Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 27 aprile 2015, n. 2137

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7383 del 2014, proposto da:

Pe. s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Sa.Mo., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, via (…);

contro

Comune di Fiano Romano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ru.Fr., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale (…);

Ministero per i beni e le attività culturali, U.T.G. – Prefettura di Roma, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata presso gli uffici di quest’ultima in Roma, Via (…); Direzione Regionale Per i Beni Culturali e Paesaggisti del Lazio, Regione Lazio;

nei confronti di

Ca.Fe.;

per la riforma

della sentenza 4 luglio 2014, n. 7129 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione II-bis.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 marzo 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Mo. ed altri.

 

FATTO e DIRITTO

 

1.– Il Comune di Fiano Romano ha rilasciato a Ed. s.r.l. e Pe. s.p.a il permesso di costruire 19 giugno 2008, n. 36, per la realizzazione di un nuovo edificio ad uso residenziale (palazzina E) ed il cambio di destinazione d’uso per alcuni volumi tecnici già realizzati in un fabbricato preesistente (palazzina C).

La Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Province di Roma, Rieti e Viterbo, su esposto di un confinante, con atto del 28 gennaio 2009, n. 1925, ha ordinato all’amministrazione comunale di effettuare una verifica circa la sussistenza sull’area di un vincolo paesaggistico “Valle del Tevere”, come disposto dalla delibera della Giunta regionale del Lazio n. 10591 del 1989.

Il Comune, con nota 10 febbraio 2009, n. 4914, ha escluso la sussistenza del vincolo.

La Regione Lazio, con atto 12 giugno 2009, prot. 110157, ha comunicato al Comune che l’area sulla quale è in corso di costruzione il fabbricato è sottoposta a vincolo paesaggistico e che, in particolare, “la porzione di area vincolata è quella che si trova oltre i 500 ml dalla strada provinciale Tiberina”.

Il Comune, preso atto di tale nota e tenuto conto che la materia del paesaggio e di gestione dei vincoli è di competenza regionale, con atto 15 giugno 2009, n. 16791, ha annullato il permesso di costruire perché rilasciato in assenza di autorizzazione paesaggistica.

Lo stesso Comune, con atto n. 77 di pari data, ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori e la demolizione dei lavori realizzati.

La società ha impugnato tali atti innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che, con sentenza 7 luglio 2010, n. 23285, ha accolto il ricorso.

Il Consiglio di Stato, con sentenza 12 dicembre 2012, n. 6372, ha accolto l’appello dell’amministrazione, rilevando l’effettiva sussistenza del vincolo paesaggistico e la conseguente illegittimità del permesso di costruire rilasciato in assenza del previo rilascio della autorizzazione paesaggistica.

2.– Successivamente: i) con nota 18 luglio 2013, prot. n. 19969, il Comune ha accertato l’inottemperanza all’ordine di demolizione n. 77 del 2009; ii) con nota 29 ottobre 2013, n. 29742, lo stesso Comune ha disposto l’acquisizione del fabbricato al patrimonio del Comune; iii) con nota 14 novembre 2013, n. 21271, la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, ha comunicato alla società che provvederà alla demolizione delle opere abusive.

2.1.– Tali atti sono stati impugnati innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che, con sentenza 4 luglio 2014, n. 7129, ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando che detti atti “non sono dotati di una lesività autonoma” in ragione della “inoppugnabilità dell’ordine contenuto nel provvedimento n. 77 del 2009 a seguito del giudicato formatosi sullo stesso”.

2.2.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello, rilevando l’erroneità della sentenza impugnata in quanto il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 6372 del 2012, si sarebbe limitato a riscontrare la sussistenza formale del vincolo, ancorché lo stesso, in ragione dei successivi strumenti di pianificazione paesaggistica, avrebbe dovuto ritenersi svuotato di contenuto. La stessa sentenza, si sottolinea nell’atto di appello, non ha esaminato la legittimità dell’ordine di demolizione n. 77, in quanto l’amministrazione avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 38 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), valutare se fosse possibile emendare il vizio riscontrato.

2.3.– Si è costituito in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto dell’appello.

2.4.– Questa Sezione, con ordinanza 22 ottobre 2014, n. 4841, ha accolto l’istanza cautelare e, conseguentemente, ha sospeso l’efficacia della sentenza impugnata.

3.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 17 marzo 2015.

4.– In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione, proposta dal Comune resistente, di inammissibilità dell’appello per mancata specifica contestazione della parte della motivazione della sentenza impugnata relativa alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso per mancanza di lesività degli atti impugnati.

L’eccezione è infondata.

Il ricorso in appello, nella parte in cui critica la sentenza per non avere rilevato che la legittimità dell’ordine di demolizione non rientrava nel giudicato oggettivo di cui alla decisione n. 2012, n. 6372 di questa Sezione e conseguentemente per non avere ritenuto necessaria una autonoma determinazione dell’amministrazione comunale successiva all’annullamento del permesso di costruire, ha, implicitamente, impugnato la logicamente parte della sentenza che ha considerato meramente consequenziali e quindi dovuti gli atti impugnati nel presente giudizio.

5.– L’appello è fondato.

L’art. 38 del d.p.r. n. 380 del 2001 dispone che, “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale”.

La finalità della norma è quella di dettare una disciplina che tenga in adeguata considerazione, in ragione degli interessi implicati, la circostanza che l’intervento edilizio è stato realizzato in presenza di un titolo abilitativo che, solo successivamente, è stato dichiarato illegittimo.

L’amministrazione deve, pertanto, valutare, con specifica motivazione, in ragione soprattutto di eventuali sopravvenienze di fatto o di diritto e della effettiva situazione contenutistica del vincolo, se sia possibile convalidare l’atto annullato. In altri termini, l’annullamento del permesso di costruire “non comporta affatto per il Comune l’obbligo sempre e comunque di disporre la demolizione di quanto realizzato sulla base del titolo annullato, ma è circoscritto al divieto, in caso di adozione di un nuovo titolo edilizio, di riprodurre i medesimi vizi (formali o sostanziali che siano) che detto titolo avevano connotato” (Cons. Stato, Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4923).

Nel caso in esame, il Comune ha annullato il permesso di costruire e contestualmente ha ordinato la demolizione delle opere realizzate.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6372 del 2012, ha ritenuto legittimo l’atto di autotutela ma non si è espresso, come erroneamente ritenuto, invece, dal primo giudice, in ordine alla legittimità dell’originario ordine di demolizione.

Deve, pertanto, ritenersi che l’annullamennto in autotutela del permesso di costruire abbia determinato il “superamento” dell’originario ordine di demolizione che non conteneva le valutazioni motivazionali sopra indicate.

Ne consegue che il Comune non poteva accertare l’inottemperanza al suddetto ordine, ma avrebbe dovuto adottare un nuovo atto contenente una esplicita motivazione relativa alla emendabilità o meno del vizio riscontrato.

5.– L’accoglimento dell’appello, per le ragioni sin qui indicate, comporta la condanna dell’amministrazione comunale al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese processuali che si determinano in euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) accoglie l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado;

b) condanna il Comune di Fiano Romano al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese processuali che si determinano in euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere

Gabriella De Michele – Consigliere

Roberta Vigotti – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 27 aprile 2015

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