Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 15 maggio 2015, n. 2478
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4755 del 2014, proposto da:
Ministero per i beni e le attività culturali, la soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Napoli e Provincia, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato , presso i cui uffici domiciliano in Roma, Via (…);
contro
Ma. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avvocato Fe.La. e Fe.Sc., con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, Via (…);
nei confronti di
Comune di Napoli, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ga.Ro. e Fa.Fe., con domicilio eletto presso l’avvocato Ni.La. in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE IV n. 5420/2013, resa tra le parti, concernente diniego rilascio autorizzazione paesaggistica;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Magia Srl e del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 aprile 2015 il Cons. Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Sa. ed altri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Il Ministero dei Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza per i Beni Architettonici paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia impugnano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione di Napoli, n.5420 del 27 novembre 2013, con la quale è stato accolto il ricorso proposto dalla società Ma. s.r.l. per l’annullamento della nota prot. n. 3646 dell’ 8 maggio 2012 trasmessa il successivo 14 maggio 2012, con la quale la Soprintendenza per i Beni Architettonici, per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Napoli ha espresso “parere contrario al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica” in ordine alla pratica di condono edilizio n. 1604/04/86 e della conseguente nota prot. PG/2012/416228 del 21 maggio 2012 con la quale il Comune ha respinto l’istanza di condono.
Con un unico motivo di ricorso le Amministrazioni appellanti censurano la sentenza di primo grado che ha ritenuto che la negativa valutazione paesaggistica della Soprintendenza fosse contraddittoria in quanto fondata soltanto sul rilievo afferente lo stato di fatiscenza dell’immobile.
Le odierne amministrazioni appellanti assumono in particolare l’erroneità dei presupposti di fatto e di diritto su cui si è basata la impugnata sentenza, posto che l’analisi della Soprintendenza si è sostanziata in un esame di mera legittimità dell’operato svolto dall’autorità comunale ( inizialmente favorevole al rilascio del titolo a sanatoria, sia pur con puntuali prescrizioni tecniche conformative). Nella prospettazione delle appellanti, da un lato l’Autorità preposta alla tutela dei vincoli gravanti suoi luoghi ( ed in particolare del vincolo derivante dall’art. 142 del d.lgs 22 gennaio 2004 n. 42, in quanto “territori costieri” e quello diretto impresso sull’intera collina di Posillipo dal d.m.24 gennaio 1953, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della collina di Posillipo ) avrebbe compiutamente esaminato le emergenze dell’istruttoria ( nel cui ambito è stata rilevata – ai sensi dell’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004 -la sostanziale incompatibilità degli interventi abusivi sui manufatti con le esigenze di tutela paesaggistica) dall’altro l’Autorità comunale si sarebbe conformata ( non potendo fare diversamente) al vincolante parere reso dalla competente Soprintendenza.
Concludono, pertanto, le appellanti per l’accoglimento dell’appello e per il rigetto, in riforma della impugnata sentenza, del ricorso di primo grado.
Si è costituita in giudizio la società Ma. s.r.l. per resistere all’appello e chiederne la reiezione con la conseguente conferma della pronuncia di primo grado.
All’udienza pubblica del 14 aprile 2015 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.- Ritiene il Collegio che l’appello meriti accoglimento in quanto fondato.
3.- Il giudice di primo grado, infatti, ha accolto il ricorso sull’assunto che la valutazione paesaggistica negativa della Soprintendenza si basasse solo sullo stato di fatiscenza degli immobili oggetto di condono e sul carattere intrinsecamente contraddittorio e comunque non sufficiente di tale valutazione per addivenire alla caducazione degli atti in primo grado gravati.
4.- Con il primo e unico motivo d’appello, le Amministrazioni contestano la decisione del Tar in quanto fondata su un macroscopico travisamento dei fatti di causa e su un’erronea applicazione degli artt. 142, 146 comma 4, 159, comma 5, 167 commi 4 e 5 del d..lgs. 42 del 2004 (recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Il motivo deve essere accolto.
Va premesso che la tutela del paesaggio è un principio fondamentale dell’ordinamento, garantito dall’art 9 della Costituzione, e ha carattere di preminenza rispetto agli altri beni giuridici che vengono in rilievo nella difesa del territorio, per tali ragioni gli strumenti urbanistici, come peraltro le autorità preposte alla loro salvaguardia, devono necessariamente tener conto delle preminenti esigenze sottese alla difesa paesaggistica.
Premesso che l’area dove risultano allocati gli immobili oggetto delle domande di condono edilizio è gravata – come ricordato- da più vincoli di tutela e si presenta come di grande pregio paesaggistico, va osservato come la Soprintendenza, nell’esprimere parere negativo sulla domanda di condono, non si sia limitata ad effettuare una mera, apodittica affermazione di incompatibilità sotto il profilo paesaggistico dei manufatti de quibus, potendosi rinvenire nella valutazione negativa molteplici ragioni logico-giuridiche che danno sufficiente contezza non solo del disvalore paesaggistico dei manufatti in questione, ma anche delle ulteriori ragioni giustificative del diniego espresso.
Nella propria valutazione negativa, la Soprintendenza non si è limitata solo a constatare lo stato di fatiscenza e di degrado attuale degli immobili oggetto della domanda di condono, ma ha richiamato espressamente la relazione tecnica illustrativa del responsabile del procedimento sugli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizione contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e delle norme tecniche di attuazione del PTP di Posillipo (zona PI).
Da detta relazione tecnica, nonché dalla documentazione fotografica esaminata ( e versata in atti), la Soprintendenza ha potuto constatare ( ciò che si ricava ictu oculi dall’esame della predetta documentazione) la mancata ultimazione dei fabbricati sottoposti a domanda di condono, considerato che detti “organismi pressoché sprovvisti di muri perimetrali, privi di coperture e/o dotati di coperture provvisorie, al punto che, denegato il progetto di completamento allegato alla richiesta, il coordinatore del dipartimento Ambiente del Comune di Napoli si è trovato, irritualmente, nella necessità di dover prescrivere il tipo, la qualità e le modalità del completamento delle opere”.
Difetterebbe pertanto, come correttamente rilevato dalla Soprintendenza di Napoli, lo stesso presupposto giuridico ( ultimazione delle opere al 1° ottobre 1983) perché possa trovare applicazione la disciplina del condono edilizio ai sensi della legge n. 47 del 1985.
Né può essere condiviso l’assunto del Giudice di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che il parere della Soprintendenza poteva concernere solo le parti oggetto della domanda di condono, e non invece i fabbricati oggetto della domanda di sanatoria nella loro interezza.
Infatti, è dallo stesso parere della commissione edilizia comunale del 18 gennaio 2012 che si evince come le modifiche oggetto della domanda di condono non fossero esclusivamente interne ( e cioè limitate all’incremento delle superfici per via della realizzazione di nuovi solai marcapiano) come desunto dal giudice di primo grado, ma riguardavano anche i profili esterni dei fabbricati ( ed in particolare il completamento di alcune falde di copertura, percepibili dall’esterno e quindi incidenti su profili paesaggistici).
In sostanza, come correttamente ritenuto dall’Autorità preposta alla tutela paesaggistica nel negativo parere reso, si tratta, da un lato, di immobili non funzionalmente ultimati, sprovvisti di murature perimetrali e che, in concreto, nella loro configurazione attuale, integrano “una situazione di incompatibilità con il vincolo paesaggistico, ciò anche in considerazione delle disposizioni contenute nelle norme tecniche di attuazione del PTP di Posillipo, in particolare della zona P.I., al cui interno ricade il complesso”.
Si tratta di motivazione pienamente aderente alla realtà dei fatti, che risulta corretta manifestazione dei poteri tecnico discrezionali affidati alla Autorità soprintendentizia, nella parte in cui ha ravvisato la incompatibilità delle opere da condonare con il paesaggio in cui le stesse risultano inserite, e cioè con quella particolare forma del territorio percepibile nei suoi tratti identitari tradizionali.
In definitiva, detta motivazione, frutto di un giudizio immune da vizi logici o di manifesta irragionevolezza da parte degli organi a ciò deputati, è sufficiente a garantire la legittimità del diniego, contenendo la stessa valutazioni connotate da elementi tecnico-discrezionali plausibili e pertanto non sindacabili in questa sede giurisdizionale; in cui, a tutto concedere, ad evitare inammissibili sovrapposizioni del giudicante in ambiti che la legge ha voluto riservare alle amministrazioni titolari del potere, rileverebbe ( ipotesi qui non sussistente) un’eventuale illogicità manifesta, una palese incongruità o inadeguatezza del provvedimento in rapporto alle sue finalità di protezione del territorio vincolato, (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 25 febbraio 2013, n.1129 e Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2014, n. 3178).
Da ultimo, in direzione non diversa conduce l’altro argomento sviluppato in primo grado dalla difesa della originaria ricorrente e fatto proprio dal giudice di prime cure nella impugnata sentenza, secondo cui la fatiscenza attuale dei fabbricati non potrebbe costituire ostacolo al loro recupero, ma anzi dovrebbe propiziare la immediata approvazione del progetto di recupero al fine di restituire al paesaggio i suoi tratti identitari originari.
Pur nella sua suggestività l’argomento non convince posto che , discutendosi di opere abusivamente realizzate, l’esame è stato correttamente condotto a verificarne la compatibilità attuale con i valori paesaggistici espressi dai luoghi; nulla esclude tuttavia ( ed anzi questa dovrebbe essere una strada obbligata, tenuto conto del pregio paesaggistico dei luoghi) che, riportata al pristino stato l’originaria consistenza dei fabbricati ( e cioè, una volta che gli stessi saranno emendati delle parti abusive), la originaria ricorrente possa ( per non dire, sia tenuta) a presentare un progetto di recupero degli immobili nel rispetto delle loro originarie caratteristiche architettoniche. In tale ambito procedimentale, risulterebbero peraltro plausibili i suggerimenti e le indicazioni conformative sulle tipologie dei materiali da utilizzare, sulle scelte cromatiche e sull’adozione di ogni altro accorgimento tecnico capace di garantire il pieno inserimento dei fabbricati da ristrutturare nel contesto paesaggistico esistente ( indicazioni che al contrario, in questa sede di verifica della legittimità del procedimento di condono, appaiono contraddire il presupposto giuridico della ultimazione delle opere ad una data antecedente l’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, recante una disciplina “speciale” di sanatoria edilizia).
5.- In definitiva, alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va accolto e, in riforma della gravata sentenza, va respinto il ricorso di primo grado.
6.- Le spese di giudizio del doppio grado seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore della Amministrazione appellante mentre possono essere compensate nei confronti del Comune di Napoli ( che non era contrario al rilascio del titolo in sanatoria e che poi si è dovuto uniformare, con l’atto in primo grado impugnato, al parere negativo della Soprintendenza) .
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 4755/14), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso originario, così ripristinando la piena efficacia degli atti gravati in primo grado.
Condanna la società appellata al pagamento, in favore del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i Beni Architettonici paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia, delle spese e delle competenze del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori come per legge.
Dichiara compensate le spese di lite del doppio grado di giudizio nei confronti del Comune di Napoli.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini – Presidente
Sergio De Felice – Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti – Consigliere
Carlo Mosca – Consigliere
Depositata in Segreteria il 15 maggio 2015.
Leave a Reply