Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 21 marzo 2016, n. 1156
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4748 del 2015, proposto da
società Fo. Ca. Gr. s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Za., St. Pe. e Ma. Et. Ve., con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, Via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati. Al. Co. e Le. La., con domicilio eletto presso il primo in Roma, Via (…);
nei confronti di
Fa. s.r.l., ed altri;
sul ricorso per decreto ingiuntivo numero di registro generale 5286 del 2015, proposto da:
Comune di (omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati. Al. Co. e Le. La., con domicilio eletto presso il primo in Roma, Via (…);
contro
Fo. Ca. Gr. s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati. Fr. Za., St. Pe. e Ma. Et. Ve., con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, Via (…);
nei confronti di
Sl. s.p.a. – Si. Lo. di Of. In. ed altr;
per la riforma
quanto al ricorso n. 4748 del 2015:
della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma, sezione I-quater, n. 03384/2015, resa tra le parti, concernente demolizione di opere abusive;
quanto al ricorso n. 5286 del 2015:
della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma, sezione I-quater, n. 03384/2015, resa tra le parti, concernente demolizione di opere abusive;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Fo. Ca. Gr. s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2015 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Za., Pe., Co. in dichiarata delega dell’avv. Co., e Pa. per delega dell’avv. La.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, sez. I-quater, n. 3384/15 del 26 febbraio 2015 è stato respinto il ricorso proposto dalla società Fo. Ca. Gr. s.p.a. ed accolto il ricorso proposto dalla società Fa. s.r.l., previa riunione di tali ricorsi, proposti avverso la revoca delle autorizzazioni relative a lavori di sbancamento, sottofondazione e montaggio di carpenteria, nonché avverso gli ordini di demolizione nn. 150 del 17 settembre 2004 e 195 del 16 novembre 2004 (ricorso 11470/04); erano altresì oggetto di impugnativa i provvedimenti (nn. 23483 e 189 del 19 settembre 2005), con i quali venivano rilasciati alla società Fo. Ca. Gr. permesso di costruire in sanatoria e nuovo permesso per l’ultimazione dei lavori (ricorso n. 11053/05). La citata sentenza riepilogava la vicenda intercorsa, per la realizzazione di uno stabilimento industriale nel Comune di (omissis), con intervento edilizio in un primo tempo bloccato per lavori ritenuti dall’Amministrazione difformi da quelli assentiti, ma con successivo rilascio di permesso di costruire in sanatoria e autorizzazione per il completamento dei lavori non ancora eseguiti.
Questi ultimi provvedimenti, tuttavia, erano impugnati dalla società Fa. s.r.l., titolare nel vicino Comune di (omissis) di un impianto analogo a quello in via di realizzazione; detta società contestava – affermando di essere titolare al riguardo di interesse protetto – la violazione del principio di “doppia conformità”, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed il superamento dei limiti di altezza, oltre alla non rilasciabilità di parere successivo della Soprintendenza, per un’area su cui graverebbe vincolo boschivo. Nella medesima sentenza – ravvisata la legittimazione attiva della società Fa. s.r.l.. in base al requisito della vicinitas (secondo parametri non meramente spaziali ma anche di natura economica) e, sulla base di tale legittimazione, la possibilità per la stessa di censurare qualsiasi vizio di legittimità – si riteneva fondata ed assorbente la censura, con cui veniva rappresentata la non assentibilità di nulla osta paesaggistico in sanatoria, se non in ipotesi tassative nella fattispecie non sussistenti.
Infondato, invece, era ritenuto il ricorso della società Fo. Ca. Gr. avverso gli ordini di demolizione (assorbenti, rispetto ai precedenti ordini di sospensione dei lavori), con riferimento alle singole censure prospettate. Le opere realizzate, in particolare, avrebbero richiesto permesso di costruire e non sarebbero state assentibili in assenza di piano particolareggiato, mentre la revoca delle autorizzazioni sarebbe stata doverosa, “attesa la realizzazione di interventi edilizi, espressamente preclusi dagli atti di autorizzazione […] rilasciati”.
Avverso la sentenza hanno proposto appello la stessa Fo. Ca. Gr. s.p.a. (n. 4748/15, notificato il 15 maggio 2015) e il Comune di (omissis) (n. 5286/15, notificato il 3 giugno 2015).
La prima appellante sottolineava l’importanza dell’intervento per lo sviluppo di un’area in precedenza depressa, con destinazione industriale oggetto di apposita variante al P.R.G., approvata nel 2004 e seguita da piano attuativo approvato nel 2005; la medesima appellante prospettava quindi censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili, contestando, in particolare, la legittimazione della società Fa., la cui azione sarebbe stata ispirata da indebiti intenti di limitazione della concorrenza, con ulteriore inammissibile ingerenza nelle scelte pianificatorie del Comune di (omissis). Come rappresentato anche da quest’ultimo, inoltre, sull’area in questione non insisterebbe alcun vincolo boschivo, fatto salvo un mero errore materiale in una delle planimetrie del P.P., smentita dalla perimetrazione del bosco, contenuta nella tavola 7 del medesimo Piano. Era impugnata, inoltre, la declaratoria di improcedibilità in rapporto all’ordine di sospensione dei lavori, quanto meno sotto il residuale profilo risarcitorio e venivano pertanto riproposti tutti i motivi di gravame non esaminati; analoghe ragioni erano sostenute dal Comune di (omissis).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che, in via preliminare, sia opportuno disporre la riunione degli appelli nn. 4748/15 e 5286/15, in quanto legati da connessione sia soggettiva che oggettiva; . Nel merito, il Collegio ritiene che entrambe le impugnative siano meritevoli di accoglimento per rilevata inammissibilità del ricorso proposto in primo grado dalla società Fa. s.r.l., con conferma della sentenza appellata solo per quanto riguarda l’improcedibilità dell’originario ricorso di Fo. Ca. Gr. avverso l’ordine di sospensione dei lavori, da estendere anche alle misure repressive del 2004, antecedenti sia alla sanatoria delle opere già eseguite che al permesso di costruire n. 94 (prot. n. 23483) del 19 settembre 2005, con cui veniva autorizzato il completamento dei lavori.
Deve quindi essere esaminata, in via prioritaria, la contestata legittimazione della società Fa. s.r.l., promotrice del ricorso avverso il permesso di costruire in sanatoria, nonché avverso il nuovo permesso per l’ultimazione dei lavori, rilasciati a Fo. Ca. Gr. s.p.a..
E’ da ribadire che – in base ai principi generalmente affermati in materia – l’azione di annullamento proposta innanzi al giudice amministrativo è subordinata alla sussistenza di tre condizioni: a) la titolarità di una posizione giuridica, in astratto configurabile come interesse legittimo, inteso come posizione qualificata – di tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il soggetto dal quisque de populo in rapporto all’esercizio dell’azione amministrativa; b) l’interesse ad agire, ovvero la concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto, a norma dell’art. 100 Cod. proc. civ.; c) la legittimazione attiva o passiva di chi agisce o resiste in giudizio, in quanto titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo (giurisprudenza consolidata: cfr., fra le tante, Cons. Stato,. III, 3 febbraio 2014, n. 474 e 28 febbraio 2013, n. 1221; V, 23 ottobre 2013, n. 5131, 22 maggio 2012, n. 2947, 4 maggio 2012, n. 2578, 27 ottobre 2011, n. 5740 e 17 settembre 2008, n. 4409; IV, 30 settembre 2013, n. 4844; VI, 12 dicembre 2014, n. 6115).
Nei termini sopra sintetizzati, la proposizione dell’azione, nell’ambito del processo amministrativo, presuppone l’accertamento sia dell’astratta legittimazione ad causam (da intendere come titolarità della situazione soggettiva protetta, nell’ambito dello specifico rapporto, posto a base del giudizio); sia della concreta finalizzazione del giudizio al perseguimento del bene della vita, inibito o compromesso dal provvedimento impugnato (c.d. legitimatio ad processum, intesa come presupposto per poter esercitare, in modo valido, i propri diritti o interessi protetti sul piano processuale, in base al principio generale di cui al citato art. 100 Cod. proc. civ.).
Nella situazione in esame si richiede una peculiare valutazione dei limiti di esperibilità dell’azione, esercitata da parte di soggetti terzi, con riferimento a titoli autorizzativi (o a misure repressive), emessi o da emettere in materia edilizia.
Per pacifica giurisprudenza la legittimazione dei soggetti terzi, non direttamente destinatari del provvedimento, è riconosciuta nel settore in questione in base al criterio cosiddetto della vicinitas, ovvero in caso di stabile collegamento materiale tra l’immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi comportino contra legem un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio; quanto al pregiudizio della situazione soggettiva protetta dei medesimi soggetti terzi, il danno è ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione abusiva incide se non sulla visuale, quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e l’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi (cfr. in tal senso per il principio, fra le tante, Cons. Stato, IV, 11 giugno 2015, n. 2861, 23 giugno 2015, n. 318019 novembre 2015, n. 5278, III, 17 novembre 2015, n. 5357); solo in rapporto alle scelte di pianificazione urbanistica, invece, si richiede che i titolari di aree limitrofe, non direttamente incise dalla nuova disciplina, diano riscontri probatori del danno riconducibile al godimento, o al valore di mercato, dell’area su cui insistano gli immobili dai medesimi posseduti, per effetto della nuova normativa (cfr. in tal senso Cons. Stato, IV, 25 maggio 2015, n. 2588, 9 luglio 2015, n. 3432 e 16 luglio 2015, n. 3579).
Nella generalità dei casi descritti, comunque, la legittimazione del terzo ad impugnare gli atti riferibili a nuove edificazioni, prossime a quelli dai medesimi posseduti, risponde con ogni evidenza ai profili di legittimazione – sia ad causam che ad processum – in precedenza indicati, poiché l’Amministrazione – nel disciplinare l’edificabilità dei suoli o nell’autorizzare singoli interventi – vede potenzialmente contrapposti ai propri atti gli interessi legittimi non solo dei diretti destinatari degli atti stessi, ma anche dei terzi (proprietari o detentori qualificati di aree o immobili limitrofi) che sono direttamente tutelati dai limiti imposti all’esercizio di ius aedificandi e che hanno, pertanto, una posizione differenziata rispetto agli altri appartenenti alla collettività, in ordine al rispetto di tali limiti.
Nella sentenza appellata, tuttavia, si opera un ampliamento dei predetti profili di legittimazione, sulla base di alcuni precedenti, in cui il permesso di costruire costituiva presupposto per l’esercizio di un’attività commerciale, da parte di soggetti operanti nel medesimo bacino di utenza, anche se spazialmente distanti dall’area di intervento, con modifica in tal senso della nozione di vicinitas (Cons. Stato, IV, 19 marzo 2015, n. 1444 e 17 maggio 2015, n. 2324).
Nei citati precedenti erano però oggetto di impugnativa le autorizzazioni all’apertura di nuovi centri commerciali, con conseguente legittimazione dei potenziali concorrenti a contestare il rilascio delle medesime per qualsiasi vizio, anche riconducibile alla presupposta regolarità dell’esercizio sotto il profilo urbanistico-edilizio; nel caso di specie, il soggetto titolare di un impianto produttivo, situato in un Comune diverso ((omissis)), distante oltre 10 chilometri da (omissis), ha contestato invece direttamente e in via esclusiva i titoli edilizi, pur essendo estraneo ad un rapporto col territorio interessato, tale da giustificare un interesse differenziato alla legittima trasformazione edificatoria dei suoli.
Nella situazione in esame, pertanto, il Collegio ritiene che non sussistessero le condizioni per una diversa valutazione della vicinitas, nei termini utilizzati per controversie di interesse commerciale anziché edilizio, rilevandosi piuttosto un uso strumentale della tutela accordata ai soggetti terzi, in materia di provvedimenti di natura urbanistico-edilizia, a tutela di un interesse di fatto, finalizzato ad ostacolare la realizzazione di uno stabilimento concorrente.
In un tale contesto, il Collegio non ravvisa le necessarie condizioni legittimanti in precedenza indicate, sia per quanto riguarda la titolarità di un interesse legittimo, riferibile alle corrette modalità di edificazione (interesse, che per i soggetti terzi è circoscritto alla vicinitas, necessariamente intesa in senso spaziale), sia con riferimento alla lesione diretta ed attuale di tale interesse (riconducibile per la ricorrente Fa. s.r.l. non all’edificazione in sé, ma all’insediamento conseguente), sia infine per quanto riguarda il rapporto controverso, che in ambito urbanistico-edilizio intercorre fra l’Amministrazione preposta alla pianificazione e trasformazione edilizia del territorio e i soggetti interessati non solo all’esercizio del ius aedificandi, ma anche al rispetto dei relativi limiti.
Per le ragioni esposte il Collegio ritiene che, in accoglimento delle censure al riguardo contenute in entrambi gli appelli, il ricorso proposto in primo grado da Fa. s.r.l. debba essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva della medesima società.
Detta inammissibilità travolge le censure di non sanabilità delle opere, realizzate in area vincolata, pur non essendo inutile sottolineare la consistenza delle ragioni difensive, altresì prospettate da entrambe le appellanti, al fine di escludere l’incidenza dell’intervento su un’area boschiva vincolata, come positivamente accertato e documentato dall’Amministrazione comunale. Questa ha rilevato al riguardo – e segnalato alla Soprintendenza, previo accertamento diretto dello stato dei luoghi – come la ravvisata sussistenza del vincolo fosse riconducibile a un errore materiale, contenuto in uno soltanto degli elaborati grafici del piano particolareggiato, mentre nessun vincolo risultava in realtà insistente sull’area nel piano territoriale paesistico regionale (cfr. in tal senso nota comunale n. 10383 del 19 aprile 2006).
La riforma della sentenza appellata, per quanto riguarda la sanatoria delle opere realizzate e l’autorizzazione per il completamento dei lavori, emesse nel 2005, implica non il rigetto, ma l’improcedibilità dell’originario ricorso di Fo. Ca. Gr. avverso l’ordine di sospensione dei lavori, la revoca delle autorizzazioni del 2003 e del 2004 e le misure repressive del 2004, in ordine alle quali sussistevano ragioni (con particolare riguardo alla non ancora intervenuta approvazione, all’epoca, del piano attuativo e all’effettività della nuova destinazione industriale dell’area), che appaiono preclusive – quanto meno – per la configurazione della colpa dell’Amministrazione comunale, ai fini del soddisfacimento dell’interesse residuale – rivendicato dalla società appellante – al risarcimento del danno, con le conseguenze precisate in dispositivo.
Quanto alle spese giudiziali, il Collegio ne ritiene equa la compensazione per i due gradi di giudizio, tenuto conto della complessità dell’intera vicenda controversa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, riunisce ed accoglie gli appelli nn. 4748/15 e 5286/15, specificati in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dispone quanto segue:
a) dichiara improcedibile il ricorso n. 11470/2004, proposto in primo grado dalla società Fo. Ca. Gr. s.p.a.;
b) dichiara inammissibile il ricorso n. 11053/2005, proposto in primo grado dalla società Fa. s.r.l.
Compensa le spese dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Gabriella De Michele – Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Depositata in Segreteria il 21 marzo 2016.
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