Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 16 gennaio 2018, n. 221. In occasione del ricorso proposto per l’annullamento dell’atto di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno

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[…]

Quanto alla veridicità delle affermazioni di cui all’avanzata richiesta di rinnovo di permesso quale titolare di ditta individuale, l’amministrazione ha evidenziato le seguenti circostanze:
la Sig.ra -OMISSIS-aveva inoltrato alla competente Camera di Commercio di -OMISSIS- solo in
data 8 gennaio 2015 (e per via telematica) richiesta di iscrizione presso di essa con la qualifica di piccolo imprenditore;
l’impresa di cui ella si era dichiarata titolare è la stessa che, secondo quanto risultante dalla
banca dati INPS dall’1 giugno 2009 al 23 giugno 2011 recava quale denominazione -OMISSIS-e dal 30 giugno 2011 al 4 luglio 2013 recava la denominazione di -OMISSIS-poi mutata, per l’appunto, in -OMISSIS-.
Ribadiva, ancora che quale dipendente di ciascuna di esse figurava sempre il Sig. -OMISSIS-cioè colui che sia al momento del sopralluogo che allorquando l’appellante si era recata in Questura aveva svolto le funzioni di interprete (avendola accompagnata) e che nelle difese iniziali aveva negato di aver mai conosciuto.
Questi fatti avevano, dunque, indotto la Questura a svolgere gli accertamenti che hanno condotto al sopralluogo ed al diniego. Irrilevanti sarebbero le bollette EN. che riguardano l’intero stabile, né vi sarebbero dati delle commesse relativi i periodi precedenti. Mentre assumerebbe significato il fatto che l’iscrizione alla camera di commercio sia avvenuta solo in prossimità della richiesta di rinnovo di permesso.
L’attività di impresa lasciata successivamente al provvedimento cautelare sarebbe altresì indizio della inconsistenza della predetta titolarità della ditta.
Con ulteriore deposito, l’appellante ha prodotto il documento Unico 2016, nonché la bolletta EN. 8 ottobre 2015 e di smaltimento dei rifiuti 11 febbraio 2014.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 14 dicembre 2017.
II – Osserva il Collegio che l’appello va respinto perché infondato in considerazione della consolidata giurisprudenza di questo Consiglio che ha costantemente affermato che “In occasione del ricorso proposto per l’annullamento dell’atto di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, non può farsi valere un’allegazione documentale, o comunque di fatto, relativa agli oneri di allegazione e di produzione che le norme in tema di permesso di soggiorno configurano a carico dell’interessato, in quanto il giudizio introdotto con il ricorso dinnanzi al giudice amministrativo ha natura impugnatoria e ha per oggetto un provvedimento autoritativo la cui legittimità va verificata sulla base degli elementi acquisiti nella fase istruttoria procedimentale, e non il rapporto che si instaura tra organo pubblico e soggetto che intende permanere nel territorio dello Stato” (da ultimo, VI 21 maggio 2007, n. 2552; VI 19 ottobre 2006, n. 6257).
Nella specie che occupa, il diniego – e la conseguente pronunzia del giudice di prime cure – è motivato compiutamente sulla base delle risultanze istruttorie dell’indagine condotta dal Questura di -OMISSIS- che hanno portato a smentire l’esistenza dell’attività individuale condotta dall’appellante e posta a fondamento dell’istanza di rinnovo. Sicché il diniego si fonda non solo sulla base dell’insufficienza del reddito ma anche sulla non veridicità delle circostanze allegate.
Né la documentazione prodotta successivamente è idonea a smentire le conclusioni della Questura, ma è piuttosto relativa a supportare la nuova condizione della appellante, rispetto alla quale non è precluso rivolgere le relative richieste di permesso di soggiorno.
La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore

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