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Il Collegio, infatti, ritiene che, nel caso di specie, non sussistono i presupposti di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., secondo cui la sentenza pronunciata in grado di appello può essere impugnata per revocazione se “è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”. In particolare, la norma sancisce che “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
2.1. La giurisprudenza amministrativa ha già esposto i presupposti perché possa rinvenirsi l’errore di fatto “revocatorio”, distinguendolo dall’errore di diritto che, come tale, non dà luogo ad esito positivo della fase rescindente del giudizio di revocazione (ex multis, tra le pronunce di questa Sezione: Cons. Stato 4 gennaio 2018, n. 35; 2 novembre 2016 n. 4586; 28 giugno 2016 n. 2883, 17 febbraio 2015 n. 961 e 8 gennaio 2013 n. 4).
In particolare, occorre considerare che l’istituto della revocazione è rimedio eccezionale, che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio, per cui, come d’altra parte sancito dalla stessa lettera dell’art. 395, comma 4, c.p.c., non sussiste vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa – che si sostanzia nella supposizione dell’esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita – ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice.
Pertanto, sono vizi logici e quindi errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (ex multis: Cons. Stato, IV, 4 gennaio 2018, n. 35; Cons. Stato, V, 21 ottobre 2010, n. 7599).
L’errore di fatto revocatorio, invece, si configura come un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa.
2.2. Nella fattispecie in esame, il ricorso per revocazione – premesso che, secondo la ricostruzione contenuta in ricorso, il Giudice ha fondato la sua decisione sul dato per cui non sarebbe stata provata la preesistenza del comodo rurale di 11 mq, successivamente oggetto dell’ampliamento di 16 mq realizzato senza titolo edilizio, a formare l’attuale, unico, corpo di fabbrica – è stato proposto, come detto, in quanto la sentenza muoverebbe dall’erroneo presupposto che “della documentazione che proverebbe la preesistenza del comodo rurale, nulla è stato prodotto in giudizio dall’appellante al fine del sostegno della sua tesi, non risulta utile la generica affermazione circa la preesistente presenza del predetto rustico in un rilievo aerofogrammetrico, nelle foto d’epoca o in no meglio specificate dichiarazione di testi”.
In particolare, la ricorrente evidenzia che il Collegio non avrebbe tenuto conto della documentazione probatoria effettivamente prodotta in giudizio, vale a dire dei documenti depositati con il ricorso introduttivo che provavano i propri assunti, costituiti, nello specifico, dalla perizia giurata di parte a firma del geometra Fr. Lu. La., del dicembre 2008, che fra gli allegati riporta: estratto di mappa catastale del 1892; fotografie aeree di (omissis) effettuate dall’Istituto Ge. Mi., con volo 15 ottobre 1966; fotografie della seconda metà degli anni sessanta che dimostrano la preesistenza del comodo rurale; dichiarazioni testimoniali effettuate da Sa. Ev. in data 27 novembre 2008 e da Pu. Ca. in data 27 novembre 2008.
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