Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 12 febbraio 2018, n. 862. Ai fini della qualificazione come espropriativo o conformativo del vincolo di destinazione a “verde sportivo”

Ai fini della qualificazione come espropriativo o conformativo del vincolo di destinazione a “verde sportivo”, occorre considerare che il vincolo, per essere qualificato sostanzialmente espropriativo, deve comportare l’azzeramento del contenuto economico del diritto di propriet? e che, di contro, la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio dell’attivit? edilizia realizzabile sul terreno; pertanto, ove la destinazione a verde sportivo comporta espressamente la realizzazione, anche da parte di privati in regime di economia di mercato, di attrezzature destinate all’uso pubblico, va escluso il carattere sostanzialmente espropriativo.

Sentenza 12 febbraio 2018, n. 862
Data udienza 23 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7323 del 2009, proposto dal Signor Gi. Sc., Ma. Il., Gi. Il., in qualità di eredi di An. Sc., rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. La., Cl. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Gi. La. in Roma, via (…);

contro

Comune di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dagli avvocati Ni. Sa., Fe. Gu., domiciliata in Roma, via (…);

per la riforma

dell’ordinanza cautelare del T.A.R. per il LAZIO – Sede di ROMA – SEZIONE II n. 1692/2009.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Ma., Sa.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 1692 del 2009 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sede di Roma – ha respinto il ricorso proposto dalla parte odierna appellante Signor Sc. An. volto ad ottenere l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale n. 33 pubblicata il 3.9.2003, concernente l’adozione del “Nuovo piano regolatore della città di Roma” e dei relativi elaborati, nella parte riguardante l’area di propria pertinenza.

2. La originaria parte ricorrente dopo avere premesso di essere comproprietario pro indiviso di un appezzamento di terreno di mq. 110.000 circa, sito nel Comune di Roma, prospiciente via (omissis) ed individuato in catasto al foglio (omissis), particelle (omissis), già destinato a zona N verde pubblico per la maggior parte, aveva dedotto articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere, nella sostanza dolendosi della circostanza che mediante la contestata delibera gran parte di detta area (l’impugnazione -come espressamente precisatosi nel ricorso di primo grado -non riguardava la restante parte già destinata ad area agricola e adesso inserita nei “tessuti prevalentemente per attività”) fosse stata stabilita la destinazione a “Verde pubblico e servizi pubblici di livello locale”.

3. Il Comune di Roma si era costituito deducendo l’inammissibilità del gravame per difetto di interesse in capo all’originario ricorrente e chiedendo che comunque il ricorso venisse respinto nel merito, in quanto infondato.

4. Il T.a.r. con la sentenza impugnata ha dichiarato di volere prescindere dalla disamina delle eccezioni pregiudiziali ed ha scrutinato nel merito le censure dedotte, respingendole alla stregua delle seguenti considerazioni:

a) l’area di proprietà dell’originario ricorrente era stata destinata con il nuovo piano regolatore generale a verde pubblico e servizi locali, in linea di continuità con la destinazione urbanistica a verde pubblico già vigente in base alla pregressa disciplina urbanistica;

b) detta destinazione – nei limiti del sindacato di legittimità consentito in sede giudiziale appariva non manifestamente irragionevole ed illogica, anche alla luce dei chiarimenti forniti dall’Amministrazione circa l’esigenza di mantenere a verde aree inserite in contesti fortemente urbanizzati, allo scopo di garantire un adeguato ed ordinato assetto urbanistico del territorio;

c) la reiterazione di una simile scelta urbanistica non era soggetta ad oneri di specifica motivazione, in quanto non trattavasi di un vincolo espropriativo, ma conformativo la cui efficacia permaneva a tempo indeterminato;

d) la necessità di una esplicita motivazione che spiegasse le ragioni della reiterazione di un vincolo si imponeva tutte le volte che lo stesso fosse collegato con un’opera pubblica che l’Amministrazione non avesse provveduto a realizzare o quantomeno progettare, nel quinquennio;

e) nel caso di specie, però, detto vincolo non determinava alcuna attività concreta (nel senso operativo) del Comune di Roma, ma soltanto il mantenimento di un’area a verde, quale misura stabile in un contesto urbanistico ad intensa edificazione: ne discendeva che la motivazione, nella specie, appariva idonea e sufficiente a supportare la scelta effettuata.

5. L’originario ricorrente rimasto soccombente ha impugnato la suindicata decisione, che ha criticato sotto numerosi angoli prospettici, chiedendone la riforma e riproponendo integralmente le tesi disattese in primo grado, secondo cui:

a) il vincolo imposto sull’area non aveva natura conformativa, ma espropriativa(e la detta destinazione risaliva addirittura al 1962/1965), e mai attuata;

b) la reiterazione del medesimo, oltre che immotivata era anche illogica, tenuto conto della vocazione naturale del terreno, ricadente in area esclusivamente interessata da stabilimenti industriali, e vicina all’autostrada Roma-L’Aquila: giammai i cittadini avrebbero potuto fruirne;

c)di ciò aveva dato atto il Comune in risposta alla richiesta di chiarimenti formulata dal T.a.r., né era stato altrimenti adombrato che detta area (estesa circa 105.000 mq) dovesse essere destinata a standard;

d) il tutto era avvenuto senza alcuna motivazione della (illogica) scelta comunale;

f) la tesi affermata dal T.a.r. collideva con ripetuti arresti del Giudice delle leggi

7. In data 17.9.2009 l’appellata amministrazione comunale di Roma si è costituita con atto di stile.

8. In data 12.3.2015 a seguito del decesso dell’originario ricorrente, si sono costituiti nell’odierno giudizio di appello gli eredi, Sc. Gi., Ma. Il., e Gi. Il.

9. In data 13.10.2017 l’appellata amministrazione comunale di Roma ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese, ed in particolare, deducendo che:

a) il vincolo illo tempore imposto sull’area, non aveva natura espropriativa;

b) di conseguenza, la parte appellata non poteva invocare la tesi secondo la quale fosse necessaria una penetrante motivazione per ribadire la precedente destinazione (Consiglio di Stato, n. 4321/2012);

c) la destinazione N aveva quindi carattere conformativo, e da ciò discendeva la infondatezza dell’appello;

d) peraltro ivi erano possibili destinazioni compatibili con l’iniziativa privata.

10. In data 23.10.2017 la parte appellante ha depositato una articolata memoria puntualizzando e ribadendo le proprie difese, ed in data 2.11.2017 ha depositato una ulteriore memoria di replica chiedendo l’accoglimento dell’appello

11. Alla odierna pubblica udienza del 5 dicembre 2017 causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto nei sensi di cui alla motivazione che segue.

2. La tesi di parte appellata – non accolta dal T.a.r.- è quella per cui il vincolo imposto in passato sull’area (zona N) avesse carattere espropriativo e che parimenti la destinazione impressa con la contestata delibera abbia natura espropriativa: in virtù di tale duplice presupposto fattuale, si sarebbe al cospetto di una illegittima reiterazione di un vincolo espropriativo che in quanto tale, sarebbe carente di motivazione e colliderebbe con i principi affermati dalla Corte Costituzionale in materia (anche in tema di omessa previsione dell’indennizzo).

2.1. Sebbene il T.a.r. abbia accomunato nella trattazione sia la pregressa destinazione (zona N) che quella successivamente imposta sull’area (ed oggetto di diretta contestazione da parte dall’appellante) escludendo che alcuna di esse avesse natura espropriativa, la questione da scrutinare sarebbe quindi, duplice (investendo la natura della zonizzazione pregressa, e di quella “attuale” in quanto imposta con la avversata delibera) e pressoché esclusivamente giuridica, posto che è incontestato che la contestata delibera interviene su un’area in passato connotata dalla destinazione (N) già impressa sin dagli anni 1962/195, e che neppure è contestato che l’area per la quale era stata stabilita la destinazione a “Verde pubblico e servizi pubblici di livello locale” ricada in zona densa di insediamenti industriali e limitrofa al tracciato dell’autostrada Roma- L’Aquila.

2.1.1. Ciò in quanto – si ripete- le censure prospettate dall’appellante, (ad esclusione di quella di “illogicità” della destinazione successivamente impressa), si fondano sul presupposto che sia la destinazione originaria, che quella successiva avessero natura espropriativa.

2.2. Osserva in proposito il Collegio che:

a) le affermazioni contenute nelle sentenze dell’Adunanza Plenaria n. 24/1999 e n. 7/2007 richiamate dall’appellante non possono traslarsi alla odierna fattispecie, in quanto le stesse (che peraltro hanno accolto le impugnazioni proposte dal comune di Roma) presuppongono la natura espropriativa dell’azzonamento N suddetto contenuto nel pregresso P.r.g., ma non svolgono sotto tale profilo alcuna disamina in quanto neppure la parte appellante ha dedotto od altrimenti provato che la questione della natura dell’azzonamento N avesse formato oggetto di contrasto e come tale fosse stata specificamente sottoposta all’esame dell’Adunanza Plenaria; in altri termini, le cennate sentenze dell’Adunanza Plenaria assumevano come presupposta la natura espropriativa dell’azzonamento, ma esaminavano in modo diretto ed espresso altre questioni e solo rispetto a queste ultime enunciavano un principio di diritto rilevante ai sensi dell’art. 99 c.p.a.;

b) sul punto, il Collegio non intende decampare dalle affermazioni contenute nella recente decisione della Sezione del 30 luglio 2012, n. 4321 laddove, a seguito di una puntuale e specifica analisi delle previsioni della zona N suddetta, è stato rilevato che (si riporta un breve stralcio della motivazione): “con riferimento alla destinazione a zona N (“verde pubblico attrezzato”) stabilita dal previgente strumento urbanistico, sulla scorta del consolidato indirizzo della Sezione può convenirsi con l’avviso di parte appellante secondo cui questa aveva natura conformativa e non comportava un vincolo preordinato all’esproprio, in quanto non comportava né l’ablazione dei suoli né il sostanziale svuotamento dei diritti dominicali di natura privata insistenti su di essi; infatti, detta disciplina previgente consentiva significativi e consistenti interventi edificatori, sia pure limitati a particolari tipologie di opere (p.es. impianti sportivi) e previa predisposizione di piani particolareggiati, allo scopo di assicurare la coerenza dell’edificazione privata con la generale “zonizzazione” intesa al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico: ciò che, in ragione di quanto più sopra precisato, è sufficiente per escludere che potesse trattarsi di vincoli espropriativi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 2012, nr. 2116; Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 2012, nr. 244; id., 13 luglio 2011, nr. 4242; id., 3 dicembre 2010, nr. 8531; id., 12 maggio 2010, nr. 2843; id., 12 maggio 2010, nr. 2159).”.;

c)la puntuale esposizione contenuta nella sentenza richiamata, è in linea con la giurisprudenza civile ed amministrativa che nel caso di possibilità di realizzazione di opere “promiscua”, anche limitata, ravvisa la sussistenza di un mero vincolo conformativo (tra le tante: Consiglio di Stato, sez. IV, 27/12/2011, n. 6874 “i fini della qualificazione come espropriativo o conformativo del vincolo di destinazione a “verde sportivo”, occorre considerare che il vincolo, per essere qualificato sostanzialmente espropriativo, deve comportare l’azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà e che, di contro, la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio dell’attività edilizia realizzabile sul terreno; pertanto, ove la destinazione a verde sportivo comporta espressamente la realizzazione, anche da parte di privati in regime di economia di mercato, di attrezzature destinate all’uso pubblico, va escluso il carattere sostanzialmente espropriativo”).

2.3. Il Collegio condivide e fa proprio il detto convincimento, dal che discende che:

a) neppure riveste interesse interrogarsi sulla natura -espropriativa o conformativa – della “nuova ” destinazione impressa dall’amministrazione con il provvedimento impugnato, in quanto una volta rimasta smentita la tesi che la pregressa destinazione avesse natura espropriativa, e riconosciutale natura conformativa, non ci si trova al cospetto di una (in tesi illegittima)reiterazione di vincolo espropriativo carente di motivazione, in quanto è evidente che ci si trova in presenza non di reiterazione di vincoli espropriativi, ma al più di previsioni espropriative ex novo introdotte (o, se si vuole, di trasformazione in espropriativa di una precedente destinazione conformativa), con la conseguente non invocabilità del principio che impone all’Amministrazione un onere motivazionale particolarmente intenso, applicandosi – al contrario – i comuni principi in ragione dei quali a sostegno delle scelte pianificatorie del Comune non è richiesta, salvi i casi di sussistenza di aspettative giuridiche qualificate in capo ai privati interessati, una motivazione specifica ed estesa, e le ragioni delle scelte adottate possono ricavarsi dai principi generali che ispirano lo strumento urbanistico (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 2011, n. 2104; id., 9 dicembre 2010, nr. 8682; id., 4 maggio 2010, nr. 2545; id., 29 dicembre 2009, nr. 9006);

b) il Collegio riconosce poi che, quanto alla destinazione “successiva” contestata dall’appellante, proprio la sentenza della Sezione del 30 luglio 2012, n. 4321 ai capi 3.3. e seguenti, esprime il convincimento che alla stessa possa essere in verità riconosciuta natura espropriativa;

c) il Collegio ritiene tuttavia che sia superfluo immorare su tale elemento, e che neppure sia necessario vagliare in proposito le contrapposte obiezioni del comune che richiamano la giurisprudenza (confermata da recenti ed anche remoti arresti Cassazione civile, sez. I, 19 ottobre 2016, n. 21186; Cass., Sez. I, 19 maggio 2016 n. 10325 Consiglio di Stato, sez. V, 06/10/2000, n. 5327) secondo cui la destinazione a verde pubblico ha carattere normalmente conformativo;

d) ciò in quanto – una volta rimasta smentita la tesi che ci si trovasse al cospetto di una reiterazione di un vincolo espropriativo in quanto non tale era la pregressa destinazione imposta sull’area -“cadono” sia le censure fondate sull’assenza di motivazione, che quelle incentrate sulla omessa conformazione dell’amministrazione comunale agli arresti dalla Corte Costituzionale in tema di ingiustificata compressione dei diritti spettanti alla proprietà dell’area, mentre, come è noto, nessuna illegittimità potrebbe discendere dalla omessa previsione di un indennizzo, essendo jus receptum (si veda proprio la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 7/2007 citata dalla parte appellante) che detta omissione, al di là della possibilità di far valere la pretesa all’indennizzo dinanzi al giudice ordinario – e fuori dei casi, come detto non pertinenti alla fattispecie, di reiterazione del vincolo -, non si riverbererebbe in termini di illegittimità sulla previsione del P.R.G. che impone su un suolo un vincolo di natura espropriativa.

3. Quanto alle ulteriori censure di illogicità della “nuova” destinazione impressa all’area, esse in parte muovono del pari dal presupposto (rimasto smentito, si ripete) che ci si trovi al cospetto di una reiterazione, ma poi si spingono anche a sostenere che detta destinazione sia comunque illogica anche ove intrinsecamente considerata, in quanto l’area sarebbe ubicata in una zona destinata ad impianti industriali, e vicina all’autostrada e pertanto non vi sarebbe ragione né logica nell’imprimervi la destinazione contestata.

3.1. Osserva il Collegio che la doglianza non appare favorevolmente delibabile, in considerazione della lata discrezionalità che va riconosciuta all’amministrazione nel procedere alla zonizzazione.

In sostanza, l’amministrazione ritiene che detto spazio verde vada mantenuto, e non sembra al Collegio che la circostanza che esso sia circondato da impianti industriali sia indice ex se considerata di alcuna illegittimità, né potrebbe utilmente sostenersi che la circostanza che l’area sia periferica escluda che essa possa divenire pienamente fruibile ove la destinazione a servizi venga effettivamente attuata.

Per altro verso, una volta riconosciuta la natura conformativa della pregressa destinazione, non assume rilievo la circostanza che per lungo tempo, in passato l’amministrazione non si sia attivata per realizzare la previsione dell’area e comunque ciò non dimostra che la destinazione “nuova” impressa al fondo sia illogica,

3.2. E’ poi importante sottolineare che nell’accurata analisi contenuta nella già citata sentenza del 30 luglio 2012, n. 4321, è stato dato atto della circostanza (capo 4.1.) che il mixtum di previsioni contenuto nello strumento urbanistico approvato non abbia esuberato dal perimetro discrezionale affidato all’amministrazione.

3.3. Infine, non è superfluo sottolineare che le considerazioni sinora esposte si pongono in linea con la giurisprudenza della Sezione, e di avveduta giurisprudenza di primo grado, con riferimento a previsioni analoghe introdotte dagli strumenti urbanistici adottati da numerose città italiane (tra le tante: Consiglio di Stato, sez. IV, 9 dicembre 2015, n. 5582; T.A.R. Milano, sez. II, 17 febbraio /2016, n. 342; T.A.R. Genova, sez. I, 27aprile 2012, n. 592).

4. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.

5. Le spese processuali del grado seguono la soccombenza, e pertanto gli appellanti devono essere condannati in solido al pagamento delle medesime in favore dell’amministrazione comunale, nella misura che appare equo determinare in Euro tremila (Euro 3000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna in solido gli appellanti al pagamento delle spese processuali del grado in favore dell’amministrazione comunale, nella misura di Euro tremila (Euro 3000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Troiano – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere, Estensore

Oberdan Forlenza – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere

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