Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 16 giugno 2016, n. 2653

Non appare condivisibile la lettura interpretativa secondo cui il campo di applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 380/2001 andrebbe ristretto ai casi di violazioni formali e non sostanziali nel rilascio del titolo edilizio (poi annullato in sede giurisdizonale) sulla base del quale sarebbe stato eseguito l’intervento. La disposizione normativa testè citata, relativa agli interventi edilizi eseguiti in base a titolo edilizio annullato, prevede infatti un duplice e alternativo presupposto per la sua applicazione (i.e, per la commutazione dell’ordine demolitorio nella sanzione pecuniaria): la ricorrenza di vizi formali oppure l’accertamento della non demolibilità dell’opera abusiva. Tale ultimo presupposto va naturalmente riferito ai casi di annullamento del titolo per vizi che inficiano soltanto una porzione del fabbricato realizzato in esecuzione del titolo annullato, in cui vi è una parte di opera realizzata legittimamente e altra non conforme. In tali casi, anche una violazione sostanziale può dar luogo, purché il provvedimento sia congruamente motivato, alla applicazione, in luogo della sanzione demolitoria reale, della sanzione pecuniaria (il cui pagamento produce effetti di sanatoria, secondo il disposto dello stesso art. 38)

 

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 16 giugno 2016, n. 2653

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 52 del 2014, proposto da:
Comune di (omissis), in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Al. Co., con domicilio eletto presso il medesimo difensore in Roma, Via (…);
contro
En. Ta., rappresentato e difeso dall’avv. Ri. Pa. Fo., con domicilio eletto presso La. Ge. in Roma, Via (…);
nei confronti di
Costruzioni di Lo. Srl, in persona edl legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Co. e Du. Vi., con domicilio eletto presso Cl. Pa. in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MOLISE – CAMPOBASSO: SEZIONE I n. 598/2013, resa tra le parti, concernente permesso di costruire in sanatoria e demolizione opere abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di En. Ta. e di Costruzioni di Lo. s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2016, il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Al. Co., l’avvocato En. Za., per delega dell’avvocato Ri. Pa. Fo., e l’avvocato Ma. Di. Ne., per delega dell’avvocato Vi. Co.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di (omissis) impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Molise 17 ottobre 2013 n. 598 che ha accolto il ricorso proposto dal signor Ta. avverso il provvedimento del Comune di (omissis) con il quale è stata rilasciato permesso di costruire in sanatoria in favore della società Costruzioni Di Lo. s.r.l. ed è stata applicata, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001, una sanzione pecuniaria sostitutiva della precedente sanzione demolitoria.
Il Comune lamenta l’erroneità della impugnata sentenza che non avrebbe tenuto conto che a base del provvedimento oggetto del gravame di primo grado erano state poste le conclusioni di una perizia tecnica svolta dalla stessa amministrazione comunale, la quale aveva accertato la non demolibilità del manufatto; e che, pertanto, il provvedimento applicativo della citata sanzione pecuniaria si era rivelato come l’unico rimedio per rendere conforme a diritto, sul piano della regolarità edilizia, il fabbricato in titolarità Di Lo..
Il Comune ha pertanto concluso per l’accoglimento dell’appello e per la reiezione del ricorso di primo grado, in riforma della impugnata sentenza.
Si è costituito in giudizio Ta. En. per resistere all’appello e chiederne la reiezione.
Si è altresì costituita la società Costruzioni Di Lo. s.r.l. per aderire alle conclusioni del Comune appellante e chiedere l’accoglimento dell’appello, in riforma integrale della sentenza.
Le parti hanno depositato memorie illustrative in vista dell’udienza di discussione.
All’udienza pubblica del 26 maggio 2016 i ricorsi sono stati trattenuti per la sentenza.
2.- L’appello è fondato e va accolto.
3.- Giova ricordare, in fatto, che il permesso di costruire del 18 ottobre 2004 era stato ottenuto dalla ditta Di Lo. per il completamento di un edificio unifamiliare sul lotto n. 3 del piano particolareggiato di (omissis).
Tale titolo edilizio, su ricorso del signor Ta., era stato annullato dal T.a.r. del Molise (con sentenza n. 394 del 2006, confermata da questo Consiglio di Stato) per violazione dei limiti di pianta e di sagoma imposti dalle NTA del p.p. “(omissis)” nonché per la totale assenza di comprovate esigenze tecniche che dimostrino la necessità di superare la natura vincolistica delle sagome.”
A seguito di tale sentenza, il Comune di (omissis) adottava dapprima l’ordine di demolizione n. 251 del 2008, ma poi revocava detta ordinanza demolitiva dopo che la ditta interessata aveva dimostrato, con perizia di parte, la non demolibilità parziale del fabbricato, senza danno per la parte costruita nel rispetto degli originari standard di pianta e sagoma e disponeva l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari ad euro 14.500. Dopo aver riscontrato l’avvenuto pagamento della sanzione, il Comune rilasciava, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001, il permesso di costruire in sanatoria 22 dicembre 2009 n. 31828.
Tale provvedimento in sanatoria rilasciato dal Comune di (omissis) veniva nuovamente impugnato dal Ta. dinanzi al Tar del Molise che, con sentenza n. 772 del 2011, annullava nuovamente il titolo edilizio.
Il giudice amministrativo di primo grado rilevava il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento, evidenziando sostanzialmente che il Comune si era acriticamente uniformato alle conclusioni del tecnico di parte, senza svolgere autonomi e doverosi accertamenti sul pregiudizio per la staticità della porzione di fabbricato costruita legittimamente derivante da una eventuale demolizione parziale.
In esecuzione di tale sentenza, il Comune di (omissis) ha svolto autonoma perizia per accertare la ricorrenza dei presupposti previsti dall’art. 38 cit.; dopodiché, avendo riscontrato autonomamente la non demolibilità senza pregiudizio per la restante parte dell’edificio di quanto abusivamente realizzato, ha adottato il provvedimento oggetto dell’impugnazione di primo grado.
Ancora una volta il T.a.r., con la sentenza qui impugnata, ha annullamento il provvedimento applicativo della sanzione sostitutiva, previsto dall’art. 38 cit., ritenendo sussistente una violazione del precedente giudicato.
3.- Il Comune di (omissis) ha contestato il presupposto stesso posto a base della impugnata decisione, sia sotto il profilo del dedotto vizio di violazione di giudicato, sia in relazione alla pretesa assenza di un nuovo accertamento svolto autonomamente dal Comune riguardo al predetto requisito fattuale necessario per accordare il provvedimento a sanatoria, con contestuale applicazione della sola sanzione pecuniaria.
4.- Osserva il Collegio come l’appello sia fondato sotto entrambi i profili dedotti.
Il provvedimento comunale impugnato in primo grado non può ritenersi inficiato dai vizi indicati nell’originario ricorso, posto che il Comune di (omissis) si è messo al riparo dal vizio procedimentale di difetto di istruttoria inizialmente rilevato rilevato dal T.a.r. nella sentenza n. 772 del 2011, disponendo esso stesso un accertamento tecnico funzionale ad accertare il presupposto applicativo dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001: e cioè la non demolibilità, senza pregiudizio per le porzioni realizzate legittimamente, delle parti di fabbricato realizzate in eccedenza ai limiti di sagoma e di superficie rispetto al progetto di piano originariamente assentito.
Una volta che le conclusioni di tale verifica tecnica (svolta dall’ing. Milano su incarico del Comune di (omissis)) hanno confermato il predetto presupposto della “non demolibilità”, già addotto dalla parte con autonoma perizia, il Comune ha adottato il contestato provvedimento di sanatoria.
Per conseguenza, proprio alla luce dello svolgersi dei fatti nei sensi suindicati, nessun profilo di violazione di giudicato è da ravvisare nella fattispecie procedimentale suddetta e nel provvedimento finale adottato dalla Amministrazione comunale dopo l’acquisizione delle risultanze della verifica tecnica confermativa del dato (già riscontrato dalla parte interessata) riguardo al pregiudizio riveniente dalla demolizione parziale.
Le considerazioni del giudice di primo grado sembrano non tener conto di tale nuova valutazione tecnica svolta dalla amministrazione e risultano per ciò solo non condivisibili, anche laddove prevedono una strada alternativa per la sanabilità dell’intervento a mezzo di una variante di recupero al piano particolareggiato: percorso procedimentale, questo, non necessario alla luce delle risultanze istruttorie – trascurate dal Tar – riguardo alla non demolibilità delle opere eseguite illegittimamente (tali risultanze, in definitiva, rappresentano giustificazione sufficiente per l’adozione del provvedimento comunale in primo grado avversato).
Né potrebbe farsi qui questione di altri profili di illiceità dell’intervento edilizio al di fuori di quelli espressamente richiamati dal T.a.r. con la sentenza n. 394 del 2006; posto che sugli altri motivi dell’originario ricorso del Ta. assorbiti dal giudice di primo grado nella citata sentenza e mai riproposti in appello non vi è mai stata una decisione giurisdizionale che abbia dettato prescrizioni conformative, di tal che non erroneamente il Comune di (omissis), nell’adottare il provvedimento ex art. 38 cit., si è concentrato sui soli profili di illegittimità dell’intervento edilizio che erano stati oggetto dell’accertamento giurisdizionale.
Da ultimo, non appare condivisibile la lettura interpretativa secondo cui il campo di applicazione dell’art. 38 cit. andrebbe ristretto ai casi di violazioni formali e non sostanziali nel rilascio del titolo edilizio (poi annullato in sede giursidizonale) sulla base del quale sarebbe stato eseguito l’intervento. La disposizione normativa testè citata, relativa agli interventi edilizi eseguiti in base a titolo edilizio annullato, prevede infatti un duplice e alternativo presupposto per la sua applicazione (i.e, per la commutazione dell’ordine demolitorio nella sanzione pecuniaria): la ricorrenza di vizi formali oppure l’accertamento della non demolibilità dell’opera abusiva.
Tale ultimo presupposto va naturalmente riferito ai casi di annullamento del titolo per vizi che inficiano soltanto una porzione del fabbricato realizzato in esecuzione del titolo annullato, in cui vi è una parte di opera realizzata legittimamente e altra non conforme. In tali casi, anche una violazione sostanziale può dar luogo, purché il provvedimento sia congruamente motivato, alla applicazione, in luogo della sanzione demolitoria reale, della sanzione pecuniaria (il cui pagamento produce effetti di sanatoria, secondo il disposto dello stesso art. 38).
Tale è il caso qui in esame, in cui a base dell’annullamento giurisdizionale dell’originario titolo edilizio sono state poste questioni afferenti alla violazione dei limiti di pianta e di sagoma del nuovo edificio in rapporto a quello originariamente assentito dalla amministrazione comunale sul lotto n. 3 del piano di lottizzazione (ove è stata realizzata la costruzione unifamiliare in testa alla ditta Di Lo.). A base del provvedimento impugnato in primo grado vi è dunque stata una valutazione discrezionale della amministrazione, incensurabile sotto i dedotti motivi, riguardo alla commutabilità della originaria sanzione reale demolitoria, originariamente applicata, con quella pecuniaria, a fronte della parziale difformità dell’intervento realizzato rispetto a quello assentibile e della difficoltà pratica – comprovata da accertamenti tecnici non inficiati da vizi logici – di far luogo alla riduzione della costruzione nei limiti di pianta e di sagoma inizialmente approvati senza la sua integrale demolizione.
5.- In definitiva, appare incensurabile, sotto i dedotti motivi, la determinazione amministrativa compendiata nel provvedimento comunale applicativo della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitiva.
L’appello va pertanto accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va respinto il ricorso di primo grado.
6.- Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati affrontati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
7.- Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 52/14), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere, Estensore
Dante D’Alessio – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Depositata in Segreteria il 16 giugno 2016.

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