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2. All’esame delle censure proposte e che attengono al merito della decisione, deve premettersi il richiamo, come criterio metodologico, conseguente alla intervenuta modifica del giudizio di responsabilita’ da parte della Corte di appello, che ha riformato in senso assolutorio nei confronti degli imputati la sentenza di condanna di primo grado per il reato loro ascritto, alla condivisa giurisprudenza di legittimita’, alla cui stregua, in detta ipotesi, il giudice di appello non puo’ limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito in seguito per offrire, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte (tra le altre, Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012, Ingrassia, Rv. 254617; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, Hamdi Ridha, Rv. 257332; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327).
Tale opzione interpretativa e’ stata ribadita dalla giurisprudenza (tra le altre, Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, dep. 2017, D L., Rv. 269523; Sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, Mangano, Rv. 268948; Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C., Rv. 270149), successiva al recente arresto delle Sezioni Unite, che – chiamate a risolvere, a fronte di talune divergenti interpretazioni delle sezioni semplici, il profilo della rilevabilita’ d’ufficio, in sede di giudizio di cassazione, della violazione dell’articolo 6 CEDU ove il giudice di appello avesse riformato la sentenza assolutoria di primo grado, affermando la responsabilita’ penale dell’imputato, esclusivamente sulla base di una diversa valutazione di attendibilita’ delle dichiarazioni di testimoni senza procedere a nuova escussione degli stessi- hanno anche rimarcato, ampiamente dando conto degli orientamenti nel tempo, in tema di c.d. overturning, della giurisprudenza di legittimita’ e della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che “il ribaltamento in senso assolutorio del giudizio di condanna operato dal giudice di appello, pur senza rinnovazione della istruzione dibattimentale, e’ perfettamente in linea con la presunzione di innocenza, presidiata dai criteri di giudizio di cui all’articolo 533 c.p.p.”, salvo il dovere di “motivazione rafforzata” (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486/267492, n.m. sul punto).
3. Alla luce della indicata premessa metodologica la sentenza impugnata non si sottrae alle censure mosse con il ricorso, che attengono alla struttura logica e giuridica della sua motivazione contestandone la idoneita’ a esprimere, in termini concreti, congruenti e compatibili con le risultanze processuali, le ragioni giustificative della riforma della sentenza di condanna di primo grado.
La questione posta, senza involgere la ricognizione delle evidenze disponibili, date per presupposte nel ricorso e nella sentenza impugnata, riguarda in particolare l’apprezzamento dell’elemento soggettivo del reato, che la Corte di appello ha escluso valorizzando, sotto concorrenti profili, la convinzione dei rappresentanti del “(OMISSIS)”, indicata come espressione del diritto di liberta’ di opinione politica, della scissione della provincia di Bolzano dal resto del territorio nazionale; l’idea del “Kehraus”, cui gli imputati si sono richiamati, intesa “come un “porre fine” o “rimuovere” il potere statale italiano dalla provincia di Bolzano e sostituirlo con l’unico governo dei rappresentanti del popolo sudtirolese”; la “imprudente e sconsiderata, quindi negligente, mancanza di intelligenza politica” da ravvisarsi nel comportamento degli imputati; la mancanza negli stessi della “competenza giuridica per la concretizzazione delle convinzioni politiche” e la loro omessa considerazione della incapacita’ di “una gran parte della popolazione (…) di comprendere la rappresentazione simbolica delle convinzioni politiche”; la esclusa ravvisabilita’ di “alcuna offesa premeditata e inequivocabile alla bandiera italiana”, e, per l’effetto, dell’ascritto vilipendio.
4. In fatto deve rilevarsi che il manifesto contestato, che in plurimi esemplari (600/800) e’ stato affisso in vari comuni della provincia di Bolzano tra il 4 ottobre e il 15 ottobre 2010, in occasione del novantesimo anniversario dell’annessione dell'(OMISSIS), e’ descritto specificamente nella sentenza impugnata nei seguenti termini:
“(…) nella parte superiore, su sfondo rosso si trova il titolo âEuroËœ90 anni di annessione, 90 anni di ingiustizia, scritto con caratteri bianchi e su un’unica riga, in basso, con caratteri due volte piu’ grandi, su tre righe, l’enunciato politico “Sudtirol puo’ fare a meno dell’Italia”. Nel punto di passaggio tra lo sfondo rosso e quello bianco e’ collocato l’emblema rotondo del movimento con la scritta “(OMISSIS)” e, separata da una linea perpendicolare di colore nero, la scritta a caratteri piu’ piccoli “freies Bundnis fur Sudtirol”. Nel margine superiore sinistro del manifesto inizia a vedersi il manico di legno della scopa di saggina la cui estremita’ inferiore, costituita dalle setole, e’ raffigurata tra la bandiera sudtirolese e la bandiera italiana nell’atto di spazzare via il tricolore. Il lato esterno destro delle setole di saggina sono in ombra e la fascia bianca del tricolore presenta alcune velature grigie. Gli altri colori risultano vivaci e cangianti. (…) la bandiera bianco-rossa del Tirolo raffigurata nell’immagine prosegue il suo tracciato trasformandosi inequivocabilmente nella bandiera italiana, anche se quest’ultima risulta parzialmente coperta (…)”.
5. Si rileva in diritto che a norma dell’articolo 292 c.p., comma 1, “chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato e’ punito(…)”, e a norma dell’articolo 12 Cost. “la bandiera della Repubblica e’ il tricolore: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
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