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RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti principali deducono la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 3 Cost., articoli 2082, 2132 (rectius 2135), 2512, 2513 e 2545-terdecies c.c., articolo 1 L. Fall., L. n. 296 del 2006, articolo 1, comma 1094, nonche’ dell’intero Decreto Legislativo n. 226 (rectius 228) del 2001, oltre al vizio di motivazione illogica e contraddittoria, perche’ l’imprenditore che svolge attivita’ commerciale deve essere assoggettato a fallimento, non contenendo la legge fallimentare, che e’ legge speciale per i casi di insolvenza, alcuna esclusione con riguardo alle imprese agricole: se la nozione di queste e’ stata riqualificata dal legislatore del 2001, tale disciplina ha tuttavia fini del tutto estranei alla individuazione dei presupposti di fallibilita’ (ossia fiscali, contributivi, agevolatori, ecc.), non giustificandosi invero piu’ l’esenzione dal fallimento per l’imprenditore agricolo, un tempo esposto al cd. doppio rischio di impresa, per le intemperie e per il mercato, laddove le amplissime attivita’ oggi ammesse hanno sganciato interamente da tale situazione l’impresa agricola, annullando il confine tra le due categorie imprenditoriali. Indifferente, al riguardo, il carattere mutualistico dell’impresa agricola, essendo rilevante solo il ruolo sul mercato, come pure irrilevante e’ la preponderanza degli apporti e conferimenti, ossia della materia prima, da parte dei soci o dei terzi: come palesa l’articolo 2545-terdecies c.c., contraddittoriamente richiamato dalla corte d’appello.
Con il secondo subordinato motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2545-terdecies c.c. e articolo 195 L. Fall., in quanto, conclamato lo stato di insolvenza, esso deve essere dichiarato dal tribunale, con trasmissione alla competente autorita’ amministrativa per la sottoposizione della societa’ a liquidazione coatta amministrativa.
1.2. – Con l’unico complesso motivo, la ricorrente incidentale censura la violazione e falsa applicazione degli articoli 2082 e 2135 c.c., articolo 1 L.F. e Decreto Legislativo n. 228 del 2001, articolo 1, comma 1, oltre al vizio di motivazione illogica e contraddittoria, in quanto, posto che la qualifica di impresa agricola non impedisce al giudice di accertare il concreto esercizio di attivita’ commerciale, la corte territoriale ha indebitamente sottratto la societa’ a fallimento, pur dopo avere verificato la prevalente vendita a terzi dei prodotti, avendo inoltre detta societa’ ottenuto finanziamenti pubblici per impianti di produzione e trasformazione di prodotti e la realizzazione di centrali per la commercializzazione e punti vendita di distribuzione.
2. – Il primo motivo del ricorso principale e’ fondato.
2.1. – Prendendo atto dell’ampliamento delle ipotesi rientranti nello statuto agrario, il sistema normativo che ne deriva e’ stato interpretato gia’ da alcune sentenze di questa Corte.
Cosi’, si e’ affermato che la natura agricola puo’ essere ravvisata per le attivita’ dirette solo verso i soci e non verso il mercato: come nel caso di attivita’ del consorzio, costituito in forma cooperativa tra cooperative agricole, che svolgeva attivita’ mutualistica di tipo amministrativo-contabile, mediante la quale la struttura associativa costituita da produttori agricoli mirava ad assicurare ai propri associati un’attivita’ di servizio in funzione ausiliaria (Cass. 18 agosto 1999, n. 8697); piu’ di recente, si e’ affermato che la natura agricola non e’ esclusa dall’esistenza di rilevanti parametri di natura quantitativa, non piu’ incompatibili con la nuova formulazione dell’articolo 2135 c.c., onde la dimensione dell’impresa, la complessita’ della organizzazione, la consistenza degli investimenti e l’ampiezza del volume d’affari non sono di per se’ automaticamente incompatibili con la natura solo agricola dell’impresa (Cass. 10 dicembre 2010, n. 24995).
Quanto poi al profilo, che ora interessa, della societa’ cooperativa la quale venda a terzi i prodotti ricevuti dai soci, scarsi sono i precedenti (cfr. es. Cass. 2 luglio 2003, n. 10401, la quale, sebbene risolta sotto profili prevalentemente formali, afferma che una societa’ cooperativa, la quale svolga attivita’ di commercializzazione del grano conferito dagli associati, effettui nei loro confronti anticipazioni in denaro e venda prodotti per l’agricoltura ai soci e ai terzi, possa essere sottratta a fallimento, in quanto svolgente attivita’ connessa a quella agricola).
Viceversa, e’ stata riconosciuta la natura di impresa commerciale, soggetta a fallimento, alla cooperativa in caso di esercizio di attivita’ che, oltre ad essere idonea a soddisfare esigenze connesse alla produzione agricola, rispondeva a scopi commerciali o industriali e realizzava utilita’ del tutto indipendenti dall’impresa agricola o, comunque, prevalenti rispetto ad essa (nella specie, un’associazione di cerealicoltori, oltre a non svolgere in via diretta alcuna attivita’ propriamente agricola, raccoglieva in modo sistematico, con personale ed ausiliari, i mezzi finanziari per i propri associati, anticipando ad essi i contributi pubblici e commercializzando in proprio partite di grano e concimi: Cass. 24 marzo 2011, n. 6853, in fattispecie anteriore alla novella di cui al d.lgs. 18 maggio 2001 n. 228; cosi’ pure Cass. 21 gennaio 2013, n. 1344, in caso di impresa individuale di commercio al dettaglio e all’ingrosso di fiori e piante).
Fino a decisione piu’ recente, con la quale si e’ affermato che la cooperativa, la quale svolga solo attivita’ connesse a quella agricola, non puo’ essere qualificata imprenditore agricolo (Cass., ord. 10 novembre 2016, n. 22978).
2.2. – Orbene, ritiene il Collegio che a tale ultima decisione vada data continuita’, laddove interpreta la nozione di “attivita’ connesse” ex articolo 2135 c.c., mentre alcune precisazioni devono essere ancora operate riguardo al regime delle societa’ cooperative tra imprenditori agricoli.
2.2.1. – Ai fini dell’esonero dal fallimento, le cooperative non commerciali – sottoposte, peraltro, a liquidazione coatta amministrativa sono quelle agricole individuate secondo i criteri di cui agli articoli 2135 e 2195 c.c., atteso il richiamo ad essi implicitamente contenuto negli articoli 2221 e 2545-terdecies c.c. e articolo 1 L.F. circa le imprese soggette al fallimento.
L’articolo 2195 cod. civ., in primo luogo, elenca le attivita’ qualificabili come commerciali, fra cui, per quanto ora interessa, contempla al n. 2 del primo comma l’attivita’ intermediaria nella circolazione dei beni.
L’articolo 2135 c.c. fornisce, dal suo canto, la definizione di imprenditore agricolo, ed il terzo comma chiarisce che “si intendono comunque connesse le attivita’, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo”: dunque, non da soggetto da quello distinto.
Tuttavia, al riguardo, il Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 1, comma 2, Orientamento e modernizzazione settore agricolo, prevede un’eccezione disponendo che “si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attivita’ di cui all’articolo 2135 c.c., come sostituito dal comma 1 del presente articolo, prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico”.
2.2.2. – E’ vero, dunque, che la locuzione “attivita’ connesse” vale ad estendere lo statuto dell’imprenditore agricolo alle attivita’ diverse unicamente in quanto funzionalmente collegate a quelle agricole in senso proprio, mentre essa non configura affatto un’autonoma categoria di imprenditore agricolo: in altri termini, l’imprenditore agricolo “per connessione” non e’ altri che il “medesimo” imprenditore agricolo, avuto riguardo all’esercizio di attivita’ diverse che presentino collegamento funzionale con quella propriamente agricola.
Certamente, poi, va ribadito che, come gia’ rilevato nel recente precedente di questa Corte, non e’ determinante al riguardo che il soggetto imprenditore sia strutturato in forma di societa’ cooperativa, che e’ “veste neutra” rispetto alla qualificazione in discorso (e che pone semmai la diversa questione se lo scopo mutualistico valga ad escludere in se’ la fallibilita’: risolta in senso negativo da Cass. 24 marzo 2014, n. 6835).
Ma una diversa interpretazione occorre ora dare con riguardo alla portata del Decreto Legislativo n. 228 del 2001, articolo 1, comma 2, sopra ricordato.
Secondo la menzionata Cass., ord. 10 novembre 2016, n. 22978, il richiamo alle attivita’ di cui all’articolo 2135 c.c. va inteso come riferito alla “cura e sviluppo del ciclo biologico”, onde la norma escluderebbe che possa essere qualificata imprenditore agricolo la cooperativa che svolga solo attivita’ agricole cd. per connessione.
Viceversa, reputa il Collegio che tale sistema normativo vada interpretato nel senso che, in deroga alla disciplina comune, la cooperativa si qualifica come agricola, e dunque sottratta a fallimento, allorche’, sebbene ovviamente soggetto distinto dai soci, tuttavia, provveda allo svolgimento di attivita’ connessa, in quanto in tal caso non viene meno il legame con il ciclo produttivo del fondo.
La riforma del 2001, invero, non solo ha esteso, rispetto alla situazione anteriore, il novero delle attivita’ sottratte a fallimento a causa della natura agricola, e quindi non commerciale, dell’attivita’ svolta, ivi comprese quelle “connesse” – suscitando peraltro la critica di numerosi interpreti, in ragione della circostanza che alcune delle attivita’ rientranti nella definizione dell’articolo 2135 c.c. non presentano il rischio tipico delle attivita’ agricole tradizionali, osservando essi come recenti riforme di ordinamenti esteri abbiano invece esteso le procedure concorsuali alle imprese agricole o ad alcune di esse; evidenziando anche taluno i possibili vantaggi per lo stesso debitore dell’impiego dei nuovi istituti fallimentari rispetto all’esecuzione singolare e alla responsabilita’ generale ex articolo 2740 c.c. (ma v. ancora la L. 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 1094): eppero’, non e’ il giudice a dover operare una scelta di valori – ma ha, altresi’, posto un’esplicita eccezione per le societa’ cooperative fra imprenditori agricoli e i consorzi tra di esse.
Il legislatore interno, come l’Unione Europea, assegnano, all’evidenza, un ruolo strategicamente importante alle organizzazioni di produttori, quali strumento di concentrazione dell’offerta di prodotti agricoli, al fine di aumentare il potere contrattuale degli imprenditori sul mercato, minato appunto dal sottodimensionamento delle imprese rispetto alla controparte industriale.
E’ proprio in questo contesto che si inquadra la scelta comunitaria di promuovere, anche con aiuti finanziari, l’associazionismo tra imprese agricole.
In altri termini, la norma in esame vale a permettere, con una sorta di svalutazione del diaframma della personalita’ giuridica, la qualificazione di imprenditore agricolo al soggetto che, pur senza esercitare attivita’ agricola in senso proprio, tuttavia svolga in favore dei propri soci, imprenditori agricoli o cooperative di questi, attivita’ di natura mutualistica o consortile volta alla manipolazione ecc. dei prodotti.
In tale esclusiva misura, dunque, assume rilievo la struttura societaria di tipo cooperativo.
2.4. – Con riguardo all’esenzione dal fallimento di una cooperativa avente ad oggetto attivita’ agricole, questa Corte ha inoltre gia’ chiarito che il giudice deve sia verificarne le clausole statutarie ed il loro tenore, sia esaminare in concreto l’attivita’ d’impresa svolta, senza nessuna possibilita’ di sovrapposizione dello scopo mutualistico, rilevante a diversi fini, ma non assorbente della verifica dei presupposti di legge, previsti dall’articolo 2135 c.c., per il riconoscimento (o l’esclusione) della qualita’ di impresa agricola esentata dal fallimento (Cass., ord. 12 maggio 2016, n. 9788).
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