In tema di contratti di lavoro a tempo determinato

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 14 giugno 2019, n. 16052.

La massima estrapolata:

In tema di contratti di lavoro a tempo determinato, nell’ipotesi di cessazione del rapporto prima della scadenza del termine nullo, va escluso il riconoscimento, in favore del lavoratore che abbia conseguito la declaratoria di conversione in contratto di lavoro a tempo indeterminato, dell’indennità ex art. 32 della legge n. 183 del 2010, poiché quest’ultima spetta solo per il periodo cosiddetto “intermedio”, ossia quello compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito che, dichiarata la conversione del rapporto a termine in uno a tempo indeterminato, aveva riconosciuto l’indennità in questione, malgrado non avesse disposto la riammissione in servizio della lavoratrice, per avere la medesima rassegnato le dimissioni in data antecedente alla data di scadenza del termine apposto al contratto).

Sentenza 14 giugno 2019, n. 16052

Data udienza 9 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. CURCIO Laura – Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 14055-2017 proposto da:
(OMISSIS) S.N.C. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 259/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 19/12/2016 R.G.N. 85/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Gorizia, in accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti della s.n.c. (OMISSIS) (OMISSIS), emetteva sentenza non definitiva con cui accertava l’illegittimita’ del contratto di lavoro intermittente stipulato con decorrenza dal marzo 2011, nonche’ la nullita’ del termine apposto al successivo contratto a tempo determinato decorrente dall’agosto 2012 e, per l’effetto, dichiarava che tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fino al dicembre 2012, epoca in cui la lavoratrice aveva rassegnato le proprie dimissioni. In particolare, accertava un orario di lavoro di 45 ore a settimana dal marzo al settembre 2011 e poi un orario di 29 ore settimanali sino alla fine del rapporto. Disponeva l’espletamento di una c.t.u. contabile e rinviava al definitivo per la liquidazione del quantum. Inoltre, riconosceva alla ricorrente un indennizzo ai sensi della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, pari a sei mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto. Differiva la decisione sulle spese al definitivo.
2. L’appello proposto dalla societa’ convenuta veniva rigettato dalla Corte d’appello di Trieste, secondo la quale la regolarita’ e l’effettivita’ dei due contratti erano smentite dagli accertamenti svolti dal servizio ispettivo dell’INPS nel gennaio 2014 e dalle prove orali assunte. Inoltre, quanto al rapporto di lavoro a termine, formalmente stipulato per sostituire un’addetta assente per maternita’, nessuno dei testi (e neppure il titolare dell’impresa in sede di interpello) aveva saputo riferire alcunche’ circa l’identita’ della collega in astensione dal lavoro.
3. Per la cassazione di tale sentenza non definitiva la s.n.c. (OMISSIS) (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a quattro motivi. La (OMISSIS) e’ rimasta intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’odierna ricorrente denuncia violazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 34 (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione al contratto di lavoro a chiamata o intermittente a tempo indeterminato. Assume che tale contratto era stato regolarmente stipulato a norma del primo e del comma 2 del citato articolo 34, con specifico riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno di venticinque anni di eta’.
2. Con il secondo motivo denuncia “omessa insufficiente contraddittoria motivazione” (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per quanto attiene al contratto di lavoro a tempo determinato, in relazione al quale la sentenza aveva affermato che nulla era stato provato in giudizio circa l’effettivita’ della causale giustificativa, ossia che l’assunzione era avvenuta per sostituzione di un’altra lavoratrice in astensione per maternita’. Parte ricorrente assume un travisamento della prova.
3. Con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Sostiene che il rapporto di lavoro cesso’ in data 15 dicembre 2012, alcuni mesi prima della scadenza del termine apposto al contratto, per dimissioni rassegnate dalla lavoratrice e non per un atto di recesso posto in essere dal datore di lavoro, e che, pertanto, in mancanza di un pregiudizio risarcibile afferente al periodo compreso fra la scadenza del termine e il provvedimento giudiziale di conversione del rapporto di lavoro, erroneamente era stato riconosciuto l’indennizzo previsto dalla citata norma.
4. Con il quarto motivo si denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” in ordine agli elementi istruttori (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con particolare riferimento alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali, ritenute univoche dalla Corte di appello, ma in realta’ inficiate dall’esistenza di rapporti interpersonali ed affettivi tra i testimoni indotti e la stessa ricorrente. Deduce anche in tal caso un travisamento della prova.
5. E’ fondato il terzo motivo, mentre sono infondati gli altri.
6. Il primo contratto di lavoro intercorso tra le parti venne stipulato ai sensi del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 34, comma 2 che, all’epoca dei fatti, prevedeva la possibilita’ che il contratto di lavoro intermittente potesse essere concluso con riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno di venticinque anni di eta’; la (OMISSIS) venne assunta quando ancora non aveva compiuto il venticinquesimo anno di eta’. Prima del compimento di tale eta’, nell’agosto 2012, il contratto di lavoro venne trasformato in contratto a termine, formalmente per sostituzione di altra lavoratrice in maternita’.
6.1. Il Decreto Legislativo n. 276 del 2003, all’articolo 33, definisce il contratto di lavoro intermittente come “il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro che ne puo’ utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui all’articolo 34”. Il contenuto della disposizione si completa, pertanto, con quanto previsto dall’articolo successivo, il quale stabilisce che le prestazioni lavorative hanno carattere “discontinuo o intermittente”, indicandone i presupposti, oggettivi e soggettivi, per la conclusione del contratto.
L’articolo 34, nella formulazione applicabile alla data di assunzione, dopo aver sancito, al comma 1, “il contratto di lavoro intermittente puo’ essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu’ rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno ai sensi dell’articolo 37”, prevedeva, al comma 2, che “il contratto di lavoro intermittente puo’ in ogni caso essere concluso con riferimento a prestazioni rese da soggetti con meno di venticinque anni di eta’ ovvero da lavoratori con piu’ di quarantacinque anni di eta’, anche pensionati”. Alla data della trasformazione in rapporto di lavoro a termine (agosto 2012), il comma 2 dell’articolo 34 stabiliva (a seguito dell’intervento della L. 28 giugno 2012, n. 92), che ” il contratto di lavoro intermittente puo’ in ogni caso essere concluso con soggetti con piu’ di cinquantacinque anni di eta’ e con soggetti con meno di ventiquattro anni di eta’, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro il venticinquesimo anno di eta’” (quanto alla conformita’ al diritto dell’Unione Europea di tale ultima previsione, v. Cass. n. 4223 del 2018).
6.2. Cio’ premesso in via generale, va tuttavia rilevato che la sentenza impugnata, nel confermare il giudizio espresso dal Tribunale, ha richiamato a fondamento della decisione, mediante in sintetico recepimento per relationem, un accertamento ispettivo dell’INPS che aveva attestato la non conformita’ del rapporto di lavoro stipulato Decreto Legislativo n. 276 del 2003, ex articoli 33 e 34 alle previsioni di legge. Il contenuto di tale accertamento non e’ stato trascritto nel ricorso e neppure specificamente contestato. In tal modo non e’ dato neppure conoscere se esso abbia riguardato la non conformita’ a legge accertata nella fase genetica del rapporto di lavoro intermittente e comunque la tipologia della violazione accertata.
6.3. Il motivo di ricorso si limita ad un generico ed assertivo rilievo di regolarita’ del contratto di lavoro intermittente concluso tra le parti, senza consentire a questa Corte di conoscere funditus le ragioni sulle quali la Corte d’appello ha fondato il decisum circa la ritenuta deviazione del rapporto di lavoro dalla tipologia negoziale.
6.4. A norma dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso per cassazione deve contenere, in se’, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimita’ la possibilita’ di provvedere al diretto controllo della decisivita’ dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (cfr. Cass. 11984 del 2011), cio’ anche in considerazione del fatto che, ove sia dedotto il vizio della violazione o falsa applicazione della legge di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, devono essere, a pena d’inammissibilita’, specificamente indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina (ex plurimis, Cass. n. 16862 del 2013, n. 24298 del 2016). In conclusione, la censura, per come formulata, resta avulsa da qualsiasi specificita’, risolvendosi in un mera petizione di principio.
7. Il secondo motivo e’ infondato. A prescindere dalla rubrica del motivo, redatta secondo la vecchia formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, pur trovando applicazione il testo della norma quale riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. S.U. n. 8053 del 2014) -, non e’ stato chiarito innanzitutto quale sarebbe il fatto omesso che avrebbe carattere di “decisivita’”.
7.1. In ogni caso, la Corte di appello ha vagliato le prove testimoniali quanto alla effettivita’ della causale giustificativa del secondo contratto di lavoro, stipulato a tempo determinato, ritenendola non provata proprio alla stregua dell’interpretazione e valutazione delle risultanze istruttorie.
7.2. Nel contestare tale soluzione, parte ricorrente denuncia un’errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini di una alternativa ricostruzione dei fatti, con l’inammissibile intento di sollecitare una valutazione delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal giudice del merito. Secondo costante giurisprudenza di legittimita’, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. tra le tante, Cass. n. 27197 del 2011 e n. 24679 del 2013).
8. Il terzo motivo e’ fondato per le ragioni che seguono.
8.1. La L. 4 novembre 2010, n. 183, articolo 32, comma 5, (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonche’ misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), come interpretato autenticamente dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 13, (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), limita l’ammontare del risarcimento del danno dovuto a seguito della illegittima apposizione del termine ad un contratto di lavoro fissandolo nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto e disponendo che esso ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
8.2. Nel dichiarare infondate le censure di incostituzionalita’ sollevate avverso tale disposizione, la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire, con la sent. n. 226 del 2014, come gia’ con la precedente sent. n. 303 del 2011, che la ratio della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, era ravvisabile nella volonta’ di “introdurre un criterio di liquidazione del danno di piu’ agevole, certa ed omogenea applicazione” a fronte delle “obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente, con l’esito di risarcimenti ingiustificatamente differenziati in misura eccessiva”. E’ stato, inoltre, chiarito che l’articolo 32, comma 5, citato “non si limita a forfettizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine”, ma va ad integrare la garanzia della conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato che costituisce la “protezione piu’ intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario”. La finalita’ perseguita con la L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, dunque, era quella di assicurare la certezza dei rapporti giuridici, imponendo un meccanismo semplificato e di piu’ rapida definizione di liquidazione del danno (evitando accertamenti probatori in ordine alla mora accipiendi, alli aliunde perceptum, al percipiendum, ecc.) a fronte della illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro. Analogo obiettivo e’ alla base della norma di interpretazione autentica contenuta nella L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 13. Tale disposizione, emanata all’indomani della sentenza n. 303 del 2011, sostanzialmente recepisce l’interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, che quella pronuncia conteneva.
8.3. La Corte costituzionale ha cosi’ ribadito che il danno forfettizzato dall’indennita’ in esame “copre soltanto il periodo cosiddetto intermedio, quello, cioe’, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullita’ di esso e dichiara la conversione del rapporto. A partire dalla sentenza con cui il giudice, rilevato il vizio della pattuizione del termine, converte il contratto di lavoro che prevedeva una scadenza in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e’ da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva” (C. Cost. sent. cit.).
8.4. Il riconoscimento del danno forfettizzato dalla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, proprio perche’ destinato – secondo la sua ratio – a compensare il danno costituito dal periodo c.d. intermedio, ossia quello successivo alla scadenza del termine e fino alla sentenza che ne accerta la nullita’ e ricostituisce il rapporto di lavoro, presuppone sia l’esistenza di un periodo intermedio da risarcire, sia l’esistenza di una sentenza che, oltre a dichiarare la conversione ad initio del rapporto a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, disponga la riammissione in servizio del lavoratore, considerato che il danno e’ configurabile, oltre che per l’imputabilita’ della mancata prestazione al datore di lavoro, ove esista un periodo in cui il rapporto di lavoro – de iure ricostituito per effetto della sentenza dichiarativa della nullita’ del termine – avrebbe potuto proseguire.
9. Giova in proposito precisare che la fattispecie ora all’esame non riguarda un’ipotesi di abuso (ossia di reiterazione) del ricorso al contratto a termine, ma un’ipotesi di mera illegittimita’ dell’apposizione del termine all’unico contratto di lavoro stipulato per tale tipologia.
9.1. La sentenza di primo grado, confermata in appello, una volta dichiarata la nullita’ della clausola appositiva del termine, ha provveduto alla conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza tuttavia disporre la riammissione in servizio della lavoratrice, poiche’ nei fatti il rapporto si era risolto per dimissioni intervenute alcuni mesi prima della scadenza del termine illegittimo. E’ dunque mancato un periodo intermedio risarcibile per fatto imputabile al datore di lavoro. Alla dichiarata conversione del rapporto sin dall’origine (con ogni conseguenza economica e previdenziale), non ha fatto seguito la riammissione in servizio, essendo il rapporto di lavoro oramai definitivamente risolto per fatto volontario della lavoratrice.
10. Se e’ vero che questa Corte ha ritenuto che l’indennita’ in questione configura una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, tanto e’ stato affermato con riferimento al fatto che si prescinde dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore nel c.d. periodo intermedio, ossia senza riguardo all’eventuale aliunde perceptum, appunto in quanto indennita’ “forfetizzata” e “onnicomprensiva”, ma pur sempre riferibile ai danni causati dalla nullita’ del termine nel periodo corrente dalla scadenza del termine fino alla sentenza di conversione (cfr. Cass. n. 151 del 2015, n. 19295 del 2014, n. 19098 del 2013. n. 3056 e 9023 del 2012).
11. Per completezza, va rilevato che, quanto alla rivendicazione delle differenze retributive maturate nel periodo di svolgimento del rapporto di lavoro fino al momento delle dimissioni rassegnate dalla lavoratrice nel dicembre 2012, il giudice di primo grado ebbe a disporre l’espletamento di una c.t.u. contabile, per cui la pronuncia sul quantum venne rimessa al prosieguo del giudizio di primo grado, il cui esito resta estraneo al presente giudizio.
12. Il quarto motivo e’ inammissibile per le medesime ragioni gia’ esposte con riguardo al secondo motivo.
13. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito ex articolo 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda di indennizzo L. n. 183 del 2010, ex articolo 32, comma 5, ferme tutte le restanti statuizioni.
14. In ordine alle spese del giudizio, va rilevato che il Tribunale statui’ di regolarle in sede di sentenza definitiva, per cui nulla puo’ essere disposto da questa Corte al riguardo, considerato che il giudizio di legittimita’ ha interessato unicamente la pronuncia di appello avverso la sentenza di primo grado non definitiva.
Quanto al grado di appello, tenuto conto dell’infondatezza della domanda risarcitoria, le spese sono compensate tra le parti nella misura di 1/4 dell’intero liquidato nella sentenza impugnata, mentre la restante parte resta a carico della societa’ soccombente.
Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimita’, in quanto (OMISSIS) e’ rimasta intimata e non ha svolto, pertanto, alcuna attivita’ difensiva.
15. Tenuto conto del parziale accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege solo in caso di rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilita’ o di inammissibilita’ della stessa.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di indennizzo L. n. 183 del 2010, ex articolo 32, comma 5; compensa per 1/4 le spese del giudizio di appello, liquidate come in sentenza di appello e condanna la societa’ ricorrente al pagamento dei restanti 3/4 delle spese. Nulla per le spese del giudizio di legittimita’.

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