Consiglio di Stato, sezione adunanza plenaria, sentenza 23 febbraio 2018, n. 2. L’articolo 99, comma 4 del cod. proc. amm. deve essere inteso nel senso di rimettere all’Adunanza plenaria la sola opzione fra l’integrale definizione della controversia e l’enunciazione di un principio di diritto

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Alle medesime conclusioni si perviene attraverso l’esame del dispositivo della sentenza (ove si fa espresso riferimento alla formulazione “[dei] princìpi di diritto di cui in motivazione”).

E’ qui appena il caso di osservare che l’ordinanza di rimessione della Quarta Sezione n. 2707 del 2015 (la quale ha dato luogo all’adozione della richiamata sentenza n. 9 del 2015) non aveva chiesto all’Adunanza plenaria di stabilire se nel caso in esame si facesse questione della mancata indicazione degli oneri della sicurezza piuttosto che di questioni inerenti alla verifica di anomalia, ma aveva piuttosto chiesto di stabilire se i princìpi di diritto già enunciati con la sentenza n. 3 del 2015 fossero altresì riferibili alle procedure per le quali la fase di presentazione delle offerte fosse esaurita anteriormente a tale pronunciamento e, in caso affermativo, se fosse possibile ovviare all’eventuale omissione attraverso il rimedio del c.d. soccorso istruttorio.

4. Si può ora passare ad esaminare il quesito dinanzi richiamato sub 2.4.

Come si è già osservato, la Sezione remittente ha al riguardo chiesto a questa Adunanza plenaria di chiarire se, nell’enunciare il principio di diritto di cui alla sentenza n. 9 del 2015 (punto 5 della motivazione, sub b)) “lo abbia inteso applicabile al motivo di ricorso Sa., intendendolo già esaminato (interpretato) e prospettato dal giudice remittente (…) ovvero se l’Adunanza plenaria abbia ritenuto di enunciare solo un “astratto” principio di diritto, lasciando poi al giudice remittente (…) ogni interpretazione in concreto del motivo di ricorso, cui tuttavia applicare il principio da essa enunciato”.

4.1. Al riguardo il Collegio si limita ad osservare che, una volta chiarito (come si è fatto retro, sub 3.1) che le statuizioni rese da questa Adunanza plenaria con la sentenza n. 9 del 2015 (punto 5 della motivazione, sub b)) si traducono nell’enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell’articolo 99, comma 4 cod. proc. amm., non vi è spazio sistematico per ammettere un’indagine circa il maggiore o minore grado di astrattezza del medesimo principio in relazione alle peculiarità del giudizio a quo.

La richiamata disposizione codicistica riconosce infatti al Giudice della nomofilachia un’opzione binaria (quella fra l’integrale definizione della controversia e l’enunciazione di un principio, con rimessione per il resto al Giudice a quo) la quale è di per sé idonea ad approntare strumenti di risposta adeguati alle esigenze del Giudice remittente (e alla domanda di giustizia che vi è sottesa).

L’Adunanza plenaria può infatti (secondo uno schema concettuale simile a quello delineato dai primi due commi dell’articolo 384 c.p.c.) decidere l’intera controversia – in particolare laddove non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto – ovvero enunciare il principio di diritto e rimettere per il resto il giudizio alla Sezione remittente, alla quale spetterà, evidentemente, il compito di contestualizzare il principio espresso in relazione alle peculiarità del caso sottoposto al suo giudizio.

Pertanto la richiamata disposizione codicistica (la cui portata è già adeguatamente ampia, come adeguato è il novero dei poteri in concreto esercitabili dall’Adunanza plenaria) non ammette la possibilità – che sembra invece adombrata nell’ordinanza di rimessione – di articolare ulteriormente l’enunciazione del principio di diritto secondo diversi livelli di astrattezza o – correlativamente – di aderenza alle peculiarità della vicenda di causa.

Non si tratta quindi di stabilire se nel caso che qui ricorre l’Adunanza plenaria abbia espresso un principio di diritto di carattere più o meno “astratto”; si tratta piuttosto di chiarire che, nell’impostazione codicistica, laddove l’Adunanza plenaria ritenga di poter dettare conclusivamente la regola del caso concreto, potrà (e dovrà) semplicemente avvalersi del potere di integrale definizione della controversia.

E’ invece estranea alla littera e alla ratio del richiamato articolo 99, comma 4 cod. proc. amm. la possibilità – cui sembra far riferimento l’ordinanza di rimessione – di articolare ulteriormente lo strumento dell’espressione del principio di diritto ammettendo una sorta di graduazione applicativa (con espressione di princìpi dotati – a seconda dei casi – di maggiore o minore attinenza con la res controversa).

Laddove infatti si ammettesse una siffatta possibilità, la rimessione nomofilattica di cui all’articolo 99, cit. rischierebbe di perdere i caratteri propri di uno strumento volto a una sostanziale reductio ad unitatem e di divenire essa stessa potenziale fonte di interpretazioni variegate e divergenti, con evidente nocumento di quello stesso canone di certezza giuridica cui l’istituto, al contrario, mira.

Nella fisiologica dinamica dei rapporti fra il Giudice della nomofilachia e quello del giudizio a quo, a seguito dell’enunciazione del principio di diritto da parte del primo, spetterà a quest’ultimo l’attività di contestualizzazione della regula iuris in relazione alle peculiarità del caso concreto, dovendosi in via di principio escludere forme di sostanziale ibridazione fra l’enunciazione di un principio e la definizione di una vicenda puntuale.

5. Il Collegio ritiene a questo punto di esaminare il quesito dinanzi descritto sub 2.1, con cui è stato chiesto di stabilire se alla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2015 e ai princìpi di diritto in essa sanciti (con particolare riguardo a quello relativo ai rapporti fra omessa indicazione degli oneri per la sicurezza e il soccorso istruttorio) possa essere riconosciuta l’autorità della cosa giudicata in relazione alla controversia nel cui ambito sono stati resi.

Il quesito assume notevole rilievo ai fini della presente decisione in quanto la ricorrente in revocazione lamenta che la sentenza della Quarta Sezione n. 1448/2016 risulti in contrasto con la sentenza di questa Adunanza plenaria n. 9 del 2015, che avrebbe fra le parti l’autorità della cosa giudicata.

E’ evidente che il quesito coinvolge più in generale la questione relativa alla possibilità di riconoscere l’autorità della cosa giudicata in senso endoprocessuale all’enunciazione di un principio di diritto ai sensi dell’articolo 99, comma 4 del cod. proc. amm.

5.1. Il Collegio ritiene che al quesito debba rispondersi in senso negativo.

5.2. Si osserva in primo luogo al riguardo che l’enunciazione da parte dell’Adunanza plenaria di un principio di diritto ai sensi dell’articolo 99, comma 4 del cod. proc. amm. non determina nei confronti della Sezione remittente un vincolo di giudicato (a ciò non ostando la motivata valutazione di rilevanza doverosamente operata dalla Sezione remittente ai sensi del comma 1 del medesimo articolo 99).

Ed infatti, l’enunciazione da parte dell’Adunanza plenaria di un principio di diritto nell’esercizio della propria funzione nomofilattica non integra l’applicazione alla vicenda per cui è causa della regula iuris enunciata e non assume quindi i connotati tipicamente decisori che caratterizzano le decisioni idonee a far stato fra le parti con l’autorità della cosa giudicata con gli effetti di cui all’articolo 2909 cod. civ. e di cui all’articolo 395, n. 5) c.p.c..

Come condivisibilmente rilevato dalla Ma. s.p.a., del resto, la statuizione con cui l’Adunanza plenaria si limita a enunciare un principio di diritto (invece di decidere l’intera controversia) determina effetti evidentemente diversi rispetto a quelli con cui la stessa Adunanza plenaria definisce l’intero rapporto giuridico controverso.

Fra tali effetti non è annoverabile quello (proprio delle statuizioni assistite dalla forza del giudicato) di far stato fra le parti e di costituire parametro di difformità rilevante ai sensi dell’articolo 395, n. 5), c.p.c.

Il vincolo del giudicato può pertanto formarsi unicamente sui capi delle sentenze dell’Adunanza plenaria che definiscono – sia pure parzialmente – una controversia, mentre tale vincolo non può dirsi sussistente a fronte della sola enunciazione di princìpi di diritto la quale richiede – al contrario – un’ulteriore attività di contestualizzazione in relazione alle peculiarità della vicenda di causa che non può non essere demandata alla Sezione remittente.

5.3. Deve naturalmente pervenirsi a conclusioni diverse nelle ipotesi in cui l’Adunanza plenaria (avvalendosi di un potere decisorio certamente ammesso dall’articolo 99, comma 4 cod. proc. amm.) si sia avvalsa della facoltà di definire con sentenza non definitiva la controversia, restituendo per il resto il giudizio alla Sezione remittente (se del caso, previa enunciazione di un principio di diritto).

In tali ipotesi il Giudice a quo potrà definire con la massima latitudine di poteri decisionali i capi residui della controversia che gli sono stati demandati, restando tuttavia astretto al vincolo del giudicato formatosi sui capi definiti dall’Adunanza plenaria.

5.4. Le conclusioni cui si è pervenuti sono avvalorate dall’esame diacronico circa l’evoluzione delle disposizioni relative alle ipotesi di rimessione all’Adunanza plenaria.

Nel sistema delineato dall’articolo 45 del R.D. 26 giugno 1924, n 1054 (similmente a quanto già previsto dall’articolo 38 della l. 31 marzo 1889, n. 5992 e, in seguito, dall’articolo 37 del R.D. 17 agosto 1907, n. 638) l’esercizio della funzione nomofilattica risultava inscindibilmente connesso alla devoluzione della funzione decisoria della controversia.

Il secondo comma dell’articolo 45, cit. stabiliva infatti che “la sezione, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o di ufficio può rimettere il ricorso all’Adunanza plenaria”.

L’impostazione sottesa alle richiamate previsioni normative era quella per cui l’Adunanza plenaria assommasse in modo sostanzialmente inscindibile funzioni nomofilattiche e funzioni più strettamente decisionali, qualificandosi – a seguito di un’ordinanza di rimessione – al contempo come Giudice del diritto e del fatto.

L’impostazione concettuale in parola risultava confermata (e, per alcuni versi, rafforzata) dall’articolo 73 del regolamento di procedura 17 agosto 1907, n. 642 secondo cui l’Adunanza plenaria, chiamata a dirimere contrasti in giurisprudenza fra le Sezioni del Consiglio di Stato, avrebbe dovuto “[decidere] su tutte le altre questioni della controversia”.

Il Codice del processo amministrativo (riprendendo invero una soluzione già a volte anticipata in via interpretativa dalla stessa Adunanza plenaria) ha introdotto previsioni volte a rafforzare la funzione nomofilattica svolta dalla stessa Adunanza plenaria, assimilandola sotto diversi profili a quella svolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ai sensi dell’articolo 374 c.p.c. e svincolandola dalla coessenziale funzione decisoria della controversia devoluta.

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