Contratti bancari e la omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|27 gennaio 2023| n. 2555.

Contratti bancari e la omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito

In materia di contratti bancari, la omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito non determina la nullità del contratto per difetto della forma scritta, prevista dall’art. 117, comma 3, del Digs n. 385 del 1993. Il requisito formale, infatti, non deve essere inteso in senso strutturale, bensì funzionale, in quanto posto a garanzia della più ampia conoscenza, da parte del cliente, del contratto predisposto dalla banca, la cui mancata sottoscrizione è dunque priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell’istituto di credito idonei a dimostrare la sua volontà di avvalersi di quel contratto.

Ordinanza|27 gennaio 2023| n. 2555. Contratti bancari e la omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito

Data udienza 6 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti bancari – Sottoscrizione del contratto da parte dell’istituto di credito – Mancanza – Nullità per difetto di forma – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 22548/2017 proposto da:
(OMISSIS) s.p.a., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., nella persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), come da procura speciale in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS).
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di MILANO, n. 1270/2017, pubblicata in data 23 marzo 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2022 dal consigliere Lunella Caradonna.

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RILEVATO

CHE:
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello proposto dalla (OMISSIS) s.p.a., avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 4215 del 25 marzo 2014, che aveva respinto le domande di accertamento della illegittimita’ di quattro contratti di conto corrente intrattenuti presso la (OMISSIS) s.p.a. e degli addebiti praticati e l’individuazione dell’esatto rapporto di dare e avere da effettuarsi tramite consulenza tecnica d’ufficio contabile.
2. La Corte di appello di Milano ha affermato che, correttamente il Tribunale aveva statuito che l’onere della prova dell’assenza di pattuizioni in ordine alle somme addebitate sui conti correnti spettava alla societa’ attrice ed aveva accertato, dalla documentazione prodotta dalla stessa parte attrice – appellante, che i contratti di conto corrente recavano l’indicazione dei tassi di interesse; che nei documenti sottoscritti dall’attrice essa aveva dato atto di avere ricevuto la comunicazione delle condizioni applicate al rapporto, ma i moduli contenenti le condizioni contrattuali non erano stati esibiti e, quindi, il primo giudice aveva concluso, con motivazione condivisa, che non era stata data adeguata dimostrazione della mancata pattuizione delle condizioni applicate al rapporto inerenti a interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto, valute e spese.
3. I giudici di secondo grado hanno, altresi’, evidenziato che:
-il motivo sull’illegittimita’ dei tassi ultralegali, delle valute fittizie e delle spese addebitate a carico della correntista, era infondato, poiche’ la societa’ non aveva dimostrato l’assenza di pattuizioni in ordine alle varie voci di credito e del tutto generica era la deduzione relativa alla mancanza di informazioni delle variazioni delle condizioni contrattuali; che sull’arbitraria antergazione o postergazione delle valute, concordemente a quanto affermato dal Tribunale, non si potevano ricavare elementi utili dalla perizia di parte allegata dall’attrice, che indicava dati aggregati e non consentiva alcun confronto o verifica sulle poste annotate negli estratti conto in atti;
era infondato anche il motivo sull’illegittimita’ dell’anatocismo, poiche’, concordemente a quanto rilevato dal Tribunale, non si poteva tenere conto delle rimesse, anche aventi carattere solutorio, compiute nel decennio antecedente alla notifica della citazione (giugno 2010), per l’intervenuta prescrizione e per la mancanza di atti interruttivi; mentre per l’epoca successiva, la parte attrice non aveva specificamente dedotto, ne’ dimostrato, neppure a campione, l’esistenza di addebiti annotati in violazione delle prescrizioni della circolare CICR del 2000 e la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio sul punto si rilevava meramente esplorativa;
il motivo sull’illegittimita’ della commissione di massimo scoperto era infondato perche’, come evidenziato dal Tribunale, la parte attrice non aveva fornito la prova della mancata pattuizione delle condizioni applicate al rapporto e, tra queste, della commissione di massimo scoperto.
4. La (OMISSIS) s.p.a. ha depositato ricorso per cassazione, con atto affidato a quattro motivi.
5. La (OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

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CONSIDERATO

CHE:
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’articolo 132 c.p.c., dell’articolo 161 c.p.c., comma 1, dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’articolo 118 disp. att. c.p.c. e dell’articolo 111 Cost., comma 6, ovvero l’omessa motivazione in merito alle contestazioni riguardanti l’illegittima conduzione dei conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), pacificamente privi di contratti sin dall’origine e sui quali la Banca aveva addebitato oneri finanziari ultra legali per Euro 119.674,13 in maniera illegittima a causa dell’inesistenza delle necessarie relative clausole contrattuali sui costi ultralegali, imposte a pena di nullita’ dall’articolo 1284 c.c. e articolo 117 T.U.B.; la Corte non aveva considerato che l’attrice aveva inutilmente richiesto alla Banca la copia degli eventuali contratti intercorsi e che per questo aveva provato l’illegittimo addebito di competenze ultralegali; la Corte, inoltre, aveva utilizzato le stesse motivazioni riguardanti gli altri conti, nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), con riferimento ai quali la Banca aveva trasmesso i contratti, anche per i contratti riferiti ai conti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), la cui consegna era stata omessa.
2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 207 c.c. e dell’interpretazione al riguardo fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ in materia bancaria con violazione dell’articolo 117 T.U.B., avendo la Corte errato nell’applicare l’articolo 2697 c.c., poiche’ la prova dei fatti negativi poteva essere data anche per presunzioni ed avendo, la parte attrice, fornito la prova dell’inesistenza di valide pattuizioni delle condizioni economiche ultralegali (interessi ultralegali e anatocistici, commissione massimo scoperto, valute fittizie e spese), avendo prodotto, con riguardo ai contratti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), la diffida ex articolo 110 T.U.B. del 4 giugno 2010, con la quale aveva richiesto alla Banca la copia dei contratti, nonche’ la nota di riscontro della banca del 16 giugno 2010, dalla quale emergeva che la stessa non aveva inviato alcun contratto relativamente ai predetti rapporti; con la produzione della diffida e della nota di riscontro la societa’ attrice aveva compiutamente assolto all’onere della prova dei fatti negativi con riguardo ai due conti correnti richiamati, poiche’ il mancato invio dei contratti relativi ai suddetti conti correnti (a fronte della consegna dei contratti relativi ai conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS)) riscontrava l’assunto dell’inesistenza di pattuizioni scritte; nei contratti relativi ai conti correnti e alle aperture di credito nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), invece, mancava la firma della banca ed erano comunque assenti le pattuizioni relativi alla commissione di massimo scoperto, alla regolamentazione delle valute e delle spese, risultando pattuito il tasso debitore ultralegale, tuttavia addebitato illegittimamente in eccesso rispetto alla pattuizione; i suddetti contratti, inoltre, contenevano, all’articolo 7, la clausola anatocistica, in virtu’ della quale gli interessi debitori venivano capitalizzati trimestralmente, mentre quelli creditori con periodicita’ annuale; che i F.I.A., fogli analitici informativi, erano documenti aventi finalita’ informativa privi di forza contrattuale o pattizia e, comunque, le condizioni economiche indicate nei F.I.A. non erano state concordate per iscritto tra le parti.

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2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perche’ si tratta di censure che, pur denunciando vizi diversi, attengono tutte ai criteri di ripartizione dell’onere probatorio tra banca e cliente, sono in parte infondati e in parte inammissibili.
2.2 Deve premettersi che, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configura, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum (Cass., 18 settembre 2009, n. 20112).
2.3 Nel caso in esame, non sussiste il vizio di motivazione dedotto, poiche’ la motivazione dettata dalla Corte territoriale a fondamento della decisione impugnata e’, non solo esistente, bensi’ anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, poiche’ la Corte territoriale, secondo quando sopra diffusamente rilevato, richiamando le argomentazioni di primo grado, ha affermato che l’onere della prova dell’assenza di pattuizioni in ordine alle sommLaddebitate sui conti correnti spettava alla societa’ attrice e che, dalla documentazione prodotta dalla stessa parte attrice – appellante, i contratti di conto corrente recavano l’indicazione dei tassi di interesse. Inoltre, con una autonoma ratio decidendi, che non e’ stata minimamente censurata dalla societa’ ricorrente, ha evidenziato che nei documenti sottoscritti dall’attrice essa aveva dato atto di avere ricevuto la comunicazione delle condizioni applicate al rapporto, anche se i moduli contenenti le condizioni contrattuali non erano stati esibiti, concludendo, concordemente al giudice di primo grado, che non era stata data adeguata dimostrazione della mancata pattuizione delle condizioni applicate al rapporto inerenti a interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto, valute e spese.
2.4 Con cio’ facendo corretta applicazione del principio affermato piu’ volte da questa Corte secondo cui “alle controversie tra Banca e correntista, introdotte su domanda del secondo allo scopo di contestare il saldo negativo per il cliente e di far rideterminare i movimenti ed il saldo finale del rapporto, alla luce della pretesa invalidita’ delle clausole contrattuali costituenti il regolamento pattizio e, cosi’, ottenere la condanna della Banca al pagamento delle maggiori spettanze dell’attore, quest’ultimo e’ gravato del corrispondente onere probatorio, che attiene agli aspetti oggetto della contestazione” (Cass., 26 maggio 2021, n. 14428; Cass., 12 giugno 2020, n. 11294; Cass., 13 novembre 2019, n. 33099; Cass., 28 novembre 2018, n. 30822).
2.5 In particolare e’ stato affermato che grava sull’attore in ripetizione dell’indebito la prova dell’inesistenza di una giusta causa dell’attribuzione patrimoniale compiuta in favore del convenuto, ancorche’ si tratti di prova di un fatto negativo e che non e’ esatto che, ai fini della dimostrazione dell’indebito da pagamento di interessi anatocistici o a tasso ultralegale sia sufficiente dimostrare l’avvenuto pagamento degli stessi (per provare il quale basta effettivamente la produzione degli estratti conto) essendo la legge a vietarne la corresponsione: vero e’ infatti, al contrario, che la legge, sia per gli uni che per gli altri, consente alle parti di concordarne il pagamento in particolari situazioni. E cosi’, l’articolo 1283 c.c., pur vietando in linea di principio che gli interessi scaduti producano a loro volta ulteriori interessi, lo consente tuttavia “per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza” e anche l’articolo 120 T.U.B. da’ ampio spazio a convenzioni giustificative dell’anatocismo, analogamente, l’articolo 1284 c.c. e l’articolo 117 T.U.B. consentono la pattuizione di interessi a tasso superiore a quello legale. Grava, conseguentemente, sull’attore in ripetizione di indebito anche la prova negativa, dell’inesistenza di tali accordi tra le parti. E’ pur vero, tuttavia, che la produzione del contratto a base del rapporto bancario e’ a tal fine per un verso non indispensabile e per altro verso neppure sufficiente. Non e’ sufficiente perche’, anche una volta che sia stato esibito il contratto, resta possibile che l’accordo sia stato stipulato con un atto diverso e successivo; non e’ – soprattutto – indispensabile perche’ anche altri mezzi di prova, quali le presunzioni unitamente agli argomenti di prova ricavabili dal comportamento processuale della controparte, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., comma 2, nonche’ al limite il giuramento, possono valere allo scopo di dimostrare l’assenza dei fatti costitutivi del debito dell’attore (Cass., 19 gennaio 2022, n. 1550).
2.6 La Corte di appello, dunque, conformemente ai superiori principi, ha rilevato che i contratti di conto corrente recavano l’indicazione dei tassi di interesse e che ai documenti sottoscritti dall’attrice risultava che la stessa aveva atto di avere ricevuto la comunicazione delle condizioni applicate al rapporto, mentre con riferimento ai rapporti in cui i contratti non erano stati prodotti l’attrice non aveva dato la prova dell’assenza delle pattuizioni in ordine alle somme addebitate sui conti correnti.
2.7 Con specifico riferimento, poi, all’affermazione della societa’ ricorrente secondo cui avendo l’attrice prodotto in giudizio la diffida ex articolo 119 T.U.B. e la relativa risposta negativa della Banca aveva compiutamente assolto all’onere della prova indiretta e presuntiva su essa gravante avente ad oggetto l’inesistenza dei contratti, deve richiamarsi la sentenza di questa Corte del 13 settembre 2021, n. 24641, che ha affermato che:
– il Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 119, comma 4, pone una disposizione che concorre, unitamente alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articoli 116, 117 e 118 recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a definire le obbligazioni gravanti sulla banca in adempimento del contratto stipulato con il cliente e ha, dunque, natura sostanziale, la cui tutela e’ prevista come situazione giuridica “finale” e non strumentale e cio’ non esclude, ovviamente, che la richiesta di documentazione possa essere avanzata in vista della predisposizione dei mezzi di prova necessari ai fini di un’azione del cliente, o di chi per lui (quale curatore fallimentare, fideiussore), contro la banca;
-l’obbligazione prevista dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 119, comma 4, sorge dal contratto e deve essere adempiuta solo se il cliente abbia avanzato la relativa richiesta; dal momento della formulazione della richiesta e trascorso inutilmente il termine allo scopo previsto si concretizza l’inadempimento della Banca;
– in base al tenore letterale del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 119, comma 4, non puo’ trarsi dal precetto dettato dalla indicata disposizione, il principio secondo cui detta norma possa trovare applicazione anche a giudizio pendente, attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo, sebbene il correntista non abbia previamente effettuato la richiesta alla banca e questa non via abbia adempiuto; piuttosto l’istanza di consegna degli estratti conti deve procedere, se non l’introduzione del giudizio, quanto meno l’istanza di esibizione rivolta al giudice;
– il cliente, in caso di inadempimento della banca dell’obbligazione sancita dall’articolo 119, comma 4 richiamato, ha a disposizione diverse strade: ricorso all’ABF, ricorso per decreto ingiuntivo, istanza di esibizione ex articolo 210 c.p.c.;
– se il cliente, o chi per lui, ha esercitato il diritto di cui all’articolo 119 citato, comma 4 e la banca non vi ha ottemperato, la parte puo’ richiedere l’ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c., mentre se il cliente non ha effettuato la preventiva richiesta, inadempiuta, non vi sono margini per l’ordine di esibizione di cui all’articolo 210 c.p.c..
2.8 Tanto premesso, nel caso in esame, la societa’ ricorrente, pur avendo chiesto alla Banca la documentazione relativa ai conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), con riferimento ai quali la Banca aveva trasmesso i contratti, e ai conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS) (in relazione ai quali la Banca non aveva trasmesso i contratti), non ha poi espressamente richiesto, in sede di istanze istruttorie, di disporre l’esibizione e/o acquisizione di tutta la documentazione relativa ai conti correnti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), con la conseguenza che, tenuto conto dell’assolvimento dell’onus probandi a carico della societa’ ricorrente in sede extragiudiziale (ex articolo 119 T.U.B.), ma non anche in sede giurisdizionale (con puntuale istanza di esibizione ex articolo 210 c.p.c.), la Corte di appello di Milano ha ritenuto correttamente che la mancata produzione dei contratti costituiva un inadempimento dell’onere probatorio gravante sul cliente in relazione alla propria domanda di accertamento negativo, ne’ i giudici di merito potevano tenere conto di un’istanza di esibizione che non era stata mai formulata nel giudizio di primo grado dalla societa’ ricorrente.
2.9 Ed invero, per quanto diffusamente argomentato, va ribadito che il Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 119, comma 4, nella versione applicabile ratione temporis, non impatta ne’ sul riparto degli oneri probatori, ne’ sulla disciplina processuale applicabile, ma consente, piuttosto, al contraente che ha esercitato il diritto ivi previsto, senza esito positivo, di richiedere l’ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c. (Cass., 13 settembre 2021, n. 24641, citata) e che da questa sequenza extragiudiziale e, poi, giudiziale (quest’ultima, lo si ribadisce, nel caso di specie, assente), non ne discende l’assolvimento dell’onere della prova indiretta e presuntiva gravante sul correntista avente ad oggetto l’inesistenza dei contratti, poiche’, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’inosservanza dell’ordine di esibizione di documenti integra un comportamento del quale il giudice puo’, nell’esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova ex articolo 116 c.p.c., comma 2, (Cass., 27 gennaio 2017, n. 2148).
2.10 I motivi, peraltro, non sono conformi al principio di autosufficienza, non essendo stati trascritti la diffida ex articolo 119 T.U.B., la nota di riscontro del 16 giugno 2010, i contratti di conto corrente e di apertura di credito esistenti in atti, i fogli analitici informativi (FIA), le aperture di credito e gli estratti conto dai quali si ricaverebbe l’esistenza dei fidi (cfr. Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass., 1 luglio 2021, n. 18695); la societa’ ricorrente, in particolare, non ha assolto l’onere di trascrivere la parte significativa degli atti richiamati in relazione alla loro rilevanza decisoria nel processo, al fine di consentire a questa Corte di delibare la decisivita’ delle risultanze asseritamente non valutate (Cass., Sez. U., 13 gennaio 1997, n. 265; Cass., 8 marzo 2019, n. 6735).

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2.11 Cio’ anche in conformita’ al principio statuito, di recente, dalle Sezioni Unite della Corte secondo cui “Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) quale corollario del requisito di specificita’ dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, cosi’ da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non puo’, tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito” (Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950).
2.12 E’ infondata, pure, la censura relativa alla mancanza di firma della banca nei contratti relativi ai conti correnti e alle aperture di credito nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), invece, mancava la firma della banca, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “In materia di contratti bancari, la omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito non determina la nullita’ del contratto per difetto della forma scritta, prevista dal Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 117, comma 3. Il requisito formale, infatti, non deve essere inteso in senso strutturale, bensi’ funzionale, in quanto posto a garanzia della piu’ ampia conoscenza, da parte del cliente, del contratto predisposto dalla banca, la cui mancata sottoscrizione e’ dunque priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell’istituto di credito idonei a dimostrare la sua volonta’ di avvalersi di quel contratto” (Cass., 6 settembre 2019, n. 22385; Cass., 18 giugno 2018, n. 16070; Cass., Sez. U., 16 gennaio 2018, n. 898).
3. Con il terzo motivo si lamenta l’illegittima applicazione delle norme sulla prescrizione e del principio giurisprudenziale sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 2 ottobre 2010, n. 24418; poiche’ la societa’ attrice aveva dato la prova dell’esistenza dei fidi, era preciso onere della Banca indicare specificamente quali fossero le rimesse solutorie, essendo insufficiente una generica eccezione di prescrizione, posto che nel corso del rapporto assistito da fido i versamenti eseguiti avevano normalmente una funzione ripristinatoria della provvista; il giudice di appello, al riguardo, aveva errato a ritenere la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio esplorativa, essendo necessaria la consulenza contabile al fine di individuare le somme illegittimamente addebitate sui conti per cui era causa.
3.1 Il motivo e’ infondato.
3.2 In tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, e’ soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass., Sez. U., 13 giugno 2019, n. 15895; Cass., 11 marzo 2020, n. 7013).
3.3 Dunque, proposta l’eccezione di prescrizione, la Banca non era onerata di eccepire anche la finalita’ solutoria dei versamenti; essendo l’eccezione di prescrizione validamente proposta avendo la Banca allegato il fatto costitutivo, e cioe’ l’inerzia del titolare, e manifestato la volonta’ di avvalersene, spettava alla societa’ ricorrente l’onere di l’esistenza di un contratto di apertura di credito idoneo a qualificare il pagamento come ripristinatorio e a spostare l’inizio del decorso della prescrizione al momento della chiusura del conto.
4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione degli articoli 1283 e 2697 c.c. e della Delib. CICR 9 febbraio 2000; error in procedendo ex articoli 115 e 183 c.p.c. e articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la Corte d’appello ritenuto ritualmente provato l’adeguamento da parte della Banca alla Delib. CICR 9 febbraio 2000, utilizzando allegazioni e prove proposte dalla Banca convenuta una volta spirati i termini perentori ex articolo 183 c.p.c., avendo la Banca allegato di essersi adeguata alla Delib. CICR 9 febbraio 2000 soltanto in comparsa conclusionale; la Banca, inoltre, non aveva mai fornito la prova della comunicazione alla cliente, da effettuarsi entro il 31 dicembre 2000, dell’intervenuto adeguamento alla Delib., imposta dall’articolo 7, n. 2; in ogni caso, ai sensi dell’articolo 7, n. 3, della citata delibera, sarebbe stata necessaria una nuova convenzione formale tra le parti, poiche’ le nuove condizioni economiche anatocistiche avevano comportato un evidente peggioramento rispetto a quelle che avrebbero dovuto essere applicate in seguito all’accertamento della nullita’ della clausola.
4.1 Il motivo e’ inammissibile, perche’ non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, laddove, richiamando le argomentazioni del Tribunale, ha affermato che non si poteva tenere conto delle rimesse, anche aventi natura solutoria, compiute nel decennio antecedente alla notifica dell’atto di citazione, avvenuta nel giugno 2010, perche’ prescritte e in assenza di atti interruttivi; mentre, per l’epoca successiva a tale data, a fronte dell’affermazione della Banca che asseriva di essersi attenuta alle prescrizioni della circolare CICR del 2000, la parte attrice non aveva specificamente dedotto, ne’ dimostrato, neppure a campione, l’esercizio di addebiti annotati in violazione della predetta norma regolamentare e per questi motivi, la consulenza tecnica d’ufficio richiesta si rilevava meramente esplorativa (pag. 10 della sentenza impugnata, che richiama pag. 4 della sentenza di primo grado).
4.2 Mette conto rilevare, peraltro, che dalla parte sopra richiamata della sentenza impugnata, che riporta tra virgolette il percorso argomentativo del primo giudice, emerge che la Banca, gia’ in primo grado aveva asserito di essersi attenuta alle prescrizioni della circolare CICR del 2000 e che la censura oggi proposta (la Corte d’appello aveva ritenuto ritualmente provato l’adeguamento da parte della banca alla Delib. CICR 9 febbraio 2000, utilizzando allegazioni e prove proposte dalla Banca convenuta una volta spirati i termini perentori ex articolo 183 c.p.c., avendo la Banca allegato di essersi adeguata alla Delib. CICR 9 febbraio 2000 soltanto in comparsa conclusionale), non risulta essere stata proposta nel giudizio di secondo grado, rilevando sul punto anche un difetto di autosufficienza della censura.
5. Per quanto esposto, il ricorso va rigettato e la societa’ ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonche’ al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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