); ha rappresentato che l’elemento soggettivo del delitto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel dolo generico, e quindi nella coscienza e volonta’ di esprimere offensivi e aggressivi giudizi nei confronti delle istituzioni tutelate, con l’intenzione di produrre l’evento costituito dalla pubblica manifestazione di disprezzo delle stesse, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possano aver indotto l’agente a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato (tra le altre, Sez. 1, n. 5864 del 01/02/1978, Salviucci, Rv. 139008; Sez. 1, n. 6144 del 07/03/1979, Gatti, Rv. 142461 Sez. 1, n. 28730 del 21/03/2013, Di Maggio, Rv. 256781); ha osservato che la bandiera nazionale e’ penalmente tutelata dall’articolo 292 c.p. non come oggetto in se’, ma unicamente per il suo valore simbolico, suscettibile, per sua natura, di essere leso anche da semplici manifestazioni verbali di disprezzo, la cui penale rilevanza, ai fini della configurabilita’ del reato, richiede quindi soltanto la percepibilita’ da parte di altri soggetti e non anche la presenza della “res”, da riguardarsi, in quanto tale, come del tutto indifferente (Sez. 1, n. 48902 del 29/10/2003, Galli, Rv. 226460); ha rimarcato la continuita’ strutturale delle fattispecie criminose, dopo la modifica introdotta dalla L. 25 febbraio 2006, n. 85, articolo 5, con la previsione di una diversa modulazione delle sanzioni in precedenza previste (Sez. 1, n. 22891 del 06/06/2006, Di Costanzo, Rv. 234279); ha messo in evidenza che, ai fini della sussistenza dell’indicato delitto, e’ necessario che la condotta di vilipendio si concretizzi in un atto di denigrazione di una bandiera nazionale e non anche di un’altra cosa che ne riporta i colori (Sez. 1, n. 23690 del 04/05/2011, Klotz, Rv. 250445).
6. La Corte di appello, che ha condiviso la identificazione -nella bandiera spazzata via con la scopa – della bandiera nazionale italiana, gia’ ritenuta dal Tribunale e da questa Corte con la sentenza che ha rigettato il ricorso ex articolo 325 c.p.p. relativo al sequestro preventivo dei manifesti in oggetto (Sez. 1, n. 23690 del 04/05/2011, citata), ha sottolineato, in via interpretativa del manifesto rappresentativo della “scopa che spazza via il Tricolore”, che la bandiera italiana doveva fare posto a quella tirolese e simboleggiava, per i seguaci del “(OMISSIS)” la indesiderata presenza dello Stato italiano nella provincia di Bolzano.
6.1. Tale premessa segue linee concordanti con quelle del Tribunale, che sviluppandola, l’ha, poi, raccordata con altre emergenze (quali la fotografia pubblicata nel quotidiano “(OMISSIS)”, raffigurante gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) nell’atto di tenere in mano il manifesto e una scopa; la dichiarazione degli organizzatori della iniziativa riportata nel comunicato stampa dello stesso quotidiano “(…) pienamente consapevole e’ stata la scelta del simbolo nazionale della bandiera tricolore come simbolo per l’Italia al fine di esprimere in modo inequivocabile che la critica non e’ rivolta agli italiani in (OMISSIS), bensi’ contro lo Stato italiano”; la diffusione dei manifesti a livello provinciale), ritenendo la bandiera italiana disprezzata e degradata, spazzata via con la scopa chiaro simbolo di pulizia, ed equiparata alla sporcizia da spazzare; apprezzando la irrilevanza della dedotta importanza della scopa o del termine “Kehraus”; giudicando decisiva l’immagine trasmessa all’opinione pubblica dalla raffigurazione della scopa che spazza via come sporcizia la bandiera, la cui reputazione e onore, insieme allo Stato e alle sue istituzioni, sono oggetto della tutela penale e di diritti tutelati costituzionalmente, al cui interno anche la liberta’ di opinione trova i suoi limiti, e, ritenendo che, accanto all’elemento oggettivo del reato, cosi’ ricostruito, vi fosse anche l’elemento soggettivo del dolo generico, risultante dal contenuto del manifesto raffigurante una immagine oggettivamente ingiuriosa.
6.2. Con tali argomenti doveva correlarsi la Corte di appello, confutandoli ovvero condividendoli e dando conto delle ragioni della relativa incompletezza in fatto e/o incoerenza in diritto, delineando le linee portanti del proprio ragionamento probatorio e declinando gli elementi del contestato reato in linea con i pertinenti principi di diritto.
Tali principi implicavano sia l’astrazione dai motivi della commissione del fatto ascritto, sia la verifica della riconducibilita’ dello stesso alla fattispecie prevista dalla norma incriminatrice, sia la verifica della coscienza e volonta’ dell’azione in relazione al confermato elemento oggettivo del reato, all’affermato, e non chiarito, ricorso al concetto di “Kehraus”, alla plastica descrizione del manifesto e alla significativita’ del suo contenuto per “i concittadini italiani, ai quali nei vari comuni della provincia di Bolzano il manifesto non passava inosservato (e che) non potevano che vedere in questa rappresentazione un’offesa alla bandiera nazionale (…)”, pur nell’affermata incomprensibilita’ per i piu’ di comprendere le convinzioni politiche dei rappresentanti del “(OMISSIS)”.
6.3. Ne’ le svolte considerazioni sono incise dai riferimenti fatti, nell’interesse dei ricorrenti con memoria difensiva e ribaditi nel corso della discussione odierna, alla nota giurisprudenza costituzionale ed Europea in punto di tutela del diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo, perche’ l’esercizio di tale diritto non puo’ trascendere in espressioni di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l’onore dello Stato, dei suoi emblemi e delle sue istituzioni pure tutelati con valenza primaria, ovvero in offese grossolane e brutali prive di correlazione con una critica obiettiva (tra le altre, Sez. 1, n. 10173 del 13/06/1979, Marchesini, Rv. 143539; Sez. 1, n. 6822 del 14/06/1988, citata; Sez. 1, n. 28730 del 21/03/2013, Di Maggio, Rv. 256780).
7. Conclusivamente, per le ragioni espresse e in coerenza con quanto rappresentato, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Trento, che procedera’ a nuovo giudizio, in piena autonomia di apprezzamento, ma con motivazione immune da vizi logici e giuridici.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Trento

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