Il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 31 gennaio 2020, n. 820.

La massima estrapolata:

Il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.

Sentenza 31 gennaio 2020, n. 820

Data udienza 23 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5586 del 2019, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e dall’Ufficio Territoriale del Governo di Mantova, in persona del Prefetto pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma. Bi. e dall’Avvocato Al. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Um. Mo., dall’Avvocato Re. D’I. e dall’Avvocato Cl. D’Is., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza -OMISSIS- del 17 maggio 2019 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, resa tra le parti, che ha annullato l’informazione antimafia emessa dalla Prefettura di Mantova nei confronti di -OMISSIS-
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- e di -OMISSIS-;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020 il Consigliere Massimiliano Noccelli e udito per l’odierno appellante, il Ministero dell’Interno, l’Avvocato Fa. Fr. su delega dichiarata dell’Avvocato Ma. Bi., per gli odierni appellati, -OMISSIS- e -OMISSIS- nonché, per le pubbliche amministrazioni appellanti, l’Avvocato dello Stato Wa. Fe.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellante, -OMISSIS-, costituita nel -OMISSIS- è una società di autotrasporti di merci con conto terzi.
1.1. Il 1° dicembre 2017 la Prefettura di Mantova ha emesso nei confronti della società un’informazione antimafia, ai sensi dell’art. 84, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 159 del 2011, attestando il rischio di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso.
1.2. Più in particolare l’informazione antimafia si fonda sui rapporti intrattenuti tra l’odierno appellante, -OMISSIS-, socio detentore del 40% del capitale sociale nonché amministratore, con ambienti criminali di stampo camorristico e, in particolare, con -OMISSIS- e la documentazione di tali rapporti, come pure ricorda la sentenza di primo grado avanti a questo Consiglio impugnata di cui oltre si dirà, è individuata nella sentenza -OMISSIS- 18 dicembre 2015 del G.U.P. presso il Tribunale di Napoli.
2. Avverso l’informazione antimafia predetta -OMISSIS- ha proposto ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, articolando cinque motivi, e ne ha chiesto l’annullamento.
2.1. Si sono costituiti nel primo grado del giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Mantova per chiedere la reiezione del ricorso e si è altresì costituito, in proprio, -OMISSIS-.
2.2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza -OMISSIS- del 17 maggio 2019, ha accolto il ricorso e ha annullato l’informazione antimafia in questa sede impugnata.
3. Avverso tale sentenza hanno proposto appello il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Mantova e, nel dedurne l’erroneità con due distinti motivi, che di seguito saranno esaminati, ne hanno chiesto la riforma, con la conseguente reiezione del ricorso proposto in primo grado.
3.1. Si sono costituiti separatamente -OMISSIS- e -OMISSIS-, che hanno chiesto la reiezione dell’appello.
3.2. -OMISSIS-, peraltro, ha nel proprio controricorso riproposto anche, ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., i motivi assorbiti dell’originario gravame.
3.3. Nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2020 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello proposto dal Ministero dell’Interno è fondato.
4.1. Il Collegio deve in limine litis disporre l’estromissione dal giudizio di -OMISSIS- che, non essendo legittimato ad impugnare personalmente l’informazione antimafia emessa nei confronti di -OMISSIS-, non ha diritto a partecipare al relativo giudizio, rispetto al quale non può vantare nessuna utilità, nemmeno di ordine morale, che lo legittimi ad intervenirvi.
5. Ciò premesso, quanto anzitutto al primo motivo di appello (pp. 4-10 del ricorso), inerente alla sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 84, comma 4, e dall’art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011 per l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia, rileva la Collegio che la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principî che governano la materia, secondo l’ormai consolidato orientamento del giudice amministrativo (Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105 nonché da ultimo, nel medesimo senso, anche C.G.A.R.S., sez. giurisd., 30 dicembre 2019, n. 1099)
5.1. Secondo il primo giudice, infatti, il decorso del tempo affievolisce naturalmente i legami di qualsiasi natura e non sarebbe possibile ritenere che i contatti intervenuti in passato con soggetti vicini alla criminalità organizzata siano rappresentativi della situazione presente, sicché occorrerebbe fornire la prova, da parte della Prefettura, che vi siano state occasioni di rinnovazione o di conferma dei rapporti pregressi.
5.2. Il primo giudice ha così ignorato del tutto il principio secondo cui gli elementi posti a base dell’informazione antimafia non perdono la loro valenza indiziaria per il mero trascorrere del tempo se non sono sopraggiunti ulteriori, nuovi, elementi di segno contrario che ne intaccano o anche solo attenuano l’attualità (Cons. St., sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653), soprattutto ove tali elementi siano, come nel caso di specie, afferenti a gravi episodi di collegamento e/o di collaborazione con la criminalità organizzata di stampo camorristico, indicativi di una sicura – e non solo, si noti, più che probabile – vicinanza o contiguità soggiacente.
5.3. La sentenza impugnata ha infatti trascurato che il G.U.P. presso il Tribunale di Napoli, con la sentenza -OMISSIS- del 2015, ha dichiarato non doversi procedere per l’estinzione del reato, in seguito ad intervenuta prescrizione, in riferimento alla contestazione, ad -OMISSIS-, del delitto di false dichiarazioni destinate all’autorità giudiziaria di cui all’art. 374-bis c.p., con l’aggravante mafiosa di cui all’art. 7 della l. n. 203 del 1991 (aggravante, tuttavia, esclusa dal giudice penale, come poi si dirà ).
5.4. Nella sentenza vengono ampiamente riportate le intercettazioni eseguite dagli organi inquirenti, dalle quali emerge l’intervento di soggetti che hanno contribuito a reperire al noto pregiudicato e affiliato alla camorra, -OMISSIS-, un’abitazione e un contratto di lavoro per conseguire dal giudice della sorveglianza una licenza lavorativa, poi effettivamente ottenuta con il decreto -OMISSIS- 2007.
5.5. -OMISSIS- risulta avere fornito a -OMISSIS- la documentazione attestante lo svolgimento di attività lavorativa presso -OMISSIS-
5.6. Tale documentazione si è però rivelata falsa, perché dalle intercettazioni è invece emerso che -OMISSIS- si trovava presso la propria casa di -OMISSIS- nei giorni e negli orari in cui, secondo la documentazione fornita da -OMISSIS- e destinata all’autorità giudiziaria, si sarebbe dovuto trovare a svolgere l’attività lavorativa.
5.7. La nota della D.I.A. – Sezione di Brescia n. -OMISSIS- del 10 maggio 2017 ha confermato gli elementi di collegamento oggettivo tra -OMISSIS- e -OMISSIS-.
5.8. Appare estremamente grave e indicativa di sicura contiguità mafiosa la condotta di -OMISSIS-, prosciolto solo per intervenuta prescrizione del gravissimo delitto di cui all’art. 374-bis c.p., che ha fornito all’autorità giudiziaria false dichiarazioni per fare ottenere a -OMISSIS-, pericoloso boss del clan camorristico “-OMISSIS-“, benefici dal giudice della sorveglianza e, in particolare, la licenza lavorativa di cui si è detto.
5.9. Né si può ritenere che il serissimo pericolo infiltrativo della camorra nelle attività espletate da -OMISSIS-, il quale ha tenuto una simile condotta traendo in inganno l’autorità giudiziaria penale attestando che il boss al tempo detenuto, circostanza che certo il -OMISSIS- non poteva ignorare al di là della intermediazione offerta da -OMISSIS-, lavorava presso la sua impresa nei giorni e nelle ore in cui è risultato dimorare in casa a -OMISSIS-, sia venuto meno per il mero trascorrere del tempo, perché, diversamente da quanto ha a torto assunto il primo giudice, una simile condotta compiacente è rivelatrice di una volontà a dir poco collaborativa con pericolosissimi soggetti appartenenti alla criminalità organizzata e capace di sfidare il tempo e, nel caso di specie, persino di eludere la sorveglianza della magistratura penale.
6. Grave e attuale è perciò a tutt’oggi, in assenza di elementi sopraggiunti di segno contrario nemmeno allegati da -OMISSIS-, il pericolo infiltrativo che grava, secondo la logica della probabilità cruciale, su -OMISSIS- e sulle imprese controllate, anche indirettamente, da -OMISSIS- (che detiene il 40% delle quote societarie), resosi protagonista di un comportamento di inequivocabile e tuttora attuale pericolosità, che non può essere liquidato semplicisticamente, e immotivatamente, come un “episodio isolato”.
6.1. Né giova sostenere, come sostiene -OMISSIS-, che, qualora si volesse applicare la misura interdittiva sol perché collegata all’assunzione di detenuti inseriti in un progetto di reinserimento sociale, si disincentiverebbero tali assunzioni da parte degli imprenditori, venendo, così, meno il principio assistenzialistico della normativa di specie.
6.2. Evidente è, infatti, come il comportamento di -OMISSIS- sia andato ben al di là di un mero adempimento assistenzialistico, previsto dalla legge, per consentire al detenuto, invece, di ottenere benefici sulla base di una documentazione falsa presentata al magistrato di sorveglianza e la gravità di un simile comportamento, rimasto impunito solo per l’intervenuta prescrizione connessa alla rinuncia della potestà punitiva da parte dello Stato dopo gran tempo, è già di per sé sufficiente a denotare il pericolo di inquinamento mafioso dell’attività economica svolta o anche solo controllata dal -OMISSIS-, attraverso la detenzione del capitale sociale, risultata compiacente agli interessi di un pericoloso esponente della criminalità organizzata di stampo camorristico.
7. Quanto al secondo motivo (pp. 11-13 del ricorso), relativo alla violazione delle garanzie procedimentali ritenuta in concreto sussistente dal primo giudice anche se infine esclusa per l’applicazione dell’art. 21-octies della l. n. 241 del -OMISSIS- deve rilevarsi che esso è inammissibile per difetto di interesse.
7.1. Il primo giudice ha ritenuto che anche per le informazioni antimafia occorra il rispetto delle garanzie procedimentali e che la comunicazione di avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 della l. n. 241 del -OMISSIS- e il preavviso di rigetto, previsto dall’art. 10-bis della stessa legge, sono adempimenti necessari anche in questa materia, dovendo a suo avviso sempre essere garantito il pieno esercizio del diritto di difesa, ma ha escluso che il vizio procedimentale potesse invalidare l’atto prefettizio per la ritenuta applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241 del -OMISSIS- in quanto alla pubblica amministrazione sarebbe consentito di dimostrare che il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, con una interlocuzione tra autorità e privato che dalla sede procedimentale si “sposta” sul versante processuale.
7.2. Ora, sebbene si tratti di una motivazione doppiamente erronea non solo perché l’informazione antimafia non richiede la necessaria osservanza del contraddittorio procedimentale, meramente eventuale in questa materia ai sensi dell’art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 (di cui si dirà in seguito), ma anche perché l’applicazione dell’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990 non è in nessun modo consentita all’informazione antimafia, provvedimento giammai vincolato, ma per sua stessa natura discrezionale nell’accezione già precisata da questa Sezione nella sentenza n. 6105 del 5 settembre 2019, alle cui considerazioni tutte, anche ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., si rinvia per obbligo di sintesi, si deve rilevare che la sentenza ha comunque respinto conclusivamente il motivo e non è stata oggetto, sul punto, di impugnazione incidentale da parte di -OMISSIS- e di -OMISSIS-.
7.3. Attesa la reiezione del motivo in esame, da parte del primo giudice, il Ministero non ha interesse ad impugnare sul punto la statuizione conclusivamente favorevole, per quanto sorretta da una erronea motivazione, nei sensi appena indicati.
7.4. Il Collegio non ignora peraltro la dibattuta questione del contraddittorio procedimentale in materia di informazioni antimafia sulla quale, come è noto, si registrano in dottrina voci dissenzienti e, di recente, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, con l’ordinanza n. 28 del 13 gennaio 2020 abbia chiesto alla Corte di Giustizia UE di chiarire pregiudizialmente, ai fini della decisione del giudizio, se gli artt. 91, 92 e 93 del d.lgs. n. 159 del 2011, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio procedimentale in favore del soggetto nei cui confronti il Prefetto si propone di rilasciare una informazione antimafia, siano compatibili con il principio del contraddittorio, così come ricostruito e riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione.
7.5. La questione esula dal perimetro di rilevanza specifica del presente giudizio, per le ragioni processuali appena esposte, e su di essa si pronuncerà, se del caso, la Corte di Giustizia UE.
7.6. Nondimeno, e salvo quanto si dirà sulla dedotta violazione, nel presente giudizio, dell’art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 con il quarto motivo riproposto dall’appellata -OMISSIS-, ritiene in questa sede il Collegio di dover rilevare incidenter tantum che, ferma restando ogni cognizione della Corte UE sulla questione rimessale, l’assenza di una necessaria interlocuzione procedimentale in questa materia non costituisca un vulnus al principio di buona amministrazione, perché, come la stessa Corte UE ha affermato, il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che “queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti” (sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C-298/16, § 35 e giurisprudenza ivi citata) e, in riferimento alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte UE, seppure ad altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario), ha di recente ribadito che “il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici” (Corte di Giustizia UE, 26 settembre 2019, in C-63/18, § 37).
7.7. La discovery anticipata, già in sede procedimentale, di elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata di stampo mafioso e agli atti delle indagini preliminari, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi.
7.8. Questa Sezione ha perciò già chiarito che la delicatezza della ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (ma v. pure Corte cost.: sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo (Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565).
7.9. E d’altro canto, occorre qui ricordarlo, il contraddittorio procedimentale non è del tutto assente nemmeno nelle procedure antimafia, se è vero che l’art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che “il prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile”.
8. Devono essere qui di seguito esaminati, e respinti, i motivi assorbiti riproposti da -OMISSIS- nel proprio controricorso in quanto:
a) il primo motivo (pp. 12-14 del controricorso), relativo alla cattiva applicazione dell’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, è infondato perché la Sezione ha già chiarito che questa disposizione si applica anche alle ipotesi in cui non vi siano misure di prevenzione personali definitive, dovendo altrimenti ritenersi che l’informazione antimafia prevista dall’art. 89-bis sarebbe un’inutile duplicazione della comunicazione antimafia (Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565);
b) il secondo motivo (pp. 14-15 del controricorso), relativo all’assenza di influenze mafiose per l’esclusione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 7 della l. n 203 del 1991 da parte del giudice penale, è pure esso infondato, perché per ritenere sussistente l’infiltrazione mafiosa ai fini dell’art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 non è necessaria la configurabilità di tale aggravante, che può essere anche esclusa dal giudice penale senza che ciò infici ipso iure l’autonoma valutazione dell’autorità amministrativa in ordine anche al solo semplice collegamento tra l’imprenditore e il soggetto appartenente ad un clan mafioso;
c) il terzo motivo (pp. 15-20 del controricorso), relativo al difetto di istruttoria, è anche esso infondato perché, se è vero che dalla lettura della sentenza penale emerge come -OMISSIS- abbia funto da tramite tra -OMISSIS- e -OMISSIS- per l’assunzione presso -OMISSIS-, nondimeno le false attestazioni rilasciate da -OMISSIS- in favore di un soggetto ristretto da anni in carcere per la sua appartenenza camorristica (circostanza, questa, che certo un imprenditore avveduto e una persona di normale diligenza non può ignorare o fingere di ignorare), se non irrealisticamente motivate da un intento filantropico, sono in realtà assai più plausibilmente giustificabili, secondo la logica probabilistica, da un legame con -OMISSIS- che, del resto, anche nelle intercettazioni telefoniche parla di una riscossione violenta di un credito “cedutogli” da -OMISSIS-, dichiarazioni che, sebbene poi non riscontrate (sì che -OMISSIS- è stato assolto dalla contestazione di cui all’art. 629 c.p.), appaiono tutt’altro che come una millanteria del boss, dopo l’indubbio favore ricevuto dal -OMISSIS- con tali false attestazioni, che gli hanno fatto ottenere la licenza lavorativa;
d) il quarto motivo (pp. 20-21 del controricorso), relativo alla violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 e/o dell’art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011, è anche esso infondato, perché il subprocedimento per il rilascio della comunicazione e/o dell’informazione antimafia, anche se si innesta su un procedimento ad istanza di parte, non è mai un procedimento ad istanza della parte privata, ma sempre su richiesta e impulso della pubblica amministrazione richiesta di emettere il provvedimento od obbligata ad esercitare il controllo, sicché non può applicarsi al caso l’art. 10-bis della l. n. 241 del -OMISSIS- mentre la violazione dell’art. 93, comma 7, della l. n. 159 del 2011 non sussiste, nel caso di specie, perché la disposizione rimette al prudente apprezzamento dell’autorità prefettizia la scelta di ascoltare l’interessato, con un contraddittorio eventuale condizionato all’utilità di tale apporto procedimentale che, nel caso di specie, sarebbe stato del tutto inutile, attesa la circostanza determinante che gli elementi di infiltrazione si traevano essenzialmente dalla sola sentenza penale, che aveva dichiarato prescritto il delitto di cui all’art. 374-bis c.p. contestato ad -OMISSIS-, rispetto alla quale -OMISSIS- neppure nel presente giudizio ha fornito ulteriori aggiuntivi elementi di chiarificazione rispetto ai gravi elementi emergenti da detto provvedimento;
e) il quinto motivo (pp. 20-21 del controricorso), inerente alla violazione dell’art. 21-bis della l. n. 241 del -OMISSIS- è anche esso infondato perché il provvedimento prefettizio è stato comunicato il 21 dicembre 2017 ad -OMISSIS- nella qualità di socio, al 40%, nonché di componente, all’epoca, del consiglio di amministrazione, come si legge nel provvedimento prefettizio prodotto dalla stessa -OMISSIS- (doc. 1 fasc. ricorrente in prime cure), sicché non può affermarsi che -OMISSIS- non ne sia stata debitamente notiziata ai sensi e per gli effetti dell’art. 92 del d.lgs. n. 159 del 2011 in persona di -OMISSIS-, tanto da avere infatti proposto tempestivo ricorso avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia.
15. In conclusione, dunque, l’appello del Ministero deve essere accolto per le ragioni esposte, sicché, in riforma della sentenza impugnata, va respinto in tutti i suoi motivi, anche quelli non esaminati, assorbiti e qui riproposti, il ricorso proposto in primo grado da -OMISSIS-
16. Le spese del doppio grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dell’appellata -OMISSIS-
16.1. Rimane definitivamente a suo carico il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado, mentre l’appellata deve essere condannata a rimborsare il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da Ministero dell’Interno, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dispone l’estromissione di -OMISSIS- dal presente giudizio e respinge in tutti i suoi motivi il ricorso proposto in primo grado da -OMISSIS-
Condanna -OMISSIS- a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del doppio grado del giudizio, che liquida nel complessivo importo di Euro 8.000,00 (Euro 3.000,00 per il primo grado ed Euro 5.000,00 per il secondo grado), oltre gli accessori come per legge.
Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso in primo grado.
Condanna -OMISSIS- a rimborsare il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 196 del 2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di -OMISSIS-, di -OMISSIS-, di -OMISSIS-, di -OMISSIS- e del clan “-OMISSIS-“.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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