Convivente che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile del partner

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 febbraio 2022| n. 5086.

Convivente che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile del partner.

In favore del convivente “more uxorio” che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile di proprietà del partner e che, cessata la convivenza, pretenda di essere indennizzato per le spese sostenute ed il lavoro compiuto, trova applicazione non l’art. 936 c.c., che ha riguardo solo all’autore delle opere che non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo, bensì la disposizione di cui all’art. 2041 c.c. sull’arricchimento senza causa, purché si accerti, tenuto conto dell’entità delle opere in base alle condizioni personali e patrimoniali dei partners, che le spese erano state sostenute ed il lavoro era stato compiuto senza spirito di liberalità, in vista di un progetto di vita comune, e che, realizzando quelle opere, il convivente non aveva intenzione di adempiere ad alcuna obbligazione naturale.

Ordinanza|16 febbraio 2022| n. 5086. Convivente che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile del partner

Data udienza 17 novembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 3954/2017 proposto da:
(OMISSIS), CON AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO AVV. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 728/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 07/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/11/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI;

Convivente che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile del partner

FATTI DI CAUSA

Il giudizio trae origine dalla domanda, proposta innanzi al Tribunale di Brindisi, da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) per il rilascio di un fabbricato di sua proprieta’ illegittimamente occupato dal convenuto.
(OMISSIS) si era costituito e, in via riconvenzionale, per quel che ancora rileva in sede di legittimita’, aveva chiesto il pagamento dei miglioramenti e delle addizioni apportate, nel periodo di convivenza more uxorio, sull’immobile di (OMISSIS).
Il Tribunale di Brindisi accolse la domanda riconvenzionale subordinata; accerto’ che il (OMISSIS) aveva contribuito alla realizzazione, a proprie spese, del fabbricato sul terreno dalla (OMISSIS) e condanno’ (OMISSIS), erede universale di (OMISSIS), al pagamento di un indennizzo per le migliorie e le addizioni, pari ad Euro 57.895,00, corrispondente alla meta’ del valore dell’immobile.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 7.7.2016, accolse il gravame proposto di (OMISSIS).
In primo luogo, il giudice d’appello, sulla base della valutazione delle risultanze istruttorie, ritenne che (OMISSIS) aveva partecipato solo alle spese di realizzazione del rustico del fabbricato.
Per quanto riguardava i miglioramenti, la corte di merito fece applicazione dell’articolo 936 c.p.c., secondo cui qualora il proprietario preferisca ritenere le opere sul proprio fondo in tutto o in parte realizzate dal terzo, deve pagare, a scelta, il valore dei materiali ed il prezzo della manodopera o l’incremento di valore delle addizioni. Secondo il giudice d’appello, in caso di mancato spontaneo adempimento, il proprietario deve essere condannato solo al pagamento del minore tra i valori specificati dal legislatore. Alla luce di tale disposizione, secondo la corte di merito, era errato il criterio adottato dal giudice di prime cure, che aveva riconosciuto il 50% del valore complessivo dell’immobile, comprensivo anche del suolo. La Corte determino’ quindi l’importo del materiale e della manodopera, decurtandolo in via equitativa del 30% considerando che il (OMISSIS) aveva partecipato solo alla realizzazione del rustico e lo condanno’ al pagamento di un’indennita’ pari ad Euro 19.500,00.
La Corte di merito determino’ l’indennizzo dovuto dal (OMISSIS) per l’occupazione abusiva dell’immobile successiva alla condanna di rilascio, ai sensi dell’articolo 1810 c.c., che determino’ in Euro 21.175,00, sulla base del valore locativo dell’immobile.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso (OMISSIS).

 

Convivente che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile del partner

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente evidenziato che nel giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli articoli 299 c.p.c. e segg. (ex multis Cassazione civile sez. III, 03/12/2015, n. 24635).
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 936 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; sostiene il ricorrente che, in caso di opere fatte da un terzo con materiali propri, la corresponsione al terzo del valore dei materiali e del prezzo della manodopera o dell’incremento di valore va subordinato alla scelta del proprietario di esercitare il diritto di ritenzione; nel caso in cui tale scelta non sia effettuata, il giudice dovrebbe liquidare d’ufficio l’indennizzo sulla base degli elementi a disposizione, sempre che il terzo in buona fede ne abbia fatto domanda. Il ricorrente richiama i principi espressi da Cass. 21612/2009, rilevando che il giudice avrebbe dovuto tener conto della durata della convivenza more uxorio e del contributo lavorativo offerto dal (OMISSIS). Inoltre sarebbe errato il riconoscimento al terzo del 70% delle spese sostenute per la realizzazione del rustico nonostante fosse emerso in giudizio che il (OMISSIS) aveva pagato integralmente dette spese, oltre ai lavori di finitura ed alla manutenzione del fondo.
Il motivo e’ fondato.
L’articolo 936 c.c., disciplina l’ipotesi in cui un terzo, che non vi sia in alcun modo legittimato ne’ autorizzato, realizzi un’opera su un fondo altrui; la norma detta una disciplina differente per l’ipotesi in cui il proprietario voglia trattenere le opere eseguite sul suo fondo senza autorizzazione da quella in cui invece vuole che siano asportate.
L’articolo 936 c.c., trova applicazione soltanto quando l’autore delle opere sia realmente terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facolta’ di costruire sul suolo (cfr. Cass. n. 5072 del 1993; Cass. n. 895 del 1997; Cass. n. 11835 del 2003; Cass. n. 12550 del 2009). La norma mira a regolare gli effetti patrimoniali che conseguono ad un’attivita’ di costruzione su suolo altrui ad opera di chi o non sia vincolato al proprietario dell’immobile da alcun rapporto negoziale ovvero lo sia ma in ragione di un rapporto giuridico che non comporta una specifica disciplina della realizzazione dell’opera. Resta, di conseguenza, escluso che possa essere considerato terzo ai fini della norma in esame tanto colui che abbia eseguito l’opera in base ad un contratto concluso con il proprietario dell’immobile (salvo l’ipotesi di invalidita’ o risoluzione; Cass. n. 956 del 1995; Cass. 895 del 1997). La disciplina dettata dall’articolo 936 c.c., in altri termini, puo’ trovare applicazione soltanto quando l’autore delle opere non sia legato al proprietario del suolo da un rapporto giuridico che detti una specifica disciplina delle opere ivi realizzate.
Il principio e’ talmente ancorato alla tradizione giuridica che non prevede deroghe nemmeno nel rapporto coniugale: invero, anche se un coniuge contribuisce alla realizzazione di un edificio situato sul fondo di esclusiva proprieta’ dell’altro non acquista alcun diritto sullo stesso, ne’ esso puo’ costituire oggetto di comunione. Il coniuge non proprietario potra’ tutt’al piu’, chiedere la ripetizione di quanto versato, purche’ sia in grado di provarne i conferimenti (Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2010, n. 20508).
La questione giuridica sollevata dal ricorrente attiene alla qualificazione giuridica dell’azione posta in essere dal convivente more uxorio nei confronti del proprietario del suolo, una volta cessata la convivenza, che abbia contribuito con il proprio lavoro o con dazioni di denaro alla costruzione della casa che sarebbe dovuta diventare o era diventata abitazione comune.

 

Convivente che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile del partner

In tal caso, le prestazioni di opera e di denaro vanno a vantaggio del proprietario esclusivo del fondo sul quale l’opera fu edificata che, per il principio di accessione, acquista la proprieta’ di quanto realizzato mediante il contributo del convivente o di chi e’ stato legato da una relazione sentimentale, per la realizzazione di un progetto di vita comune.
Secondo l’orientamento di questa (Corte Cassazione civile sez. III, 07/06/2018, n. 14732), al quale il collegio intende dare continuita’, l’azione deve essere inquadrata nell’ambito dell’azione generale di arricchimento senza causa, connessa allo scioglimento della famiglia di fatto.
La ratio dell’articolo 2042 c.c., che contempla il principio di sussidiarieta’ dell’azione di arricchimento ingiustificato, e’ quella di evitare che il depauperato possa a sua volta divenire autore di arricchimento ingiusto.
Nel caso di specie, trova applicazione il principio di sussidiarieta’, stante la non esperibilita’ del rimedio tipico previsto dall’articolo 936 c.c., essendosi determinato uno squilibrio tra le sfere patrimoniali dei due ex conviventi, benche’ lo spostamento patrimoniale non fosse giustificato dalla presenza di alcun titolo, in quanto non era stato stipulato alcun contratto o instaurato altro tipo di rapporto.
L’arricchimento senza giusta causa rientra pertanto, tra “gli altri fatti” di cui all’articolo 1173 c.c., che sono idonei a costituire fonte delle obbligazioni.
Questa esigenza e’ legata alla pretesa dell’ordinamento a che ogni “arricchimento dipenda dalla realizzazione di un interesse meritevole di tutela” (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330).
I principi da applicare sono stati compiutamente espressi da Cass. 11330/2009, che, da un lato ricostruisce sistematicamente tutte le ipotesi in cui non si possa legittimamente richiamare la mancanza di causa del conferimento, a fondamento dell’azione di arricchimento, dall’altro fa applicazione degli indicati principi proprio in relazione ad un disciolto rapporto di convivenza more uxorio: “l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicche’ non e’ dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalita’ o dell’adempimento di un’ obbligazione naturale. E’, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalita’ e di adeguatezza”.
Nel caso di specie, il conferimento di denaro e del proprio tempo impiegato per la costruzione della casa, che e’ stata la dimora comune, e’ stato senz’altro volontario da parte del (OMISSIS), posto che le parti vi hanno coabitato per alcuni anni.
In ragione della proprieta’ esclusiva del terreno e dell’operativita’ del principio dell’accessione, quel conferimento e’ andato di fatto ad integrare un bene che e’ entrato, per le regole che disciplinano i modi di acquisto della proprieta’, nella proprieta’ esclusiva della convivente.
Tuttavia, detto conferimento non era a suo vantaggio ma era finalizzato alla formazione ed alla fruizione comune di un bene, ragione per la quale va escluso l’animus donandi.
Nel momento in cui lo stesso progetto dell’esistenza di un patrimonio e di beni comuni e’ venuto meno, perche’ si e’ sciolto il rapporto sentimentale tra i due ed e’ stato accantonato il progetto stesso di vita in comune, al convivente che non si e’ preventivamente tutelato in alcun modo non potra’ essere riconosciuta la comproprieta’ del bene che ha collaborato a costruire con il suo apporto economico e lavorativo, ma avra’ diritto a recuperare il denaro che ha versato e ad essere indennizzato per le energie lavorative impiegate volontariamente, per quella determinata finalita’, in applicazione e nei limiti del principio dell’indebito arricchimento.
Pertanto, i contributi, in lavoro o in natura, volontariamente prestati dal partner di una relazione personale per la realizzazione della casa comunque non sono prestati a vantaggio esclusivo dell’altro partner e pertanto non sono sottratti alla operativita’ del principio della ripetizione di indebito.
Qualora le prestazioni siano state spontaneamente erogate non in favore esclusivo del partner ma in vista della realizzazione di un progetto comune, occorre poi verificare se all’applicabilita’ delle norme sull’ingiustificato arricchimento osti la disciplina delle obbligazioni naturali, considerata l’entita’ degli esborsi ci conferimenti.
In tal caso, le prestazioni patrimoniali di uno dei conviventi “more uxorio” possono inquadrarsi nello schema dell’obbligazione naturale solo se hanno come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e sussiste un rapporto di proporzionalita’ tra le somme sborsate e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi (Cassazione civile sez. II, 13/03/2003, n. 3713).

 

Convivente che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile del partner

La natura di obbligazione naturale sara’ esclusa ove gli esborsi superino la soglia di proporzionalita’ ed adeguatezza rispetto ai mezzi di ciascuno dei partners e superino il normale contributo alle spese ordinarie della convivenza (Cass. n. 1266 del 2016).
Nel caso in esame, non e’ mai stato messo in discussione che (OMISSIS) abbia fatto realizzare arbitrariamente opere non autorizzate, avendo, al contrario contribuito con il proprio lavoro alla realizzazione delle opere autorizzate dalla convivente proprietaria del suolo e, quindi, di comune accordo in quanto la costruzione doveva costituire l’abitazione della coppia.
Il motivo di ricorso va, pertanto, accolto, sulla base di una ragione di diritto diversa da quella prospettata dal ricorrente, essendo fondata sulla medesima prospettazione dei fatti (Cassazione civile sez. III, 28/07/2017, n. 18775).
La sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, che regolera’ le spese del giudizio di legittimita’ ed applichera’ il seguente principio di diritto:
” L’articolo 936 c.c., trova applicazione soltanto quando l’autore delle opere sia realmente terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facolta’ di costruire sul suolo. La norma non si applica nell’ipotesi in cui le opere siano state realizzate dal convivente o da chi sia legato ad una relazione sentimentale con il proprietario del suolo ed abbia impiegato denaro e tempo libero per la costruzione dell’abitazione comune e non a vantaggio esclusivo del convivente”.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita’ alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.

 

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