Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 1 febbraio 2018, n. 5003. In tema di reato continuato

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Chi invoca, in sede di esecuzione della pena l’applicazione della disciplina contenuta nell’articolo 81 c.p., comma 2, ha l’onere di allegare gli elementi specifici e concreti a sostegno di tale istanza, non essendo sufficiente il mero riferimento alla contiguita’ cronologica dei fatti costituenti reato oggetto di diverse sentenze di condanna ovvero all’identita’, ovvero alla analogia dei titoli di reato, essendo tali elementi indici sintomatici di una abitualita’ nella commissione di reati e di scelte di vita ispirate a sistematica e contingente consumazione di atti illeciti (cfr., fra le molte, Cass. Sez. 1, n. 35806 del 20 aprile 2016, D’Amico, Rv. 267580; Cass. Sez. 5, n. 21326 del 6 maggio 2010, Faneli, Rv. 247356; Cass. Sez. 7, n. 5305 del 16 dicembre 2008, dep. 2009, D’Amato, Rv. 242476).

In tema di reato continuato, la giurisprudenza di legittimita’ e’ poi costante nell’affermare che l’identita’ del disegno criminoso e’ apprezzabile sulla base degli elementi costituiti dalla distanza cronologica tra i fatti, dalle modalita’ della condotta, dalla tipologia dei reati, dal bene tutelato, dalla omogeneita’ delle violazioni, dalla causale, dalle condizioni di tempo e di luogo, anche (soltanto) attraverso la constatazione di alcuni soltanto di tali elementi purche’ significativi ad evidenziare la sussistenza del programma delittuoso richiesto dall’articolo 81 c.p., comma 2, (cfr., fra le altre, Cass. Sez. 1, n. 44862 del 5 novembre 2008, Lombardo, Rv. 242098; Cass. Sez. 1, n. 11564 del 13 novembre 2012, Daniele, Rv. 255156; Cass. Sez. 1, n. 8513 del 8 gennaio 2013, Cardinale, Rv. 254809; Cass. Sez. 1, n. 34502 del 2 luglio 2015, Bordoni, Rv. 264294); con la precisazione come, al riguardo, non possa pretendersi che i singoli reati siano stati tutti in dettaglio progettati e previsti nelle varie occasioni temporali e nelle modalita’ specifiche di commissione delle loro azioni (in questo senso, cfr. Cass. Sez. 1, n. 33803 del 20 maggio 2014, Besiri, non massimata)

La fattispecie delineata dall’articolo 81 c.p., comma 2, richiede che l’agire del reo derivi da una programmazione e deliberazione iniziale, anche di massima, di una pluralita’ di condotte criminose in vista di un unico fine.

I reati da compiere debbono risultare previsti almeno in linea generale, con riserva di adattamento alle eventualita’ del caso, come mezzo al conseguimento di un unico scopo o intento, prefissato e sufficientemente specifico.

Ed e’ in relazione alla unitarieta’ del fine che la coerenza modale degli episodi e la contiguita’ temporale degli stessi fungono da indizio della assenza di interruzioni o soluzioni di continuita’ della deliberazione originaria, della impossibilita’ di affermare cioe’ che gli episodi successivi siano frutto dell’insorgenza di autonome risoluzioni antidoverose.

In tale ordine di concetti e’ stato, in particolare, precisato che se e’ vero che la programmazione e deliberazione unitaria non puo’ essere desunta sulla sola base dell’analogia fra i singoli reati per come in concreto posti in essere o dell’unitarieta’ del contesto, ovvero ancora della identita’ della spinta a delinquere o della brevita’ del lasso temporale che separa lo svolgimento dei diversi episodi, e’ altrettanto vero che non puo’ “dubitarsi che ciascuno di codesti fattori, nessuno di per se’ “indizio necessario”, aggiunto ad altro incrementa la possibilita’ che debba riconoscersi l’esistenza del medesimo disegno criminoso, in proporzione logica corrispondente all’aumento delle coincidenze indiziarie favorevoli” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 1, n. 12905 del 17 marzo 2010, Bonasera, Rv. 246838).

L’ordinanza impugnata si e’ conformata a tali principi e sono manifestamente infondate le, quanto mai generiche, doglianze contro tale provvedimento mosse dal ricorrente, in quanto, a fronte di una motivazione, del tipo di quella sopra sintetizzata, che ha concretamente tenuto presenti le specifiche condotte caratterizzanti i delitti commessi, in luoghi diversi, nei giorni 18 aprile e 10 giugno 2011 per escludere la sussistenza di un pur embrionale disegno criminoso ideato in occasione della commissione del primo delitto contro il patrimonio, il ricorrente si e’ limitato a riproporre in questa sede – in tal guisa non confrontandosi con il contenuto dell’atto giudiziale impugnato – la questione della sufficienza della, relativa, contiguita’ temporale fra i comportamenti e della sostanziale identita’ fra i titoli di reato.

Dalla manifesta infondatezza del ricorso derivano: la relativa declaratoria di inammissibilita’ (articolo 606 c.p.p., comma 3); la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria che si ritiene equo determinare nella misura di duemila euro, da versare alla Cassa delle ammende (articolo 616 cod. proc. pen.).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro alla Cassa delle Ammende

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