L’Autorità prefettizia deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario nell’ambito del quale assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, essendo estranea al sistema delle informazioni antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di l? del ragionevole dubbio, poichè simile logica, propria del giudizio penale, vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informazione antimafia, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.
Sentenza 14 febbraio 2018, n. 965
Data udienza 18 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4746 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avvocati Gi. Ve. e Gi. Ru., con domicilio eletto presso l’Avvocato Ma. Ma. nello studio legale Fr. Ma. in Roma, viale (…);
contro
Ufficio territoriale di Governo (U.T.G.) – Prefettura di Vibo Valentia e Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la CALABRIA – Sede di CATANZARO:SEZIONE I -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’informativa interdittiva antimafia – e per il risarcimento dei danni conseguenti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. – Prefettura di Vibo Valentia e del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2018 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti l’Avvocato Gi. Ru. e l’Avvocato dello Stato Ti. Va.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’appellante propone ricorso per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria -OMISSIS-, depositata il -OMISSIS-, notificata il -OMISSIS-, con la quale era respinto il gravame proposto in primo grado ed integrato da due ricorsi per motivi aggiunti per l’annullamento dei seguenti atti: – interdittiva del -OMISSIS-emessa dalla Prefettura di Vibo Valentia, a seguito della quale il Comune di -OMISSIS- revocava l’affidamento, avvenuto a trattativa privata, della fornitura di gasolio per riscaldamento delle scuole e della sede municipale;
– informative della Guardia di Finanza del -OMISSIS-(primi motivi aggiunti);
– informativa del Prefetto di Vibo Valentia emessa in data -OMISSIS-ad esito del riesame disposto con ordinanza (ulteriori motivi aggiunti).
Le informative impugnate comunicavano che il fratello dell’amministratrice della società, socio e rappresentante della società odierna appellante, convivente della stessa, era stato tratto in arresto unitamente ad altre persone, in data -OMISSIS-, in esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall’ufficio del G.I.P. distrettuale di Catanzaro, nel contesto di articolata manovra investigativa convenzionalmente denominata “-OMISSIS-“, volta ad intervenire sulla struttura di vertice locale, facente capo alla famiglia mafiosa “-OMISSIS-” di -OMISSIS-, poiché ritenuto responsabile di associazione per delinquere di tipo mafioso denominata “-OMISSIS–OMISSIS-“.
L’informativa comunicava, altresì, che l’autorità giudiziaria. aveva disposto il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del relativo compendio aziendale della Società di cui lo stesso era amministratore unico.
La Società appellante deduce i motivi di appello di seguito indicati.
1 – In primo luogo, l’illegittimità derivata dall’illegittimità degli atti impugnati in primo grado, per le censure lì formulate: violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 84, art. 91 d.lgs. n. 159/2011 come modificato dal d.lgs. n. 218/2012, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, la violazione della circolare del Ministero dell’Interno n. 11001/119/20 dell’8 febbraio 2013, il travisamento dei fatti, l’irragionevolezza, il difetto di istruzione, il difetto e la falsità dei presupposti, la disparità di trattamento, l’irregolarità del procedimento, l’illogicità manifesta e la contraddittorietà, la violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, in quanto “gli elementi di generico sospetto risultanti dall’informativa di cui si discute non assurgono ad una portata di rilevanza tale da poter inquadrare la fattispecie nel novero di quelle in cui vi sia anche solo la possibilità di trovarsi in presenza di un’impresa, che possa anche in via indiretta favorire la criminalità”.
2 – La violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 84, art. 91 d.lgs. n. 159/2011 come modificato dal d.lgs. n. 218/2012, l’eccesso di potere per difetto di motivazione, la violazione della circolare del Ministero dell’Interno n. 11001/119/20 dell’8 febbraio 2013, nonché del d.lgs. n. 159 del 2011, della l. n. 136 del 2010, dell’art. 4, d.lgs. 490 del 1994, dell’art. 10, d.P.R. 252 del 1998; la violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990, poiché dalle interdittive non risulterebbero gli elementi per la loro emanazione ed anzi emergerebbe una carenza probatoria.
A sostegno della predetta censura, la parte appellante deduce una serie di circostanze, che sinteticamente qui si enunciano:
con sentenza del -OMISSIS-il soggetto interessato dal riferito procedimento è stato assolto per non aver commesso il fatto dal Tribunale di Catanzaro ed è stato ordinato il dissequestro dei beni;
ulteriori elementi a favore dello stesso dovrebbero essere dedotti dalla revisione dell’ordinanza di custodia cautelare;
erroneamente il comando provinciale della Guardia di finanza di Vibo avrebbe determinato il valore dell’operazione svolta dall’interessato, in ragione di una cessione d’azienda, anziché di recesso dalla qualità di socio;
il recesso suddetto, peraltro, sarebbe avvenuto pochi mesi dopo l’emanazione dell’interdittiva e prima della sua conoscenza;
nessun legame economico, dunque, potrebbe provarsi tra i due fratelli (-OMISSIS- e -OMISSIS-) che si occupano dell’azienda, peraltro appartenenti asseritamente a famiglia di seri imprenditori di -OMISSIS-;
-OMISSIS- al momento della morte del padre aveva assunto la guida dell’impresa edile, comparendo nella -OMISSIS-solo per motivi di successione;
la sorella sarebbe del tutto estranea ad imputazioni ed anzi si sarebbe costituita parte civile nel processo a carico di-OMISSIS-, esponente di una nota famiglia malavitosa del Vibonese.
Da tutti questi elementi deriverebbe la carenza istruttoria delle misure assunte e conseguentemente, la carenza motivazionale della sentenza gravata.
3 – La violazione della normativa antimafia e segnatamente della circolare ministeriale 8 febbraio 2013; eccesso di potere nelle già richiamate figure sintomatiche.
Si è costituito il Ministero per resistere ed ha sottolineato l’irrilevanza della conclusione del processo penale nella fattispecie per cui è causa, nonché la circostanza che, al momento della cessione della quota da parte dell’interessato, quest’ultimo era perfettamente a conoscenza della sottoposizione a processo penale (anche se non dell’emanazione dell’interdittiva) per essere stato sottoposto a misura cautelare in carcere.
Con successiva memoria, la parte appellante ha prodotto sentenza della Corte d’appello di Catanzaro di conferma dell’assoluzione (n. -OMISSIS-passata in giudicato il -OMISSIS-).
Sempre con memoria per l’udienza di discussione l’appellante ha evidenziato che non è risultato provato in sede di processo l’assunto accusatorio ed i rapporti con il “Maccarone” rispetto al quale sarebbe venuta meno l’interdittiva.
La causa è stata, dunque, trattenuta in decisione all’udienza del 18 gennaio 2018.
DIRITTO
I – Ritiene il Collegio di dover premettere che la consolidata giurisprudenza della Sezione è nel senso di affermare che “l’impianto motivazionale dell’informazione antimafia deve fondarsi su una rappresentazione complessiva, imputabile all’autorità prefettizia, degli elementi di permeabilità criminale che possano influire anche indirettamente sull’attività dell’impresa, la quale si viene a trovare in una condizione di potenziale asservimento rispetto alle iniziative della criminalità organizzata di stampo mafioso”. Ne discende che il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve dar conto in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussiste tenuto conto di tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona specificamente dedotte a sostegno dell’adottato provvedimento amministrativo (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).
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