Contratto di enfiteusi stipulato in luogo di un precedente affitto agrario

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 novembre 2020| n. 26521.

Qualora un contratto di enfiteusi stipulato in luogo di un precedente affitto agrario sia affetto da nullità, nondimeno può valere a fondare il possesso utile per l’usucapione del bene, ogni qualvolta il rapporto instauratosi da lì in avanti tra l'”accipiens” e la “res tradita” sia sorretto dall'”animus rem sibi habendi”, ossia dalla riferibilità del potere di fatto esercitato sul fondo alla pretesa titolarità di un diritto reale, anziché ai diritti derivanti da un mero rapporto obbligatorio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza d’appello, che aveva trascurato di valutare che il contratto di enfiteusi concluso fra le parti, ancorché invalido ed inidoneo a produrre effetti giuridici, era suscettibile di valere quale prova della mutata volontà del soggetto nella disponibilità del fondo di possederlo, non più come semplice affittuario, ma come enfiteuta).

Ordinanza|20 novembre 2020| n. 26521

Data udienza 15 settembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: CONTRATTI AGRARI – AFFITTO – AFFITTO DI FONDI RUSTICI

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36644/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Istituto diocesano per il sostentamento del Clero di Capua, rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, Sezione Specializzata Agraria, n. 2233/2018 depositata il 13 giugno 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 settembre 2020 dal Consigliere Iannello Emilio.

RILEVATO IN FATTO

1. L’Istituto Diocesano per il sostentamento del Clero di Capua adi’, nel 2011, la Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Nola chiedendo dichiararsi cessato, alla scadenza del 10/11/2012, il rapporto di affitto di fondo rustico intercorrente con (OMISSIS) – subentrato al proprio genitore e dante causa, con il quale il contratto era stato stipulato in epoca anteriore al 1939 – con la conseguente condanna dello stesso al rilascio del fondo per tale data.
Il (OMISSIS) resistette e, in via riconvenzionale, chiese accertarsi essere egli titolare di diritto di enfiteusi, asseritamente acquisito in forza di contratto stipulato in data 27/10/1979 tra il proprio genitore ed il Parroco della (OMISSIS) ovvero, in subordine, a titolo originario, per usucapione, con conseguente accoglimento della domanda di affrancazione del fondo, stante l’operata offerta di pagamento dell’importo di Euro 1.228,65, pari alla somma di 15 canoni annui, e con la condanna dell’Istituto alla restituzione di eventuali indennizzi indebitamente percepiti a qualsiasi titolo dal Comune di Roccarainola.
L’adita Sezione Specializzata rigetto’ le domande, compensando le spese.
2. La Corte d’appello di Napoli, Sezione Specializzata Agraria, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame interposto dal (OMISSIS), compensando le spese del grado.
Ha infatti rilevato, per quanto ancora in questa sede interessa, con riferimento al quarto motivo di gravame – con il quale il predetto si doleva dell’omesso esame, da parte del primo giudice, della domanda riconvenzionale subordinata di accertamento del vantato acquisto per usucapione del diritto di enfiteusi e della conseguente domanda di affrancazione – che detta domanda, bensi’ non esaminata dal primo giudice, tuttavia non poteva trovare accoglimento, essendo rimasta priva di “valido ed univoco riscontro probatorio”.
Premesso, infatti, che dallo stesso contratto di enfiteusi perpetua del 27/10/1979 – ancorche’ invalido e improduttivo di effetti per carenza della prescritta autorizzazione ecclesiastica – emerge la concorde ricostruzione fattuale del preesistente rapporto come di affitto agrario e il correlato riconoscimento della natura di detenzione nomine alieno del potere esercitato dal (OMISSIS) sul fondo, ha osservato che “manca… la allegazione e dimostrazione della intervenuta interversio possessionis, vale a dire del mutamento della originarla detenzione in possesso ad uso di enfiteusi, in ragione di inequivoci e significativi atti e comportamenti”.
Evidenziata l’irrilevanza, a tal fine, delle prove testimoniali richieste e non assunte, poiche’ generiche e comunque riferite ad interventi ed attivita’ di coltivazione del fondo pienamente compatibili con il normale svolgimento di un rapporto di affittanza agraria, la Corte partenopea ha poi rimarcato che “ulteriore conforto al convincimento della Corte in ordine alla carenza dell’animus possidendi a titolo di enfiteusi viene, e non da ultimo, dalla circostanza pregnante che (OMISSIS) nel 2010 sottoscriveva con l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero Arcidiocesi di Capua un accordo preliminare di contratto di affitto… per il canone annuo di Euro 100 in sostituzione del pregresso canone di Euro 90 per la durata di anni sette, con scadenza alla data del 10/11/2017, circostanza significativa ed incompatibile con un maturato acquisto a titolo originario per usucapione del diritto reale di enfiteusi”.
3. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste l’Istituto Diocesano per il sostentamento del Clero di Capua, depositando controricorso.
La trattazione e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., comma 1.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, “violazione e falsa applicazione degli articoli 957, 1141, 1144, 1146, 1158, 1159, 1363, 2697, 2702 e 2728 c.c., e dei principi generali in tema di usucapione del diritto reale di enfiteusi; violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 112, 115 e 116 c.p.c.. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti”.
Lamenta che la Corte d’appello, pur dando atto del fatto che, con il contratto del 1979, il suo dante causa aveva chiesto all’I.D.S.C. la stabilizzazione e conversione dell’allora corrente rapporto di affittanza in enfiteusi ex articolo 958 c.c., ha erroneamente affermato che, alla morte del proprio genitore, egli era subentrato non gia’ nel rapporto di enfiteusi ma nel rapporto di affittanza agraria esistente prima della stipula del contratto di enfiteusi, e per effetto di siffatta circostanza, ha qualificato il rapporto tra di esso ed il fondo in termini di detenzione e non gia’ di possesso ad uso di enfiteusi.
Sostiene che siffatto ragionamento, oltre a manifestare una antinomia sul piano logico, e’ contrario ai canoni ermeneutici di interpretazione del contratto nonche’ all’orientamento giurisprudenziale che riconosce l’idoneita’ del titolo contrattuale – sebbene nullo – a fondare un possesso ad usucapionem.
La Corte avrebbe cosi’ trascurato di valutare che il contratto di enfiteusi, pur non producendo effetti giuridici per effetto dell’esercizio dell’azione di annullamento operata in sede giudiziale, varrebbe comunque quale prova della mutata volonta’ di (OMISSIS) di possedere il fondo non piu’ come semplice affittuario ma come enfiteuta, omettendo altresi’ di considerare le prove documentali che dimostravano l’avvenuto pagamento del canone enfiteutico a mezzo di vaglia postali, dal 1985 al 2007.
Lamenta altresi’ il ricorrente che, pur in presenza dei detti indizi, la Corte d’appello ha ritenuto di non ammettere la prova testimoniale diretta a dimostrare la relazione di fatto col fondo.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, “violazione e falsa applicazione degli articoli 1140, 1141, 1158, 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c.. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti”.
Lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha argomentato anche dalla circostanza della sottoscrizione, nel 2010, di un accordo preliminare di contratto di affitto con l’I.D.S.C., ritenendola circostanza significativa ed incompatibile con il maturato acquisto a titolo originario per usucapione del diritto reale di enfiteusi in ordine al fondo rustico di cui e’ causa.
Sostiene di contro che, nel 2010, data della stipula del presunto preliminare, l’effetto acquisitivo si era gia’ definitivamente ed oggettivamente prodotto e che, conseguentemente, la sottoscrizione del preteso preliminare avrebbe potuto al piu’ configurarsi quale atto di rinuncia tacita a far valere l’usucapione in sede giudiziaria.
Una rinuncia tacita all’usucapione sarebbe pero’ configurabile -soggiunge – soltanto allorche’ sussista incompatibilita’ assoluta fra il comportamento del possessore e la volonta’ del medesimo di avvalersi della causa di acquisto del diritto, senza possibilita’ di diversa interpretazione, incompatibilita’ non predicabile con riferimento alla stipula di un preliminare.
Rileva che peraltro, nel caso di specie, mancherebbe una valida dichiarazione di obbligarsi alla stipula di un contratto di fitto, avendo, quello considerato, valore di mera puntuazione e mancando comunque qualsiasi valutazione, al di la’ dell’insufficiente riferimento alla denominazione attribuita dalle parti alla scrittura in esame, sull’effettiva natura del contratto.
Osserva che, in ogni caso, l’eccezione di rinuncia tacita all’intervenuta usucapione costituisce eccezione in senso proprio e come tale non e’ rilevabile d’ufficio.
3. I motivi, congiuntamente esaminabili, sono fondati, nei termini appresso precisati.
Il ragionamento della Corte territoriale appare in effetti monco, e si espone a sindacato per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, nella misura in cui, come pertinentemente dedotto dal ricorrente con il primo motivo, considera il contratto di enfiteusi del 1979 solo per la parte (retrospettiva) in cui si afferma che esso interviene tra parti gia’ legate da rapporto di affitto, non anche in quella (programmatica) nella quale si conviene che colui il quale prima deteneva quale affittuario il terreno da allora avrebbe continuato a coltivarlo nella diversa qualita’ di titolare di enfiteusi perpetua.
Ancorche’ si sia trattato – come ormai accertato tra le parti con efficacia di giudicato – di programma negoziale inidoneo a produrre l’effetto giuridico indicato (in quanto contenuto in contratto invalido poiche’ stipulato dall’ente ecclesiastico, in persona del suo legale rappresentante, in difetto della licenza del Superiore prescritta dall’ordinamento canonico), resta tuttavia la rilevanza fattuale di tale programma come idoneo a (concorrere a) dimostrare la riferibilita’ del potere di fatto da allora in poi esercitato sul fondo non piu’ ai diritti derivanti dal contratto di affitto, ma al contenuto di detto diritto reale di godimento, come tale suscettibile di acquisto per usucapione.
Tale valenza fattuale del contratto nullo o annullato e’ costantemente affermata, nella giurisprudenza di legittimita’, in tema di usucapione del diritto di proprieta’, nel caso in cui la res sia acquisita a seguito di atto traslativo della proprieta’ che sia nullo, osservandosi che, in tal caso, “anche dopo l’invalido trasferimento della proprieta’, l’accipiens puo’ possedere il bene animo domini, ed anzi proprio la circostanza che la traditio sia stata eseguita in virtu’ di un contratto che, pur invalido, era comunque volto a trasferire la proprieta’ del bene costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l’accipiens e la res tradita sia sorretto dall’animus rem sibi habendi” (Cass. n. 14115 del 04/06/2013; v. anche ex aliis Cass. n. 14395 del 29/07/2004; n. 4945 del 14/03/2016).
Non puo’ dubitarsi che analoga rilevanza debba riconoscersi anche ai diversi e piu’ limitati fini della dimostrazione dell’interversio possessionis, anche in tal caso trattandosi di circostanza valutabile ai fini dell’accertamento della riferibilita’ del potere di fatto esercitato sul fondo alla pretesa titolarita’ di diritto reale, anziche’ ai diritti derivanti da un mero rapporto obbligatorio che leghi il detentore al possessore mediato.
La valutazione di tale valenza fattuale va ovviamente riservata al giudice del merito e andra’ pur sempre operata unitamente agli altri elementi raccolti e segnatamente a quelli relativi all’effettivita’ ed alla natura del potere esercitato sulla cosa.
La sua omissione, nella specie, rende pero’ la sentenza censurabile per vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, essendo nella specie rispettati i requisiti richiesti dal relativo paradigma censorio, quali precisati dalla costante giurisprudenza di questa Corte, e non potendo attribuirsi alle considerazioni fattuali svolte in sentenza pregnanza argomentativa tale da far ritenere implicitamente assorbita ed esclusa ogni possibile rilevanza della detta circostanza.
Tanto piu’ che analogo rilievo deve svolgersi con riferimento al pure dedotto e documentato pagamento di somme pari a quanto convenuto (nel contratto invalido) per canone enfiteutico, anche per tale circostanza risultando fondata, specificamente dedotta e meritevole di accoglimento, la censura di omesso esame di fatto decisivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5,(sulla rilevanza, ai fini dell’acquisto ad usucapionem, del pagamento del canone enfiteutico, v. Cass. 05/12/1992, n. 12964; Cass. 12/12/1988, n. 6740).
4. La rilevanza di dette circostanze (valenza fattuale del contratto invalido e pagamento di somme pari al pattuito canone enfiteutico) non puo’ considerarsi elisa dalla stipula, nel 2010, di contratto preliminare di affitto.
Cio’ non per le ragioni dedotte nel secondo motivo di ricorso – che appaiono eccentriche rispetto al rilievo che in sentenza viene attribuito alla circostanza, non quale espressiva di una rinuncia all’usucapione gia’ maturata, bensi’ di indizio contrastante, in chiave retrospettiva, con l’assunto di una relazione con il bene condotta con animus possidendi – quanto, piuttosto, per l’irrilevanza di tale ultimo argomento, poiche’ concepito in chiave essenzialmente soggettiva o psicologica, e, al contempo, per la non decisivita’ della circostanza.
Occorre, invero, rilevare che cio’ che conta ai fini della configurabilita’ di un possesso ad usucapionem non e’ l’esistenza di un elemento (l’animus) giustamente considerato in dottrina “di incerta natura psichica o spirituale” (le “segrete intenzioni” dell’agente) e che non trova alcun testuale riscontro nel dato positivo, quanto l’estrinsecazione oggettiva del potere di fatto esercitato sulla res in difetto di titolo legittimante l’attribuzione di un diritto sulla stessa.
Orbene, nella specie, acclarata la rilevanza del contratto invalido di enfiteusi e del dato oggettivo costituito dal pagamento dei canoni enfiteutici, al fine di dimostrare, dal 1979 in poi, l’interversio possessionis nei sensi che si e’ sopra detto, tale rilevanza non potrebbe essere esclusa, retroattivamente, dalla stipula, nel 2010, del contratto preliminare di affitto: a) anzitutto perche’ non e’ nemmeno dedotto che, dalla stipula del preliminare e per effetto di esso, il promissario affittuario facesse discendere la giustificazione della detenzione del fondo; b) in secondo luogo perche’, quand’anche cio’ fosse dimostrato, si tratterebbe di comportamento successivo alla maturazione, ormai in precedenza avutasi, dell’effetto acquisitivo di enfiteusi perpetua, per effetto del diverso potere di fatto esercitato in precedenza corrispondente al contenuto di un diritto (pur giuridicamente inesistente, proprio in ragione del difetto di relativo titolo), non potendosi predicare, per le ragioni dette, alcuna rilevanza esegetica retroattiva (tanto meno argomentata in chiave soggettiva) della stipula del preliminare, rispetto ai comportamenti anteriormente tenuti, da valutarsi nella loro oggettivita’ e nel tempo in cui furono posti in essere.
5. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata al giudice a quo, che procedera’ a nuovo esame facendo applicazione del seguente principio di diritto: “in caso di contratto di enfiteusi invalido (nella specie in quanto stipulato dall’ente ecclesiastico in difetto della licenza del Superiore prescritta dall’ordinamento canonico), in mancanza di titolo legittimante l’attribuzione del diritto sulla cosa, ai fini della valutazione del relativo possesso ad usucapionem decisivo rilievo assume v la mera estrinsecazione del potere di fatto esercitato sulla res protrattasi per vent’anni, al perfezionamento dell’acquisto a siffatto titolo originario del diritto di enfiteusi non ostando il pagamento del canone einfiteutico previsto nel contratto invalido, ne’ assumendo un qualche rilievo in contrario la successiva stipula da parte dell’usucapiente di contratto preliminare in qualita’ di affittuario del fondo”.
Il giudice del rinvio provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza; rinvia alla Corte di appello di Napoli, Sezione Specializzata Agraria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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