Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 17 gennaio 2018, n. 256. L’acquiescenza, poichè, a differenza della rinuncia alla tutela giurisdizionale, non è conseguente ad una dichiarazione espressa della parte, ma è invece desumibile da atti o fatti incompatibili con la volontà di agire in giudizio

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Come si è detto, la sentenza impugnata ha ritenuto esservi acquiescenza:
– quanto al ricorso principale, rivolto avverso la delibera della Giunta comunale di rigetto del PdL “parziale”, poiché “presentando in data 6 febbraio 2006 il nuovo progetto la ricorrente ha recepito senza riserve le indicazioni dell’ufficio tecnico” e “tali esplicite dichiarazioni di adeguamento alle determinazioni contenute negli atti comunali ove si enunciavano i motivi del diniego, al fine di eliminarli, costituiscono una inequivoca manifestazione di volontà di accettare quelle determinazioni, affatto incompatibile con la loro successiva contestazione”;
– quanto al ricorso per motivi aggiunti – ed in relazione al motivo con il quale la società affermava di non essere vincolata alla presentazione di uno strumento attuativo a valere per l’intera ZTO – “avendo l’interessata autonomamente recepito le indicazioni del Comune e, conseguentemente, presentato un PdL attuativo dell’intero ambito perimetrato, non può ora – in quanto preclusole dalla prestata acquiescenza – contestare quel presupposto liberamente accettato ed affermarne la non necessarietà”.
2.1. Orbene, nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, non risulta configurabile la ritenuta acquiescenza per il solo fatto che la società, una volta rigettato il suo primo progetto (parziale), ne ha presentato un altro (per la totalità della ZTO), dichiarandolo conforme a quanto evidenziato in sede di primo diniego.
L’acquiescenza, proprio perché, a differenza della rinuncia alla tutela giurisdizionale (in caso di posizioni soggettive disponibili), non è conseguente ad una dichiarazione espressa della parte, ma è invece desumibile da atti o fatti incompatibili con la volontà di agire in giudizio, richiede una attenta e “restrittiva” valutazione dei predetti atti o fatti.
Ciò in quanto l’interpretazione del giudice, in casi dubbi, non può che naturalmente propendere per quell’esito che assicura la tutela giurisdizionale, costituzionalmente garantita ex art. 24 Cost..
In tal senso, perché possa, in linea generale, configurarsi l’acquiescenza, occorre la presenza di atti o comportamenti univoci, posti liberamente in essere dal destinatario dell’atto amministrativo, che dimostrino la sua chiara ed irrefutabile volontà di accettarne gli effetti, ancorchè si sia già verificato l’effetto ritenuto lesivo della propria posizione giuridica.
Nel caso di specie, per un verso non può essere preclusa la presentazione di una seconda istanza, con la quale (ove accolta) si raggiungerebbero effetti sicuramente favorevoli, ma in misura minore rispetto a quelli che si sarebbero conseguiti con la prima; per altro verso, non può da ciò desumersi l’acquiescenza al primo e sfavorevole provvedimento amministrativo emesso.
Diversamente opinando, ogni qual volta si versi in una ipotesi quale quella ora considerata, l’interessato si troverebbe nella necessità di scegliere tra l’impugnare il primo provvedimento (esercitando il proprio diritto alla tutela giurisdizionale e attendendo tempi ed esito del giudizio), ovvero presentare una seconda istanza di contenuto, per così dire, “più ridotto” e tale da produrre, ove accolta, effetti favorevoli inferiori, ma tale anche da escludere ogni possibilità di tutela avverso il primo atto.
In tal modo, però, si produce, oltre ad una sostanziale equiparazione dell’acquiescenza alla rinuncia, anche una inammissibile incisione e dunque un vulnus del diritto alla tutela giurisdizionale, ed al contempo si configurerebbe una posizione di non giustificabile vantaggio per l’amministrazione ed una limitazione alla impugnazione degli atti amministrativi, non compatibile con l’art. 113 Cost.
Oltre a quanto sinora affermato, va inoltre osservato che nel caso di specie la configurabilità dell’acquiescenza è esclusa anche dal fatto che, dopo pochi giorni dalla presentazione della seconda istanza (due giorni, come precisato dall’appellante) ma soprattutto prima che l’amministrazione la esaminasse e si pronunciasse sulla stessa, la società Si. presentava una nota con la quale precisava che la seconda istanza era stata presentata “con salvezza di ogni ragione, pretesa e/o diritto conseguente dalla ritenuta, allo stato attuale, illegittima delibera di Giunta municipale n. 4 del 24 gennaio 2006”.
Per le ragioni esposte, i motivi di appello con i quali si impugna la sentenza, relativamente alle declaratorie di inammissibilità ivi pronunciate, devono essere accolti, con conseguente parziale riforma della sentenza impugnata.
2.2. Tale accoglimento comporta che il Collegio deve esaminare, oltre agli ulteriori motivi di appello proposti avverso il parziale rigetto del ricorso per motivi aggiunti, anche i motivi del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, non esaminati e riproposti nel presente grado di giudizio, oltre al motivo del ricorso per motivi aggiunti dichiarato inammissibile.
3. Le questioni che devono essere, in sostanza, esaminate possono essere così riassuntivamente indicate:
– in primo luogo, quale punto “centrale” della presente controversia, occorre verificare se, anche alla luce degli artt. 4 e 6 delle NTA del PRG di (omissis), effettivamente, come sostenuto dalla sentenza impugnata, “in mancanza di suddivisione della ZTO in UMI (unità minime di intervento) i privati sono liberi di frazionare a loro piacimento l’attuazione della ZTO stessa limitando discrezionalmente l’estensione del PdL” ovvero se, al contrario, “l’attuazione parziale della ZTO è possibile solo se il Consiglio comunale ha suddiviso la ZTO in UMI e se, in questo caso, è stata realizzata la pianificazione intermedia di coordinamento”. Avverso tale capo della sentenza sono rivolti i motivi di appello sub lett. b) f) h) ed i) dell’esposizione in fatto;
– in secondo luogo (e solo nel caso di accoglimento dei motivi innanzi indicati, in particolare di quello sub lett. b), occorre verificare se siano fondate ulteriori ragioni di diniego evidenziate dalla delibera G.M. n. 4/2006, ragioni che vengono censurate con i motivi sub lett. c), d) ed e) dell’esposizione in fatto;
– in terzo luogo (e solo nel caso di rigetto dei motivi finora citati, dunque, in sostanza, nel caso di ritenuta legittimità dell’atto di diniego di approvazione del PdL parziale), occorre esaminare se il secondo PdL presentato e relativo all’intera ZTL, sia effettivamente un PdL apparentemente unitario (come ritenuto dall’amministrazione che lo ha rigettato e come confermato dalla sentenza impugnata), ovvero sia conforme a quanto richiesto dalle previsioni urbanistiche, come sostenuto dagli appellanti con l’articolato motivo di appello sub lett. j) dell’esposizione in fatto.
4. I motivi di appello con i quali si censura la sentenza impugnata per avere questa affermato che, ai sensi degli artt. 4 e 6 NTA del PRG, “in mancanza di suddivisione della ZTO in UMI (unità minime di intervento) i privati non sono liberi di frazionare a loro piacimento l’attuazione della ZTO stessa limitando discrezionalmente l’estensione del PdL”, non sono fondati e devono essere, pertanto, respinti.
4.1. Il Piano Regolatore del Comune di (omissis) prevede, tra l’altro, le ZTO (in particolare, per quel che rileva nella presente sede, ZTO D1.2), per le quali l’art. 25, co. 3, n. 9, delle NTA dispone: “In queste zone l’intervento edilizio è subordinato all’approvazione di uno strumento urbanistico di attuazione di iniziativa privata o pubblica”.

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