Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 16 luglio 2015, n. 3576

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 3972 del 2015 proposto da Ch.Me., rappresentata e difesa dagli avvocati Fr.Va. e Si.Ci., con domicilio eletto presso Ci. in Roma, Via (…);

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Pi.Pa. dell’Avvocatura Capitolina, domiciliato in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO –ROMA -SEZIONE II TER, n. 10275/2014, resa tra le parti, concernente demolizione di opera edilizia abusiva;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 16 giugno 2015 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Va. e Pa.;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm. ;

premesso e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

1. Nel 1999 la signora Ch.Me. impugnò, davanti al Tar del Lazio, la determinazione dirigenziale n.1381 del 1998 con la quale il Comune di Roma aveva ingiunto la demolizione di un manufatto – “in blocchetti di cemento precompresso di mq 11,00 x 2,50 di altezza circa, sprovvisto di copertura, provvisto di un vano porta di accesso, di due vani finestra, tamponato nel lato corto, con all’interno una parete di m.1,40 x 2,50 di altezza – parzialmente rifinito e intonacato internamente ed esternamente, con pavimentazione allo stato grezzo, realizzato in Roma, Via (…)” – essendo stata, la preesistente “struttura in legno e materiali eterogenei di mq. 10,14 e di altezza variabile da mt. 1,80 a mt. 2,50, utilizzabile come ripostiglio”, in relazione alla quale la signora Me. aveva chiesto nel 1986 il rilascio di concessione edilizia in sanatoria, demolita e sostituita con la struttura in muratura, delle dimensioni e dell’altezza suindicate, in blocchetti di cemento precompresso, rifinita in modo da poter essere adibita ad abitazione.

Dinanzi al Tar la ricorrente sostenne di avere eseguito, nella tarda primavera del 1998, lavori di ristrutturazione edilizia consistenti nella demolizione e nuova, fedele ricostruzione del manufatto, nel rispetto del volume e della sagoma, senza che venisse in questione la realizzazione di un nuovo fabbricato, ossia una nuova costruzione o un ampliamento della costruzione preesistente, trattandosi invece di un semplice consolidamento di un manufatto già esistente.

2. Con la sentenza in epigrafe il Tar ha respinto il ricorso condannando la ricorrente alle spese in favore di Roma Capitale.

In sentenza si è appurato che l’intervento eseguito dalla ricorrente nel 1998 non si è limitato al consolidamento e alla ristrutturazione del preesistente manufatto in legno, di 10,14 mq. , nel rispetto di volume e sagoma, già sanato con la concessione in sanatoria n. 133676 del 24 settembre 1998. Risulta invece accertato che la ricorrente ha realizzato un manufatto diverso, sia per la tipologia del materiale utilizzato (cemento precompresso anziché legno), e sia per le dimensioni della struttura (11 mq. per 2,5 mt. di altezza, mentre il preesistente manufatto aveva come detto una superficie di 10,14 mq. e un’altezza variabile da mt. 1,80 a mt. 2,50) rispetto alla baracca di legno esistente all’epoca della domanda di condono (1986).

La sentenza ha ritenuto che l’ingiunzione di demolizione si sia basata su un presupposto –la diversità dell’opera realizzata rispetto alla struttura preesistente, come accertato dalla Polizia municipale nel sopralluogo del 9 giugno 1998, con la conseguente configurabilità di una “nuova costruzione” non oggetto di sanatoria e soggetta a concessione edilizia, mancante- corretto.

Né –prosegue la sentenza- l’atto impugnato risulta viziato per carenza d’istruttoria.

3. La signora Messina ha proposto appello contro la sentenza.

Precisato in via preliminare di avere venduto, nel giugno del 1999, l’appartamento di Via Nicolò V, 10, nel cui giardino era stato realizzato, prima del 1983, il piccolo manufatto suindicato (in muratura e di circa 11 mq., così si afferma nell’atto d’appello); e di essere venuta a conoscenza del fatto che il nuovo proprietario ha presentato all’Ufficio Speciale Condono Edilizio, nel 2004, domanda di sanatoria ex d. l. n. 269/2003, conv. con mod. dalla l. n. 326/2003, per l’ampliamento del locale accessorio, realizzato nell’area di pertinenza della corte esclusiva, per una superficie complessiva di mq. 2,34 e una cubatura di mc. 5,50, in difformità alla concessione edilizia in sanatoria del 24 settembre 1998; l’appellante ha ribadito, in particolare, che il Comune avrebbe errato nel qualificare i lavori di ristrutturazione eseguiti come nuova costruzione o ampliamento, trattandosi del mero consolidamento di un manufatto già esistente, nel rispetto del volume e della sagoma preesistenti; e ha insistito sul già rilevato difetto d’istruttoria. L’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria nel 2004 da parte del nuovo proprietario confermerebbe il difetto d’istruttoria in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione. Inoltre, il riferimento alla demolizione di un preesistente manufatto in legno, già oggetto di domanda di condono, assentita, e alla successiva ricostruzione di un altro manufatto in muratura avente dimensioni e altezza diverse dal precedente, riguarderebbe trasformazioni successive effettuate, verosimilmente, dal nuovo proprietario.

Roma Capitale si è costituita per resistere.

4. Si può prescindere dall’esame delle plurime eccezioni d’inammissibilità dell’appello, “sia perché notificato a mezzo pec, sia per nullità della notifica, siaperché tardivo”, sollevate dalla difesa di Roma Capitale, atteso che in primo luogo l’appello potrebbe essere dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 101 cod. proc. amm. mancando, nel gravame, “le specifiche censure contro i capi dellasentenza” impugnata. Infatti, per giurisprudenza consolidata (Cons. Stato, Ad. plen. n. 10/2011; sez. III, n. 2598/2014; sez. IV, n. 2170/2013) l’appello al Consiglio di Stato non può limitarsi ad una generica riproposizione dei motivi di ricorso disattesi dal giudice di primo grado, ma deve contenere una critica ai capi di sentenza appellati; la mera riproposizione dei motivi è ammessa solo se il giudice di primo grado non li abbia esaminati o li abbia disattesi con argomenti palesemente inconferenti, nel qual caso, però, il ricorrente dovrebbe comunque contestare la mancanza o la non pertinenza della motivazione.

Nel caso qui in esame, l’appellante si è limitato a riproporre le doglianze svolte in primo grado rappresentando inoltre soltanto in appello (il ricorso di primo grado risale al 1999 ma la sentenza del Tar è del 2014) una circostanza del tutto nuova –vale a dire l’avvenuta presentazione della domanda di concessione in sanatoria “marginale”, o “residuale” del 2004 da parte del nuovo proprietario.

Ma anche a voler prescindere da quanto dianzi rilevato, la sentenza andrebbe –e va, difatti- confermata nel merito.

In primo luogo la sentenza impugnata è ineccepibile là dove evidenzia che, alla luce del sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale nel giugno del 1998, non vi è corrispondenza tra l’oggetto della concessione in sanatoria accordata il 24 settembre 1998 e la consistenza del manufatto così come “consolidato” –così afferma l’appellante: ma in realtà la struttura, come si è specificato sopra in dettaglio al p. 2. , risulta essere stata demolita e ricostruita con diverso materiale e più ampie dimensioni.

In modo corretto, dunque, è stato acclarato in sentenza (v. , ancora, sopra, p. 2.) che l’ingiunzione di demolizione impugnata in primo grado (risalente al 1998) riguardava lavori di nuova costruzione, o ampliamento, venendo in questione modifiche sostanziali del manufatto e, in definitiva, un organismo edilizio diverso dal preesistente, con conseguente mutamento delle precedenti linee fondamentali della sagoma e con la necessità “ab origine” di munirsi di concessione edilizia (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4011/2005).

Non può dunque parlarsi di demolizione e di fedele ricostruzione del manufatto, nel rispetto di volume e sagoma.

Inoltre l’affermazione dell’appellante secondo la quale la demolizione del precedente manufatto in legno, già oggetto di domanda di condono, e la successiva ricostruzione di altro manufatto in muratura, di dimensioni e altezza diversa dal precedente, sarebbero “verosimilmente” addebitabili al nuovo proprietario, il quale ebbe ad acquistare il nuovo appartamento nel giugno del 1999, risultano smentite dalle risultanze istruttorie del sopralluogo della Polizia municipale del giugno 1998. Il nuovo proprietario si è infatti limitato a domandare il condono con riferimento all’abuso, ritenuto “marginale”, o “residuale”, di circa 2 mq. e 5 mc. , rispetto a quanto condonato nel 1998 (in relazione, peraltro, come detto, alla struttura in legno esistente prima dell’accertamento della violazione e dell’emissione dell’ingiunzione di demolizione).

Né sussiste il dedotto difetto d’istruttoria per non avere l’Amministrazione, prima di adottare l’impugnata ingiunzione di demolizione, verificato la consistenza dell’abuso a suo tempo denunciato e condonato, atteso che la concessione in sanatoria assentita nel settembre del 1998 si riferiva alla struttura in legno esistente prima della demolizione e non certo alla nuova costruzione in muratura realizzata.

Del resto, per verificare la legittimità del provvedimento impugnato in primo grado occorre tenere conto della situazione esistente al momento dell’emanazione dell’atto lesivo, senza che assumano rilievo, al fine di valorizzare eventuali insufficienze istruttorie, iniziative successive del nuovo proprietario.

Rimane tuttavia salva, alla luce del’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria del 2004, la possibile di chiedere in via amministrativa una riesame dell’ingiunzione di demolizione.

5. Nella particolarità della vicenda trattata il collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c. , eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Spese del grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini – Presidente

Sergio De Felice – Consigliere

Roberto Giovagnoli – Consigliere

Claudio Contessa – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 16 luglio 2015.

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