Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 6 marzo 2017, n. 1060

Quando risulta realizzato un manufatto abusivo, e malgrado il decorso del tempo, l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive: il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 6 marzo 2017, n. 1060

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9834 del 2016, proposto dai signori Ag. Ch. e alltri, rappresentati e difesi dall’avvocato Ma. To. (C.F. (omissis)), con domicilio eletto presso il signor Lu. Ga. in Roma, via (…);

contro

Il Comune di (omissis), in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ma. (C.F. (omissis)), domiciliato ex art. 25 cpa presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, piazza (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE – TORINO: SEZIONE II n. 1381/2016, resa tra le parti, concernente la demolizione delle opere edilizie abusive e il ripristino stato dei luoghi;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Ma. To. e Gi. Ma.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Le signore Ag. Ch. e altri, in qualità di comproprietarie, hanno collettivamente impugnato l’ordinanza di demolizione e di ripristino n. 7 del 28 ottobre 2015 a firma del Dirigente Responsabile del Servizio Pianificazione e Gestione del Territorio del Comune di (omissis), avente ad oggetto il cambio di destinazione da ricovero attrezzature agricole a carrozzeria, realizzato mediante l’esecuzione di opere edilizie, del capannone di proprietà, ubicato in (omissis), Via (omissis); nonché la realizzazione, senza titolo idoneo, in adiacenza, di un altro capannone della superficie di circa 56 mq; di un locale ufficio e un locale “forno” per la carrozzeria; di un ulteriore basso fabbricato della superficie di circa 23 mq; di una struttura metallica adibita a ricovero automezzi della superficie di circa 11 mq; di una tettoia della superficie di circa 5 mq; di un locale in muratura adibito a wc della superficie di circa 2 mq; ed infine di una ulteriore tettoia coperta di circa 3 mq.

2. Le ricorrente deducevano nei motivi d’impugnazione:

la violazione dell’art. 3 della l. n. 241/90 per assenza di ragioni di pubblico interesse alla rimozione dell’opera in relazione all’affidamento ingeneratosi; eccesso di potere per difetto di motivazione e per contraddittorietà;

violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/01 e mancata applicazione dell’art. 33 del d.p.r. stesso; eccesso di potere per erroneità e falsità dei presupposti.

L’intervento si sarebbe dovuto qualificare come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 380/01 che, in forza del nuovo disposto dell’art. 22 del d.P.R. cit., sarebbe realizzabile in base alla mera denuncia di inizio attività; conseguentemente avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 33 comma 2 del d.P.R. n. 380/2001, che consentiva l’applicazione della sola sanzione pecuniaria;

La violazione di legge e l’erronea applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 in punto acquisizione gratuita del bene.

Secondo le ricorrenti le strutture insistevano nell’area nell’attuale consistenza da tempo e pertanto si sarebbe ingenerato un affidamento in capo ad esse (eredi degli originari titolari della carrozzeria), ostativo all’ordine di demolizione. Inoltre la zona in cui il capannone si trova è attualmente qualificata (omissis) (area totalmente edificata priva di valore storico ambientale), ove sono ammesse le destinazioni di “attività a servizio della circolazione”, compatibili con quella in essere.

L’ordinanza impugnata, lamentavano ancora le ricorrenti, oltre a comminare illegittimamente la sanzione della demolizione in luogo di quella pecuniaria, non individuava l’area di acquisizione gratuita per l’ipotesi di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, posto che detta sanzione non sarebbe applicabile per l’ipotesi di ristrutturazione abusiva, né contro i proprietari non responsabili dell’abuso.

3. Il Comune di (omissis) non si è costituito nel corso del secondo grado del giudizio.

4. Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sez. II, dopo aver disposto una verificazione volta ad accertare la documentazione amministrativa inerente l’immobile, respingeva il gravame.

Rilevano i giudici di prime cure che il capannone è stato edificato a seguito del rilascio di una concessione edilizia n. 79/1978 ad uso “ricovero attrezzature agricole”; e che anche la concessione edilizia in variante n. 51/79 e il certificato di agibilità rilasciato in data 23.10.1979, acquisito in sede di verificazione, confermavano la destinazione agricola.

In definitiva, sul rilevo che nessun documento di rilevanza urbanistico-edilizio ha mai autorizzato o sanato le opere oggi contestate, il Tar negava il presupposto stesso del legittimo affidamento invocato dalle ricorrenti, precisando che già i loro danti causa, sin dal 1980, sono stati destinatari di un ordine di ripristino della destinazione d’uso agricola e che il giudizio d’impugnazione avverso il provvedimento sanzionatorio è stato dichiarato perento con la sentenza n. 1254/82 del 30 novembre 1982.

5. Appellano la sentenza le signore Ag. Ch. e altri. Resiste il Comune di (omissis).

6. Alla camera di consiglio del 2 febbraio 2017, fissata per la cognizione della domanda cautelare di sospensione d’efficacia della sentenza appellata, la causa, previa comunicazione alle parti, è stata trattenuta in decisione.

7. Col primo motivo d’appello, si censura il capo della sentenza nel quale è stata esclusa la sussistenza di alcun legittimo affidamento, ex se ostativo all’ordine di demolizione, maturato in capo alle ricorrenti.

I documenti acquisiti in sede di verificazione, relativi alle autorizzazioni amministrative rilasciate per l’attività di carrozzeria intrapresa nel capannone, attesterebbero che il Comune era da sempre a conoscenza dell’avvenuto cambio di destinazione del capannone da agricolo a produttivo artigianale.

7.1 Il motivo è infondato.

La destinazione d’uso del capannone è quella impressagli dalla concessione edilizia n. 79 del 1978 in forza della quale è stato realizzato ad uso “ricovero attrezzature agricole”. Il certificato di agibilità del 23 ottobre 1979 ribadisce l’uso esclusivo agricolo del capannone.

7.2 Viceversa i documenti relativi ad autorizzazioni riguardanti le emissioni in atmosfera e l’apposizione d’insegne hanno ad oggetto l’attività, non il manufatto o gli edifici annessi all’interno dei quali si svolge l’attività.

7.3 Quanto all’affidamento che si sarebbe ingenerato nella specie, va richiamata la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, per la quale il lungo periodo di tempo intercorrente tra la realizzazione dell’opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio è circostanza che non rileva ai fini della legittimità di quest’ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell’opera che il protrarsi del comportamento inerte del Comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell’abuso, sia in relazione ad un ipotizzato ulteriore obbligo, per l’Amministrazione procedente, di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto, poiché la lunga durata nel tempo dell’opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo.

Infatti, è di per sé del tutto irrilevante il tempo intercorrente tra la commissione di un abuso edilizio e l’emanazione del provvedimento di demolizione.

Quando risulta realizzato un manufatto abusivo, e malgrado il decorso del tempo, l’amministrazione deve senza indugio emanare l’ordine di demolizione per il solo fatto di aver riscontrato opere abusive: il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (cfr. Consiglio Stato, (Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2014, n. 3568; sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955).

Da un lato, quando è realizzato un abuso edilizio non è radicalmente prospettabile un legittimo affidamento.

Dall’altro, il proprietario non si può di certo dolere del ritardo con cui l’amministrazione – a causa del mancato accertamento dell’abuso o per la connivenza degli organi pubblici pro tempore – abbia emanato il provvedimento che la legge impone di emanare immediatamente.

La legge non ha mai attribuito rilievo sanante al ritardo con cui l’Amministrazione emana l’atto conseguente alla commissione dell’abuso edilizio, né si può affermare che l’inerzia o la connivenza degli organi pubblici possano comportare una sostanziale sanatoria, che la legge invece disciplina solo in casi tassativi, o con leggi straordinarie sul condono o con la normativa sull’accertamento di conformit

Per di più, vi è stata l’emanazione di una ordinanza di ripristino della originaria destinazione d’uso agricola, emanata dal Comune nel 1980 nei confronti del dante causa delle ricorrenti. A sua volta, la perenzione del giudizio proposto avverso tale ordinanza illo tempore ha reso definitivo in capo ai proprietari dell’immobile l’obbligo della demolizione, mai eseguito dalle ricorrenti e prima di esse dal loro dante causa.

8. Col secondo motivo, le appellanti lamentano l’errore di giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure nel non qualificare l’intervento come mera ristrutturazione edilizia, come prevista dagli artt. 10 e 22 del d.P.R. n. 380/2001 nel testo attualmente vigente, passibile della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria.

8.1 Il motivo è infondato.

8.2 L’ordinanza di demolizione impugnata individua tutta una serie di abusi edilizi: oltre al cambio di destinazione con l’esecuzione di opere edilizie del capannone di proprietà da ricovero attrezzature agricole a carrozzeria, la realizzazione, senza titolo idoneo, in adiacenza, di altro capannone della superficie di circa 56 mq; di un locale ufficio e un locale “forno” per la carrozzeria; di ulteriore basso fabbricato della superficie di circa 23 mq; di una struttura metallica adibita a ricovero automezzi della superficie di circa 11 mq; di una tettoia della superficie di circa 5 mq; di un locale in muratura adibito a wc della superficie di circa 2 mq; ed infine di una ulteriore tettoia coperta di circa 3 mq.

La molteplice realizzazione di manufatti eseguiti senza titolo edilizio (ciascuno dei quali richiedeva il rilascio del permesso) e la incontestata destinazione abusiva dell’intero capannone principale sin dal 1980 non consentono di qualificare l’abuso contestato come mera ristrutturazione.

In particolare, il rilascio del permesso era necessario per la realizzazione non solo dei volumi, ma anche della tettoia (ove non rilevante per il calcolo della volumetria).

Per l’art. 3, comma 1, lett. e.1) del testo unico n. 380 del 2001, occorre il permesso per “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6) “; per l’art. 6, comma 1, lettera b), del medesimo testo unico, nell’ambito della “attività edilizia libera” rientrano “gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio”).

La ratio delle disposizioni – che richiedono senza eccezioni il rilascio del permesso per ogni manufatto fuori terra – è chiara: il testo unico da un lato intende attribuire agli organi comunali il potere di verificare se la realizzazione della tettoia sia consentita dalla normativa locale e dall’altro intende evitare che, mediante la sua realizzazione, si verifichi una situazione che può evolvere – mediante chiusure – nella realizzazione di ulteriori volumetrie.

9 Con il terzo motivo d’appello, si deduce l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar laddove ha ritenuto legittima la comminazione della demolizione e il conseguente provvedimento d’acquisizione gratuita dell’immobile per il caso di mancata ottemperanza.

9.1 Il motivo è infondato.

Costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che – constatata l’esistenza di un abuso edilizio – l’ordine di demolizione – e, in caso d’inottemperanza, l’acquisizione al patrimonio del Comune – è atto vincolato che non richiede alcuna specifica valutazione di ragioni d’interesse pubblico alla demolizione, né comparazione con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione d’illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1948; Id., sez. VI, 5 maggio 2016, n. 1774).

La sanzione della demolizione (cfr. artt. 31 ss. d.P.R. n. 380/2001) ha carattere reale, ossia colpisce la res abusiva, a prescindere dalla attuale titolarità del diritto di proprietà in capo a chi non sia autore dell’abuso.

10. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.

11. Le spese di lite del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 9834 del 2016, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna le signore Ag. Ch. e altri, in solido, al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del Comune di (omissis), che si liquidano in complessivi 4000,00 (quattromila) euro, oltre diritti ed accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore

Dario Simeoli – Consigliere

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