Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 26 giugno 2017, n. 3113

Una costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica. Anche in tale situazione, infatti, sussiste la medesima esigenza pubblicistica di evitare intercapedini dannose

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 26 giugno 2017, n. 3113

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3174 del 2015, proposto dalla sig.ra Ma. Ma., rappresentata e difesa dall’avvocato Er. St. Da., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);

contro

Gi. Ru. e Ma. Ri. Qu., rappresentati e difesi dall’avvocato Vi. Pa., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Pi. To. in Roma, via (…);

nei confronti di

Comune di Lecce, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati La. As. e El. Ci., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Ba. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione III, n. 2987/2014, resa tra le parti, concernente permesso di costruire in sanatoria.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gi. Ru. e di altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2015 il Cons. Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati De Gi. per delega di St. Da., Pa. e Pa., per delega di As.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante (sig.ra Ma. Ma.) ricostruisce la vicenda contenziosa nei termini seguenti.

Ella è proprietaria di un lotto di terreno, ricadente in agro di Lecce, distinto in catasto al foglio (omissis), particelle (omissis), di estensione pari a mq 285, sottoposto di circa mt 2,25 rispetto alla quota stradale.

Un muro separa tale area dal giardino pertinenziale all’abitazione dei coniugi Ru. (sovrastante un piano seminterrato), il quale confina a sua volta con area scoperta di pertinenza del piano rialzato di proprietà dei medesimi ricorrenti, sito lungo la via (omissis).

Tale giardino è costituito da un terrapieno, ovvero un accumulo di terreno creato artificialmente su un’area in origine libera, al pari di quella antistante di proprietà della sig.ra Ma.: tale circostanza è provata da un accordo risalente al 28 luglio 1999 nel quale le parti interessate (sig.ra Ma. e sig. Ru.) stabilivano di realizzare un muro di confine da porre ad una distanza di mt 5,98 dalla cabina autoclave ratione temporis esistente nella proprietà dei coniugi Ru..

In tale atto non si fa cenno alcuno alla presenza di un giardino nella proprietà Ru.: inoltre, il relativo schizzo grafico che le parti ponevano in calce a tale scrittura privata dimostra come entrambe le aree fossero libere. Quello poi effettivamente realizzato all’esito del predetto accordo, contrariamente a quanto prospettato da parte appellata in seno al ricorso di primo grado, non è un semplice muro di cinta di altezza pari a 1,90 mt (che normalmente è preordinato alla mera delimitazione di un fondo, avendo un altezza non superiore a mt 3), bensì un vero e proprio muro di fabbrica dell’altezza di 3,20 mt che sostiene il terrapieno creato artificialmente dai coniugi Ru. e, in quanto tale, deve essere considerato una vera e propria costruzione.

2. Con istanza acquisita al protocollo del Comune di Lecce in data 22 febbraio 2010, la sig.ra Ma. ha chiesto il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione, sull’area di proprietà, di un locale da adibire a box auto in aderenza al muro di confine, la cui altezza doveva essere contenuta entro la quota 0,00 misurata tra il marciapiede di via (omissis) e l’intradosso del solaio di copertura del costruendo fabbricato.

Conseguentemente, in data 23 novembre 2010, veniva rilasciato il permesso di costruire n. 579/2010, prot. n. 26898/2010.

In esito al rilascio del titolo edilizio, la sig.ra Ma. ha realizzato un fabbricato che presenta una quota eccedente la quota 0,00 posta sul confine del lotto (di cm 69 sino all’intradosso e di cm 94 sino all’estradosso), avente altezza complessiva non eccedente quella del citato muro di fabbrica e la stessa quota di solaio del piano seminterrato del fabbricato di proprietà dei ricorrenti (tanto si evince dalla documentazione in atti da cui emerge come la linea di estradosso del solaio del fabbricato realizzato sul confine coincide con la linea di estradosso del solaio del piano seminterrato fronti-istante).

Tale parziale difformità rispetto al progetto originariamente assentito veniva fatta oggetto di richiesta di permesso di costruire in sanatoria, sulla scorta di considerazioni di natura tecnica, poi valutate positivamente dal Comune di Lecce mediante provvedimento dirigenziale n. 98 del 19 marzo 2014, prot. n. 4369/2013.

3. Con la sentenza 1° dicembre 2014, n. 1219 il TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione Terza, ha ritenuto fondato in parte qua il gravame ex adverso proposto, limitatamente al permesso di costruire in sanatoria n. 98 del 19 Marzo 2014 rilasciato dal Comune di Lecce all’odierna appellante per opere eseguite in parziale difformità al permesso di costruire n. 579/2010 relativo all’edificazione di un locale completamente interrato per box auto alla via Bonifacio (angolo Via (omissis)) ubicato sulla predetta area.

4. Il giudice di primo grado ha motivato l’accoglimento osservando quanto segue.

“Il Collegio ritiene, in primo luogo, condivisibili le censure formulate dai ricorrenti” (odierni appellati) “incentrate sulla violazione dell’art. 9, primo comma, del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (nella parte in cui prescrive “la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”) in quanto, pur se il muro di sostegno posto sul confine (avendo la funzione di contenere un terrapieno creato ex novo dall’opera dell’uomo ed altezza superiore a tre metri dal lato della proprietà Ma., dopo lo scavo di sbancamento) va qualificato alla stregua di “muro di fabbrica” realizzato nel lotto di proprietà dei ricorrenti [che consente alla controinteressata (odierna appellante) di costruire in aderenza sul confine], tuttavia, la parte emergente oltre la quota 0,00 del locale per box auto edificato dalla controinteressata (che, dunque, non è completamente interrato e non può essere qualificato come “piano interrato” nemmeno ai sensi dell’art. 66 del Regolamento edilizio comunale di Lecce, interpretato alla stregua dei consueti ortodossi canoni ermeneutici) deve essere considerata fronteggiante non soltanto con il piano seminterrato della casa di abitazione dei ricorrenti, ma anche con il piano rialzato dotato di parete finestrata, posto che la distanza di dieci metri tra pareti finestrate prescritta dall’art. 9 primo comma del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati che si fronteggiano.

Infatti, è stato chiarito che l’interposizione tra i fabbricati delle parti di un muro/costruzione non è di per sé sufficiente ad escludere l’operatività della disciplina delle distanze tra le pareti finestrate degli edifici, occorrendo per la disapplicazione della disciplina medesima che l’altezza e l’estensione del muro interposto escludano che gli edifici risultino anche parzialmente antistanti.

Inoltre, sussiste effettivamente, nel caso di specie, la denunciata violazione dell’art. 905 secondo comma del Codice Civile, posto che – notoriamente – non si possono costruire sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere”.

5. Propone ricorso in appello la sig.ra Ma. richiamando preliminarmente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2579; Cons. Stato, Sez. V, 28 giugno 2000, n. 3637) che riconosce natura di nuove costruzioni ai terrapieni creati artificialmente.

“Ciò significa che, in presenza di un muro di fabbrica che assume i connotati della costruzione, i nuovi fabbricati dovranno essere realizzati rispettando dal predetto muro le minime distanze prescritte dall’art. 9, comma 1, D.M. n. 144/68; ovvero, qualora consentito dalla normativa di zona, essere realizzati in aderenza, con consequenziale azzeramento di qualsiasi spazio tra edifici, a garanzia del medesimo fine cui è tesa la prescrizione in parola quale, nello specifico, quello di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario”.

L’appellante, “muovendo dalla natura di muro di fabbrica attribuibile al muro posto sul confine con la proprietà Ru./ Qu., nel rispetto della possibilità edificatoria prescritta dalla normativa locale, ha realizzato il box auto di proprietà in aderenza, con un’altezza complessiva (superiore a quella ammessa con permesso di costruire n. 579/2010) non eccedente quella del predetto muro di fabbrica e con la stessa quota di solaio del piano seminterrato del fabbricato di proprietà dei sig.ri Ru./ Qu., ottenendo legittimazione postuma dell’intervento con assenso edilizio n. 98/2014”.

“La nuova costruzione sorge in aderenza ed entro (e non oltre) l’altezza del muro di fabbrica; ovvero di quello che a tutti gli effetti deve essere parificato ad una costruzione posta sulla linea di confine, di modo che non vi può essere alcuna elusione della normativa in materia di distanze di cui all’art. 9 D.M. n. 1442/67, atteso che la nuova costruzione posta in aderenza, proprio perché contenute in altezza entro quella del muro di fabbrica, non può ritenersi edificio fronti-stante con altri fabbricati”.

“Ne deriva che nella fattispecie in esame il TAR di Lecce ha ritenuto sussistere una situazione di elusione della normativa sulle distanze sul presupposto che l’edificio di proprietà appellante, da una certa quota in poi, possa ritenersi fronti-stante con il piano seminterrato e con il piano rialzato di proprietà Ru./ Qu.. Tale situazione, intanto si sarebbe potuta verificare, in quanto la sig.ra Ma. avesse costruito in aderenza un edificio avente altezza superiore quella del muro-costruzione posto sul confine.

In tal caso, come afferma anche la giurisprudenza, la parte eccedente l’altezza del muro de qua avrebbe dovuto ritenersi assoggettata alla disciplina sulle distanze, con possibile disapplicazione della medesima solo per la quota posta al di sotto della sommità del medesimo: “Una costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica. Anche in tale situazione, infatti, sussiste la medesima esigenza pubblicistica di evitare intercapedini dannose” (T.A.R. Campania, Sezione II, 26 luglio 2011, n. 4010).

Viceversa, nella fattispecie ricorre una situazione diametralmente opposta nella quale la nuova costruzione, comprensiva della muratura di carica, è interamente contenuta entro l’altezza massima del muro di fabbrica esistente sul confine, la cui quota rappresenta il vero limite oltre il quale la costruzione Ma. sarebbe da considerarsi fronti-stante l’abitazione dei Sig.ri Ru..

Da qui, l’erroneità della pronuncia oggetto di impugnazione e, per l’effetto, l’integrale legittimità del titolo in sanatoria reso in favore della Sig.ra Ma.”.

“La sentenza di primo grado sconta una non corretta valutazione dell’entità e delle caratteristiche dell’intervento realizzato dalla odierna appellante anche nella parte in cui si ritiene sussistere la denunciata violazione dell’art. 905, comma 2, Cod. Civ., ove si prevede che non si possono costruire sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.

Anche in tal caso, infatti, la pronuncia sconta una chiara percezione fuorviata dello stato dei luoghi.

Ed invero, come si evince anche dalla relazione tecnica a firma dell’arch. (…), già versata in atti di primo grado, la costruzione della sig.ra Ma. non è stata “dotata” di specifico parapetto sul confine, proprio nell’intento di evitare quella criticità (possibilità di comodo affaccio) che oggi il giudice di primo grado ha rilevato.

In detta relazione si precisa come il lastrico solare del box auto sia del tutto non praticabile, essendo possibile accedere su di esso soltanto in occasione e per operazioni di manutenzione e/o pulizia”.

6. Il ricorso in appello merita accoglimento e, di conseguenza, va rigettato il ricorso di primo grado.

È pacifico in atti che, nonostante la difformità dall’originario titolo concessorio, poi sanata dal provvedimento impugnato in primo grado, la costruzione su cui si controverte non ha superato il limite del muro di fabbrica realizzato dagli appellati e, quindi, sviluppandosi in aderenza a quel muro, ha evitato il formarsi di quelle pericolose intercapedini che la normativa sui distacchi tende a prevenire.

Parimenti fondato è il ricorso in appello in relazione all’altro capo di sentenza con il quale si era ritenuta la violazione dell’art. 905, comma 2, Cod. Civ., perché il manufatto, così come realizzato specificamente, ossia per l’assenza di parapetti, realizza il fine voluto dalla norma invocata.

7. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, rigetta il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Roberto Giovagnoli – Consigliere

Bernhard Lageder – Consigliere

Andrea Pannone – Consigliere, Estensore

Maddalena Filippi – Consiglier

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3174 del 2015, proposto dalla sig.ra Ma. Ma., rappresentata e difesa dall’avvocato Er. St. Da., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);

contro

Gi. Ru. e Ma. Ri. Qu., rappresentati e difesi dall’avvocato Vi. Pa., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Pi. To. in Roma, via (…);

nei confronti di

Comune di Lecce, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati La. As. e El. Ci., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Ba. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione III, n. 2987/2014, resa tra le parti, concernente permesso di costruire in sanatoria.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gi. Ru. e di altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2015 il Cons. Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati De Gi. per delega di St. Da., Pa. e Pa., per delega di As.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante (sig.ra Ma. Ma.) ricostruisce la vicenda contenziosa nei termini seguenti.

Ella è proprietaria di un lotto di terreno, ricadente in agro di Lecce, distinto in catasto al foglio (omissis), particelle (omissis), di estensione pari a mq 285, sottoposto di circa mt 2,25 rispetto alla quota stradale.

Un muro separa tale area dal giardino pertinenziale all’abitazione dei coniugi Ru. (sovrastante un piano seminterrato), il quale confina a sua volta con area scoperta di pertinenza del piano rialzato di proprietà dei medesimi ricorrenti, sito lungo la via (omissis).

Tale giardino è costituito da un terrapieno, ovvero un accumulo di terreno creato artificialmente su un’area in origine libera, al pari di quella antistante di proprietà della sig.ra Ma.: tale circostanza è provata da un accordo risalente al 28 luglio 1999 nel quale le parti interessate (sig.ra Ma. e sig. Ru.) stabilivano di realizzare un muro di confine da porre ad una distanza di mt 5,98 dalla cabina autoclave ratione temporis esistente nella proprietà dei coniugi Ru..

In tale atto non si fa cenno alcuno alla presenza di un giardino nella proprietà Ru.: inoltre, il relativo schizzo grafico che le parti ponevano in calce a tale scrittura privata dimostra come entrambe le aree fossero libere. Quello poi effettivamente realizzato all’esito del predetto accordo, contrariamente a quanto prospettato da parte appellata in seno al ricorso di primo grado, non è un semplice muro di cinta di altezza pari a 1,90 mt (che normalmente è preordinato alla mera delimitazione di un fondo, avendo un altezza non superiore a mt 3), bensì un vero e proprio muro di fabbrica dell’altezza di 3,20 mt che sostiene il terrapieno creato artificialmente dai coniugi Ru. e, in quanto tale, deve essere considerato una vera e propria costruzione.

2. Con istanza acquisita al protocollo del Comune di Lecce in data 22 febbraio 2010, la sig.ra Ma. ha chiesto il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione, sull’area di proprietà, di un locale da adibire a box auto in aderenza al muro di confine, la cui altezza doveva essere contenuta entro la quota 0,00 misurata tra il marciapiede di via (omissis) e l’intradosso del solaio di copertura del costruendo fabbricato.

Conseguentemente, in data 23 novembre 2010, veniva rilasciato il permesso di costruire n. 579/2010, prot. n. 26898/2010.

In esito al rilascio del titolo edilizio, la sig.ra Ma. ha realizzato un fabbricato che presenta una quota eccedente la quota 0,00 posta sul confine del lotto (di cm 69 sino all’intradosso e di cm 94 sino all’estradosso), avente altezza complessiva non eccedente quella del citato muro di fabbrica e la stessa quota di solaio del piano seminterrato del fabbricato di proprietà dei ricorrenti (tanto si evince dalla documentazione in atti da cui emerge come la linea di estradosso del solaio del fabbricato realizzato sul confine coincide con la linea di estradosso del solaio del piano seminterrato fronti-istante).

Tale parziale difformità rispetto al progetto originariamente assentito veniva fatta oggetto di richiesta di permesso di costruire in sanatoria, sulla scorta di considerazioni di natura tecnica, poi valutate positivamente dal Comune di Lecce mediante provvedimento dirigenziale n. 98 del 19 marzo 2014, prot. n. 4369/2013.

3. Con la sentenza 1° dicembre 2014, n. 1219 il TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione Terza, ha ritenuto fondato in parte qua il gravame ex adverso proposto, limitatamente al permesso di costruire in sanatoria n. 98 del 19 Marzo 2014 rilasciato dal Comune di Lecce all’odierna appellante per opere eseguite in parziale difformità al permesso di costruire n. 579/2010 relativo all’edificazione di un locale completamente interrato per box auto alla via Bonifacio (angolo Via (omissis)) ubicato sulla predetta area.

4. Il giudice di primo grado ha motivato l’accoglimento osservando quanto segue.

“Il Collegio ritiene, in primo luogo, condivisibili le censure formulate dai ricorrenti” (odierni appellati) “incentrate sulla violazione dell’art. 9, primo comma, del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (nella parte in cui prescrive “la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”) in quanto, pur se il muro di sostegno posto sul confine (avendo la funzione di contenere un terrapieno creato ex novo dall’opera dell’uomo ed altezza superiore a tre metri dal lato della proprietà Ma., dopo lo scavo di sbancamento) va qualificato alla stregua di “muro di fabbrica” realizzato nel lotto di proprietà dei ricorrenti [che consente alla controinteressata (odierna appellante) di costruire in aderenza sul confine], tuttavia, la parte emergente oltre la quota 0,00 del locale per box auto edificato dalla controinteressata (che, dunque, non è completamente interrato e non può essere qualificato come “piano interrato” nemmeno ai sensi dell’art. 66 del Regolamento edilizio comunale di Lecce, interpretato alla stregua dei consueti ortodossi canoni ermeneutici) deve essere considerata fronteggiante non soltanto con il piano seminterrato della casa di abitazione dei ricorrenti, ma anche con il piano rialzato dotato di parete finestrata, posto che la distanza di dieci metri tra pareti finestrate prescritta dall’art. 9 primo comma del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati che si fronteggiano.

Infatti, è stato chiarito che l’interposizione tra i fabbricati delle parti di un muro/costruzione non è di per sé sufficiente ad escludere l’operatività della disciplina delle distanze tra le pareti finestrate degli edifici, occorrendo per la disapplicazione della disciplina medesima che l’altezza e l’estensione del muro interposto escludano che gli edifici risultino anche parzialmente antistanti.

Inoltre, sussiste effettivamente, nel caso di specie, la denunciata violazione dell’art. 905 secondo comma del Codice Civile, posto che – notoriamente – non si possono costruire sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere”.

5. Propone ricorso in appello la sig.ra Ma. richiamando preliminarmente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2579; Cons. Stato, Sez. V, 28 giugno 2000, n. 3637) che riconosce natura di nuove costruzioni ai terrapieni creati artificialmente.

“Ciò significa che, in presenza di un muro di fabbrica che assume i connotati della costruzione, i nuovi fabbricati dovranno essere realizzati rispettando dal predetto muro le minime distanze prescritte dall’art. 9, comma 1, D.M. n. 144/68; ovvero, qualora consentito dalla normativa di zona, essere realizzati in aderenza, con consequenziale azzeramento di qualsiasi spazio tra edifici, a garanzia del medesimo fine cui è tesa la prescrizione in parola quale, nello specifico, quello di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario”.

L’appellante, “muovendo dalla natura di muro di fabbrica attribuibile al muro posto sul confine con la proprietà Ru./ Qu., nel rispetto della possibilità edificatoria prescritta dalla normativa locale, ha realizzato il box auto di proprietà in aderenza, con un’altezza complessiva (superiore a quella ammessa con permesso di costruire n. 579/2010) non eccedente quella del predetto muro di fabbrica e con la stessa quota di solaio del piano seminterrato del fabbricato di proprietà dei sig.ri Ru./ Qu., ottenendo legittimazione postuma dell’intervento con assenso edilizio n. 98/2014”.

“La nuova costruzione sorge in aderenza ed entro (e non oltre) l’altezza del muro di fabbrica; ovvero di quello che a tutti gli effetti deve essere parificato ad una costruzione posta sulla linea di confine, di modo che non vi può essere alcuna elusione della normativa in materia di distanze di cui all’art. 9 D.M. n. 1442/67, atteso che la nuova costruzione posta in aderenza, proprio perché contenute in altezza entro quella del muro di fabbrica, non può ritenersi edificio fronti-stante con altri fabbricati”.

“Ne deriva che nella fattispecie in esame il TAR di Lecce ha ritenuto sussistere una situazione di elusione della normativa sulle distanze sul presupposto che l’edificio di proprietà appellante, da una certa quota in poi, possa ritenersi fronti-stante con il piano seminterrato e con il piano rialzato di proprietà Ru./ Qu.. Tale situazione, intanto si sarebbe potuta verificare, in quanto la sig.ra Ma. avesse costruito in aderenza un edificio avente altezza superiore quella del muro-costruzione posto sul confine.

In tal caso, come afferma anche la giurisprudenza, la parte eccedente l’altezza del muro de qua avrebbe dovuto ritenersi assoggettata alla disciplina sulle distanze, con possibile disapplicazione della medesima solo per la quota posta al di sotto della sommità del medesimo: “Una costruzione può essere realizzata sul confine del vicino limitatamente all’altezza del preesistente muro di fabbrica, mentre una volta superata tale altezza debbono essere rispettate le distanze previste tra le costruzioni dalla disciplina urbanistica. Anche in tale situazione, infatti, sussiste la medesima esigenza pubblicistica di evitare intercapedini dannose” (T.A.R. Campania, Sezione II, 26 luglio 2011, n. 4010).

Viceversa, nella fattispecie ricorre una situazione diametralmente opposta nella quale la nuova costruzione, comprensiva della muratura di carica, è interamente contenuta entro l’altezza massima del muro di fabbrica esistente sul confine, la cui quota rappresenta il vero limite oltre il quale la costruzione Ma. sarebbe da considerarsi fronti-stante l’abitazione dei Sig.ri Ru..

Da qui, l’erroneità della pronuncia oggetto di impugnazione e, per l’effetto, l’integrale legittimità del titolo in sanatoria reso in favore della Sig.ra Ma.”.

“La sentenza di primo grado sconta una non corretta valutazione dell’entità e delle caratteristiche dell’intervento realizzato dalla odierna appellante anche nella parte in cui si ritiene sussistere la denunciata violazione dell’art. 905, comma 2, Cod. Civ., ove si prevede che non si possono costruire sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere.

Anche in tal caso, infatti, la pronuncia sconta una chiara percezione fuorviata dello stato dei luoghi.

Ed invero, come si evince anche dalla relazione tecnica a firma dell’arch. (…), già versata in atti di primo grado, la costruzione della sig.ra Ma. non è stata “dotata” di specifico parapetto sul confine, proprio nell’intento di evitare quella criticità (possibilità di comodo affaccio) che oggi il giudice di primo grado ha rilevato.

In detta relazione si precisa come il lastrico solare del box auto sia del tutto non praticabile, essendo possibile accedere su di esso soltanto in occasione e per operazioni di manutenzione e/o pulizia”.

6. Il ricorso in appello merita accoglimento e, di conseguenza, va rigettato il ricorso di primo grado.

È pacifico in atti che, nonostante la difformità dall’originario titolo concessorio, poi sanata dal provvedimento impugnato in primo grado, la costruzione su cui si controverte non ha superato il limite del muro di fabbrica realizzato dagli appellati e, quindi, sviluppandosi in aderenza a quel muro, ha evitato il formarsi di quelle pericolose intercapedini che la normativa sui distacchi tende a prevenire.

Parimenti fondato è il ricorso in appello in relazione all’altro capo di sentenza con il quale si era ritenuta la violazione dell’art. 905, comma 2, Cod. Civ., perché il manufatto, così come realizzato specificamente, ossia per l’assenza di parapetti, realizza il fine voluto dalla norma invocata.

7. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, rigetta il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Roberto Giovagnoli – Consigliere

Bernhard Lageder – Consigliere

Andrea Pannone – Consigliere, Estensore

Maddalena Filippi – Consigliere

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