I controlli del datore di lavoro anche a mezzo di agenzia investigativa

Corte di Cassazione, sezione sesta (lavoro), Ordinanza 1 marzo 2019, n. 6174.

La massima estrapolata:

I controlli del datore di lavoro anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 Stat. Lav..

Ordinanza 1 marzo 2019, n. 6174

Data udienza 20 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – Consigliere

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 19291-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo STUDIO LEGALE (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 184/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 30/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/11/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

RILEVATO

che con sentenza del 26 gennaio – 30 marzo 2017 numero 184 la Corte d’Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede e per l’effetto respingeva la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) (in prosieguo: (OMISSIS)) s.p.a per la impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli in data 28.3.2008;
che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che all’esito di indagine investigativa disposta da (OMISSIS) all’esterno del luogo di lavoro veniva contestato al lavoratore di essersi ripetutamente allontanato dal posto di lavoro durante l’orario di servizio (in tredici giornate comprese tra il 17 settembre 2007 il 26 ottobre 2007), rimanendo assente per diverso tempo – da 15 minuti a piu’ di un’ora – senza timbrare il badge in uscita e facendo cosi’ risultare la regolare presenza in servizio.
Era infondato il motivo di gravame relativo all’illegittimita’ delle indagini investigative, in quanto la L. n. 300 del 1970, articoli 2, 3 e 4, riguardavano il controllo sull’adempimento dell’obbligazione lavorativa e non anche sui comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale; non erano vietati i cosiddetti “controlli difensivi”, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attivita’ lavorativa, eseguibili anche mediante agenzie investigative private.
Sussisteva il requisito dell’immediatezza della azione disciplinare. Nella fattispecie di causa, a fronte della relazione investigativa ricevuta dalla societa’ in data 25 febbraio 2008, effettuato il riscontro con i dati dei fogli e tabulati di presenza, la contestazione era stata formulata in data 7 marzo 2008 e comunicata al lavoratore in data 10 marzo 2008. Tale intervallo, oltre a rispettare i termini previsti dal contratto collettivo, era proporzionato al tempo occorrente per il raffronto tra gli esiti investigativi ed i sistemi meccanizzati di rilevazione delle presenze.
Nella condotta di (OMISSIS) non poteva ravvisarsi alcuna violazione dell’articolo 1375 c.c., attesa la complessita’ della struttura organizzativa dell’impresa ed il fatto che il monitoraggio era stato effettuato a campione nel complessivo periodo settembre 2007 – gennaio 2008 sicche’ (OMISSIS) non era conoscenza nell’ottobre 2007 dei fatti relativi al lavoratore (OMISSIS).
Quanto alla proporzionalita’ del licenziamento, andavano condivise le valutazioni del primo giudice.
La condotta integrava la nozione di giusta causa di recesso, considerato l’elemento intenzionale legato all’inadempimento dell’attivita’ lavorativa, la sistematicita’ e la circostanza che la condotta fosse stata riscontrata nel 100% delle occasioni in cui lo (OMISSIS) era stato sottoposto a controllo. L’illecito si risolveva nell’avere dolosamente creato una situazione apparente al fine di indurre in errore il datore di lavoro sulla presenza sul luogo di lavoro.
che avverso la sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS), articolato in quattro motivi, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS) S.p.A..
che la proposta del relatore e’ stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c..
che le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO

Che la parte ricorrente ha dedotto:
– con il primo motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., numero 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 c.c., della L. n. 300 del 1970, articolo 7, dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., dell’articolo 111 Cost., censurando la statuizione di tempestivita’ della azione disciplinare.
Ha dedotto che la sentenza aveva formulato tale giudizio sulla base di parametri diversi da quelli indicati da questa Corte, consistenti nella complessita’ della struttura organizzativa dell’impresa ovvero nella complessita’ dell’indagine.
Nella fattispecie di causa le indagini erano semplici e si erano concluse alla data del 26 ottobre 2007, ultimo giorno di pedinamento; la stessa Corte territoriale accertava che tra il deposito della relazione degli investigatori, il 25 febbraio 2008, e la contestazione disciplinare, del 10 marzo successivo, era intercorso un breve periodo di tempo, circostanza che escludeva qualsiasi incidenza della complessita’ dell’organizzazione dell’impresa.
La motivazione era dunque illogica: trattandosi di infrazioni di immediata conoscibilita’, non poteva essere giustificato un ritardo nella contestazione oscillante tra i 4 ed i 6 mesi rispetto ai singoli episodi contestati.
– con il secondo motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 1375 c.c., sempre in merito al profilo della ritenuta tempestivita’ della contestazione disciplinare;
– con il terzo motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione alla pronuncia di proporzionalita’ tra l’addebito ed il licenziamento. Il ricorrente ha assunto l’omesso esame del fatto decisivo, emesso dall’istruttoria svolta, che egli, pur essendosi allontanato dal posto di lavoro nelle tredici giornate oggetto di addebito per periodi di tempo oscillanti da 10 minuti ed un’ora, giungeva in ufficio almeno 15- 20 minuti prima dei colleghi, avendo le chiavi e ben prima di registrare l’orario di ingresso con il badge, attivo solo dalle ore 7.45.
– con il quarto motivo- ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., numero 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articoli 2,3,4 dell’articolo 132 c.p.c., comma 2 e articolo 118 disp. att. c.p.c., per avere la corte territoriale affermato la legittimita’ dei controlli investigativi richiamando pronunce di questa Corte che vertevano su fattispecie totalmente differenti da quella in contestazione.
Ha esposto di essere stato pedinato dopo l’uscita dal luogo di lavoro- dall’ufficio fino all’abitazione e viceversa o fino al bar- laddove la indagine avrebbe dovuto limitarsi a registrare i suoi movimenti di entrata e di uscita dall’ufficio.
Non vi era la prova che egli si fosse reso responsabile di fatti illeciti nell’esercizio delle mansioni fuori dei locali aziendali o che avesse prestato la sua opera in favore di aziende concorrenti o che avesse svolto alcuna attivita’ illecita.
L’unico illecito era costituito dall’abbandono del posto di lavoro e soltanto questo era il comportamento da verificare; nella specie era mancato l’unico controllo possibile, quello dei dirigenti, che non si sarebbero accorti delle sue assenze.
che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;
che invero:
– i primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la stretta connessione, relativi alla statuizione di tempestivita’ della contestazione disciplinare, sono infondati.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte – qui condivisa – la tempestivita’ della contestazione deve essere valutata partendo dal momento dell’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dell’astratta percettibilita’ o conoscibilita’ dei fatti stessi (Cassazione civile, sez. lav., 19/05/2016, n. 10356; n. 26304/14; nr. 25070/2013; 20823/2013; n. 23739/2008, n. 21546/2007).
La tempestivita’ della contestazione e del licenziamento poi, la cui “ratio” riflette l’esigenza di osservanza della regola di buona fede e correttezza nell’attuazione dei rapporto di lavoro, devono essere intesi in senso relativo, potendo essere compatibili, in relazione al caso concreto e alla complessita’ dell’organizzazione del datore di lavoro, con un intervallo di tempo necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti contestati, cosi’ come per la valutazione delle giustificazioni fornite dal dipendente (ex plurimis: Cass. Sez. lav. 14.5.2015 nr. 9903; 4.2.2015 nr. 20121; 23.1.2015 nr. 1247; 11.9.2013 nr. 20823; 10.9.2013 nr. 20719).
In sostanza, il datore di lavoro deve procedere alla formale contestazione dei fatti addebitabili al lavoratore dipendente non appena ne venga a conoscenza e appaiano ragionevolmente sussistenti.
La Corte di merito non si e’ discostata da tali principi, poiche’ ha affermato che il datore di lavoro era venuto a conoscenza dei fatti addebitati al lavoratore soltanto in data 25 febbraio 2008, a seguito della trasmissione della relazione della agenzia investigativa incaricata.
In relazione a tale accertamento di fatto, ha correttamente ritenuto tempestiva la contestazione del 10 marzo 2008 giacche’ lo spazio temprale cosi’ delimitato appare congruo a contemperare, da un lato, la esigenza di una adeguata ponderazione dei fatti, nell’interesse dello stesso lavoratore, dall’altro quella di consentire al lavoratore una adeguata difesa.
L’accertamento da parte del giudice del merito del momento storico in cui il datore di lavoro acquisisce la conoscenza del fatto disciplinare e’ invece un accertamento di fatto, sindacabile in sede di legittimita’ soltanto sotto il profilo del vizio della motivazione.
il terzo motivo, con cui si assume la mancanza di proporzionalita’ del licenziamento, benche’ qualificato in termini di errore di diritto allega, nella sostanza, l’omesso esame di un fatto storico – la sua abitudine di anticipare l’orario di ingresso – che appare ictu oculi non decisivo giacche’ la disciplina dell’orario di lavoro e’ rimessa alle determinazioni datoriali e non alla libera iniziativa del dipendente. Peraltro la deducibilita’ del vizio della motivazione, dovendo in tali termini qualificarsi la censura, nella fattispecie di causa e’ in radice preclusa dalla disposizione dell’articolo 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, per il giudizio conforme reso nei due gradi di merito in punto di proporzionalita’ del licenziamento;
– in ordine al quarto motivo, la sentenza ha correttamente applicato il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte (ex allis, Cass civ sez. lav. 4 aprile 2018 nr. 8373; 10.11.2017 nr. 26682; 02.05.2017 nr. 10636), che va ulteriormente ribadito, secondo cui i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attivita’ fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli articoli 2 e 3 St. lav.. Nella fattispecie di causa il controllo non era diretto a verificare le modalita’ di adempimento della prestazione lavorativa bensi’ la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge. Neppure sussiste la lamentata violazione della privacy del dipendente, seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento.
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio, ex articolo 375 c.p.c.;
che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 (che ha aggiunto al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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