consiglio di stato bis

Consiglio di Stato

sezione V
sentenza 11 gennaio 2016, n. 58

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5709 del 2007, proposto dall’A.N. S.p.A.;

contro

Il Comune di (omissis);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V n. 3781/2007, resa tra le parti, concernente la rimozione di rifiuti e la bonifica di un’area;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2015 il Cons. Raffaele Prosperi e udito per le parte appellante l’avvocato Federico Bucci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ordinanza n. 30133 in data 7 dicembre 2006, il Commissario Straordinario del Comune di (omissis) ordinava al compartimento An. di (omissis) di «provvedere, entro il termine di cinque giorni dalla data di notificazione della presente alla rimozione e bonifica dell’area sottostante l’asse viario (omissis) ed a inibire l’accesso al sito da via (omissis) con adeguata recinzione».

Nelle premesse del provvedimento, si faceva riferimento ad una relazione derivante da un sopralluogo dei tecnici comunali (in cui era rilevata la presenza di rifiuti quali pneumatici, arredi e materiale di risulta provenienti da lavori) e alla legittimazione passiva dell’An., quale soggetto obbligato alla rimozione dei rifiuti.

2. Con il ricorso n. 1259 del 2007, proposto al Tar per la Campania, lAn. impugnava tale ordinanza.

Si costituiva in giudizio il Comune di (omissis), depositando un proprio successivo provvedimento adottato il 20 marzo 2007, con cui ordinava al Capo Sezione Ambiente del Comune di rimuovere i rifiuti in questione e segnalava la contestuale apertura di un procedimento amministrativo per accertare il responsabile dell’abbandono.3.

3. Il Tar della Campania, con la sentenza n. 3781 del 17 aprile 2007, ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso dell’An., in considerazione della emanazione del provvedimento del 20 marzo 2007, e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

4. Con l’appello in esame, notificato il 21 giugno 2007, l’An. impugnava la sentenza del Tar, deducendo preliminarmente che il provvedimento rivolto al Capo Sezione Ambiente del Comune non sostituiva la precedente ordinanza, poiché si provvedeva solamente alla rimozione d’ufficio dei rifiuti e rimandava ad una valutazione successiva l’individuazione della responsabilità dello spargimento, senza rimuovere la precedente individuazione in capo all’An.: doveva ritenersi palese, ad avviso dell’appellante, che perdurava il suo interesse ad una pronuncia sul merito della controversia.

Nel merito venivano sollevate le seguenti censure:

a) Incompetenza del Commissario Straordinario.

L’ordinanza del Commissario – pur emessa nel rispetto dell’art. 14 D. Lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 192 D. Lgs. n. 152 del 2006 – è stata emessa in violazione delle disposizioni del t.u.e.l. sulle competenze del Sindaco e su quelle dei dirigenti.

b)Violazione dell’art. 14, co. 3, D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e dell’art. 192 D. Lgs. n. 152 del 2006, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e inesistenza dei presupposti; difetto di legittimazione passiva.

L’ordinanza è stata rivolta all’An., quale responsabile in solido con gli ignoti autori dell’abbandono, mentre in realtà il soggetto tenuto alla rimozione dei rifiuti abbandonati è l’autore dello stesso abbandono quando egli sia identificabile. Allorché questi non lo sia, il soggetto tenuto alla rimozione è il Comune nel cui territorio si è verificato l’abbandono. L’An. non è nemmeno proprietaria, né le è imputabile alcuna condotta che abbia favorito l’abbandono dei rifiuti: l’An.. Infatti, non è proprietaria di strade e le loro pertinenze, le quali fanno parte del demanio pubblico, ma si occupa solamente della loro costruzione e della loro manutenzione ordinaria e straordinaria. Nemmeno può farsi questione di dolo o colpa dell’appellante, poiché, a parte il difetto di istruttoria dell’ordinanza, il rapporto tra l’An. e le strade pubbliche non può essere paragonato alla proprietà ordinaria, in quanto le strade pubbliche sono oggetto di un’utilizzazione generale diretta da parte di terzi, con una evidente limitazione in concreto della possibilità di custodia e di vigilanza che non implica neanche l’obbligo di istituire un servizio di controllo permanente, né altre attività che sarebbero incompatibili con le destinazioni, oppure un’inutile posa di cartelli dissuasori.

Quindi non si può far risalire in capo all’An. nemmeno quell’obbligo generico di custodia, tipico del proprietario.

c) Violazione dell’art. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241, per difetto di motivazione.

Nulla afferma il provvedimento circa i presupposti di fatto e le ragioni che farebbero ritenere l’An. legittimata passiva dell’ordinanza oppure proprietaria dell’area in questione.

d) Violazione degli artt. 7 e 8 L. 7 agosto 1990, n. 241, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

E’ mancato il coinvolgimento dell’interessata nel procedimento, pur non sussistendo ragioni di urgenza, che comunque non sono state richiamate.

e) Violazione degli artt. 13, 21 e 7 co. 2 lett. d) D. Lgs. 22 del 1997 e dell’art. 198 D. Lgs. 152 del 2006, nonché eccesso di potere per carenza dei presupposti di urgenza e di pericolosità per la salute e l’incolumità pubblica. E’ stato adottato un provvedimento d’urgenza laddove non ve n’erano ragioni e poteva rimuovere i rifiuti lo stesso Comune.

L’appellante concludeva per l’accoglimento del ricorso, contestando anche la condanna al pagamento delle spese di giudizio.

Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio.

All’odierna udienza del 10 dicembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Preliminarmente si deve rilevare l’erroneità della dichiarazione di improcedibilità dichiarata dal giudice di primo grado.

In primo luogo, in linea di principio non viene meno l’interesse a decidere un ricorso contro un provvedimento d’urgenza avente effetti ad tempus, quando segue un ulteriore provvedimento avente a sua volte effetti temporalmente limitati.

Il ricorrente – salva una sua diversa espressa contraria dichiarazione – ha interesse alla definizione del giudizio che si pronunci sulla fondatezza delle censure, con le connesse statuizioni conformative, e sulle spese della lite (il cui esito può incidere anche in ordine alle contestazioni effettuabili nei confronti di chi non abbia dato esecuzione all’ordinanza).

In secondo luogo, nella specie il provvedimento rivolto al Capo Sezione Ambiente del Comune non è neppure un atto con il quale l’Amministrazione comunale ha reiterato gli effetti dell’atto già impugnato, in relazione ad un ulteriore periodo temporale.

Il successivo atto non ha sostituito l’atto impugnato (emesso ai sensi dell’art. 192 del D. Lgs. n. 156 del 2006), ma ha attivato il conseguente procedimento di esecuzione d’ufficio, non essendovi stata l’esecuzione da parte dell’AN. SpA.

Neppure sussistevano i presupposti per la condanna della s.p.a. AN. al pagamento delle spese del giudizio di primo grado.

6. Conseguentemente, in accoglimento del primo motivo d’appello, la sentenza impugnata deve essere riformata, poiché il ricorso di primo grado risulta procedibile.

Si deve quindi esaminare il ricorso di primo grado, sostanzialmente riproposto in questa sede.

7. Il primo motivo, concernente l’incompetenza del Commissario straordinario nelle veci del Sindaco ad adottare il provvedimento impugnato in luogo del dirigente di Settore, è infondato.

L’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152/2006, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2.

La disposizione sopravvenuta prevale sul disposto dell’art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 (Cons. Stato, V, 29 agosto 2012 n. 4635; id., 12 giugno 2009 n. 3765; id., 10 marzo 2009 n. 1296; id., 25 agosto 2008 n. 4061).

8. Risultano infondate tutte le altre censure dell’appellante.

8.1. L’art. 2 del D. Lgs. 26 febbraio 1994, n. 143, stabilisce all’art. 2, comma 1, che tra i compiti dell’AN. S.p.A. rientrano la gestione delle strade e delle autostrade di proprietà dello Stato, nonché la loro manutenzione ordinaria e straordinaria.

La “gestione” e la “manutenzione” comportano l’obbligo della s.p.a. AN. di evitare che sui beni da essa gestiti si accumulino rifiuti: la relativa negligenza di per sé implica la sussistenza di una colpa.

Quindi non può essere messo in dubbio che spetti all’appellante nell’ambito dei suoi compiti di manutenzione ordinaria evitare lo spargimento di rifiuti o ancor più la formazione di discariche abusive nelle aree stradali ad essa affidate e su quelle immediata pertinenza, come si è visto, dal D. Lgs. n. 143/1994; non vi sono margini di incertezza nel sostenere ciò, poiché rimettere ai compiti dell’autorità concedente la pulizia delle aree in questione appare in netto conflitto con l’ampiezza dei compiti o meglio, con la devoluzione tutto ciò che concerne la gestione degli assi viari, che non ricadano nel demanio degli enti locali o nella proprietà privata.

Ora, alla stregua dell’art. 840 c.c. e dei principi che ne discendono, è del tutto logico affermare che le aree destinate alla viabilità, nonché le aree sottostanti gli assi viari autostradali e non, rientrano pacificamente nella competenza di gestione della Società concessionaria, la quale, pur non potendo vigilare su getti improvvisi, estemporanei o isolati di rifiuti, deve comunque assicurare la conservazione dei beni stradali ed adottare i provvedimenti per la sicurezza del traffico – lett. e) e f) dell’art. 2 D. Lgs. n. 143/1994.

Perciò il provvedimento adottato dal Commissario straordinario di (omissis) non fuoriesce né dalle attribuzioni di questo, né deferisce all’AN compiti non suoi e dunque l’ordine di bonificare l’area sottostante l’asse viario (omissis) risulta giustificata anche per quanto concerne la motivazione, visto che si indica la formazione di rifiuti abbandonati nel corso del tempo, quindi in un arco temporale che al concessionario non poteva sfuggire, così come appare del tutto logico imporre la posa di adeguata recinzione al fine di mantenere una corretta gestione.

8.2. Ritiene comunque il Collegio di dover ribadire nel presente giudizio i seguenti principi enunciati dalla Sezione con la sentenza 10 giugno 2014, n. 2977, in quanto senz’altro rilevanti nella specie.

«Osserva il Collegio che – per la definizione della controversia in esame – occorre individuare l’ambito di applicazione dell’art. 192 del testo unico n. 152 del 2006, il quale, per quanto rileva nel presente giudizio, dispone:

– al comma 1, che “L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati”;

– al comma 3, che, “Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.

Dal dato testuale del comma 3 (e dalla parola “dispone”), si evince come il potere-dovere di ordinare la rimozione e il ripristino dello stato dei luoghi vada esercitato senza indugio non solo nei confronti di chi abbandona sine titulo i rifiuti (il quale realizza la propria condotta col dolo e con l’animus derelinquendi), ma anche del proprietario o del titolare di altro diritto reale cui la “violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa”.

In un quadro normativo volto a tutelare l’integrità dell’ambiente, il comma 3 non prevede una ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui: se vi è un abbandono di rifiuti avente il carattere della repentinità e della irresistibilità. Se avvisa dell’accaduto la pubblica autorità e pone in essere le misure esigibili per evitare il ripetersi dell’accaduto, il proprietario non può essere considerato responsabile, per il suo solo titolo di proprietario.

Tuttavia, non dissimilmente ad altre disposizioni del settore, il comma 3 ritiene sufficiente la colpa.

Tra le ipotesi tipiche di colpa, rientra la negligenza.

Nel suo significato lessicale (risalente anche al diritto romano, e prima ancora che la nozione fosse riferita alle singole obbligazioni), la negligentia (vale a dire la mancata diligentia) consisteva e consiste nella trascuratezza, nella incuria nella gestione di un proprio bene, e cioè nella assenza della cura, della vigilanza, della custodia e della buona amministrazione del bene.

L’art. 192 del testo unico n. 152 del 2006 attribuisce rilievo proprio alla negligenza del proprietario, che – a parte i casi di connivenza o di complicità negli illeciti (qui non prospettabili) – si disinteressi del proprio bene per una qualsiasi ragione e resti inerte, senza affrontare concretamente la situazione, ovvero la affronti con misure palesemente inadeguate.

L’art. 192 – qualora vi sia la concreta esposizione al pericolo che su un bene si realizzi una discarica abusiva di rifiuti anche per i fatti illeciti di soggetti ignoti – attribuisce rilevanza esimente alla diligenza del proprietario, che abbia fatto quanto risulti concretamente esigibile, e impone invece all’amministrazione di disporre le misure ivi previste nei confronti del proprietario che – per trascuratezza, superficialità o anche indifferenza o proprie difficoltà economiche – nulla abbia fatto e non abbia adottato alcuna cautela volta ad evitare che vi sia in concreto l’abbandono dei rifiuti.

La condotta illecita del terzo – ovvero la proliferazione delle condotte illecite dei terzi – dunque non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l’evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né frattura il nesso di causalità tra la sua condotta colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria), quando costituisce un fatto prevedibile e prevenibile».

Nella specie, ritiene la Sezione che sussista effettivamente la colpa della s.p.a. AN., alla quale – in base alla normativa di settore – è stata attribuita la gestione delle relative aree, in connessione ai relativi obblighi e alle conseguenti responsabilità.

Come ha evidenziato la sopra richiamata sentenza di questa Sezione n. 2977 del 2014, «quando proprietario dell’area non sia una persona fisica, ma sia una persona giuridica pubblica o privata, va esclusa una concezione “antropomorfica” dell’elemento soggettivo, rilevando soprattutto il dato oggettivo della disfunzione della struttura organizzativa e il dato in sé – quando si tratti della gestione di un bene – della obiettiva trascuratezza ed incuria della gestione».

Con riferimento all’area in questione, posta al di sotto dell’asse viario «(omissis)», nel corso del giudizio non è risultata alcuna concreta attività precedente, volta ad evitare che il terreno gestito dalla s.p.a. AN. diventasse una discarica e che su di esso si continui a sversare rifiuti di ogni genere: la società appellante neppure ha esposto qualche considerazione critica, volta a contestare quanto rilevato dal Comune, e cioè che la realizzazione di una recinzione, volta a inibire l’accesso al sito da via Spinelli, eviterebbe o quanto meno ridurrebbe lo sversamento illecito dei rifiuti.

La Sezione non può che constatare come si stiano verificando ripetutamente casi in cui proprio gli enti incaricati della gestione di spazi pubblici (siano essi Amministrazioni pubbliche o soggetti formalmente privati, come la s.p.a. AN.) risultano corresponsabili – con la loro negligenza – dello sversamento dei rifiuti e dunque risultano legittimamente destinatari delle misure previste dall’art. 192 (v. Sez. V, 10 giugno 2014, n. 2977; Sez. V, 17 luglio 2014, n. 3786).

La Sezione ritiene di dover ribadire (come già rilevato dalle citate sentenze n. 2977 e n. 3786 del 2014) che – in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 192, comma 3 – non importa se il proprietario dell’area sia un soggetto pubblico o un soggetto privato.

Anzi, proprio la qualità di soggetto pubblico o di soggetto gestore di un bene della collettività implica che si debba dare esempio del rispetto della legalità (cfr. CEDU, Sez. I, 19 giugno 2001, Zwiewrzynsi c. Polonia, § 73).

E ciò a maggior ragione quando si tratti di realtà locali – come quella in questione – caratterizzate dalla perduranza di situazioni emergenziali, dalla assenza diffusa di senso civico delle cittadinanze, da una diffusa omertà e dalla presenza di organizzazioni criminali proprio nel settore del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti: le pubbliche autorità e i soggetti gestori di beni pubblici possono concretamente esigere ed ottenere il rispetto della legalità, solo quando essi stessi ne danno l’esempio, applicando le leggi quando ne sono destinatarie e imponendo la loro applicazione, quando agiscano nell’esercizio dei loro doveri istituzionali.

Non risultano dunque neppure condivisibili le argomentazioni difensive della società appellante, secondo le quali l’abbandono dei rifiuti è stato effettuato da ignoti.

8.3. Quanto alla mancata comunicazione di avvio di procedimento, osserva la Sezione che anche nel corso del giudizio la società appellante non ha fornito alcun elementi tale da indurre a ritenere che la partecipazione avrebbe consentito la prospettazione di rilevanti elementi istruttori.

Pertanto, va considerata in concreto irrilevante tale mancanza, anche per l’oggettività della situazione ed il perdurare nel tempo induria e della necessità della bonifica.

8.4. Infine, del tutto legittimamente il Commissario straordinario ha emanato dato applicazione all’art. 192 del D. Lgs. n. 152 del 2006, il quale ha disciplinato l’istituto ordinario volto a rimediare alle situazioni di abusivo smaltimento dei rifiuti.

9. Per le suesposte considerazioni, previo accoglimento del primo motivo d’appello e previa declaratoria della procedibilità del ricorso di primo grado, il medesimo ricorso va respinto, perché infondato.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 5709 del 2007, come in epigrafe proposto, accoglie il primo motivo e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara procedibile il ricorso di primo grado e, passando all’esame di tale ricorso, lo respinge perché infondato.

Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Vito Poli – Consigliere

Carlo Saltelli – Consigliere

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Raffaele Prosperi – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 11 gennaio 2016.

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