Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 15 dicembre 2014, n. 6149
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1862 del 2014, proposto da:
Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Turismo, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, Via (…);
contro
Ni.Lu., rappresentato e difeso dagli avv. An.Ba., Ar.Ca., con domicilio eletto presso Antonio Bargone in Roma, Via (…) ed altri (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II BIS n. 06704/2013, resa tra le parti, concernente parere negativo per la realizzazione di un parcheggio interrato per incompatibilità archeologica – ripristino dello stato dei luoghi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Nicolò Boncompagni Ludovisi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2014 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Pi. ed altri (…);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’ing. Ni.Lu. , attuale appellato, quale comproprietario e usufruttuario dell’immobile denominato “Casino dell’Aurora”, situato in Roma, Via Lombardia nn. 42-44-46, e dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi della L. n. 1089/1939 con decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali del 4 aprile 1987, agiva per l’annullamento di una serie di atti negativi emessi dalla Soprintendenza dei beni paesaggistici e architettonici di Roma in relazione ad un progetto presentato, avente ad oggetto un parcheggio interrato.
Il ricorrente originario, attuale appellato, faceva presente, nel ricorso, le seguenti circostanze: a) che intendeva realizzare un parcheggio interrato al di sotto di una porzione del parco situata sul lato opposto rispetto all’edificio, allo scopo di assicurarsi il reddito necessario a far fronte ai costi del progetto di restauro e consolidamento dell’edificio predisposto dalla competente Soprintendenza e volto a rimediare, tra l’altro, anche all’aggravamento delle deformazioni del muro perimetrale (c.d. spanciamento del muro) che delimita il compendio immobiliare in questione, posto a una quota elevata di circa 10 metri rispetto al livello stradale; b) che, a seguito di una pluriennale interlocuzione con le competenti Soprintendenze, e all’instaurazione di un contenzioso con la Soprintendenza Archeologica, aveva ottenuto l’assenso di quest’ultima all’effettuazione dei sondaggi archeologici, i quali avevano messo in evidenza solamente elementi frammentari e di scarsa estensione; c) che nel frattempo la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, alla quale in data 21 settembre 2011 egli aveva formalmente richiesto ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 42/2004 l’autorizzazione alla realizzazione del parcheggio interrato, dapprima aveva sospeso i lavori di scavo archeologico per la ritenuta mancanza dell’autorizzazione di propria competenza (con la nota prot. n. 0013392 /cl. 34.19.07/554.6 del 3 agosto 2011) e successivamente aveva comunicato il “preavviso di rigetto” relativamente al progetto in questione (con la nota prot. n. 18393 del 3 novembre 2011); infine si era pronunciata negativamente sul progetto ritenendolo incompatibile con i criteri di tutela monumentale (con la nota prot. n. 0001996/cl. 34.19.12/875 del 14 febbraio 2012), e ordinando conseguentemente il ripristino dello stato dei luoghi alterato in seguito agli scavi archeologici (con la nota prot. n. 0002009/cl. 34.19.12/875 del 14 febbraio 2012).
Con motivi aggiunti veniva altresì impugnato l’atto con cui, da ultimo (relazione prot. n. 0008223 /cl. 34.19.07/554.8 del 22/05/2012), la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma aveva sostanzialmente integrato la motivazione del precedente diniego.
Il giudice di primo grado respingeva la censura di incompetenza della Soprintendenza a pronunciarsi su interventi che incidono sul sottosuolo (avendo la Soprintendenza ai Beni Archeologici già autorizzato lo svolgimento delle relative indagini), in quanto il vincolo è stato apposto su tutte le particelle su cui insistono la villa e l’annesso giardino e non può disconoscersi la competenza sulla valutazione complessiva dello stato dei luoghi in relazione agli interessi tutelati alla stregua della normativa vigente.
Il giudice di primo grado al contrario accoglieva il motivo di censura di difetto di istruttoria e motivazione (contraddittoria), ritenendo che il percorso motivazionale posto a base del diniego non si sarebbe fatto carico di valutare la possibilità di assicurare la salvaguardia delle primarie esigenze di tutela mediante l’adozione di un provvedimento di assenso condizionato a prescrizioni rigorose e nel contempo rispettose del principio di proporzionalità, oltre che delle finalità istituzionali; in particolare, veniva rilevata la contraddittorietà tra il riconoscimento da un lato della necessità dell’opera di consolidamento della struttura per la sicurezza dei luoghi e dall’altro dalla mancanza di istruttoria sulla distanza tra il parcheggio interrato e il piano di campagna e sulla possibilità che la tutela del bene venga assicurata con la prescrizione di modalità, pur rigorose, tali da rendere ragionevolmente compatibili tutte le esigenze (anche di carattere temporale e finanziario), rilevanti nella specie, al di là di una motivazione puramente apodittica, ferme restando le eventuali valutazioni ulteriori di competenza da parte dell’amministrazione in sede di riesame del progetto.
Avverso tale sentenza propone appello il Ministero dei beni culturali, che, nel ricostruire la vicenda processuale (da pagina 1 a pagina 3 dell’appello), ripete il contenuto del provvedimento, come riportato dalla sentenza di primo grado (da pagina 3 a pagina 5 in corsivo della sentenza); da pagina 5 a pagina 6, riporta i passaggi con i quali il primo giudice ha respinto la censura di incompetenza e accolto la censura di difetto di istruttoria e di adeguata motivazione; da pagina 7 in poi, l’appellante Ministero riporta (in corsivo) le ragioni del diniego esposte nel preavviso di diniego; da pagina 8 a pagina 10 viene riportato il diniego del 14 febbraio 2012; da pagina 10 a pagina 12 vengono riportate le ragioni dell’atto con cui, in data 22 maggio 2012, la Soprintendenza ha integrato in via postuma le ragioni del diniego.
Dall’excursus degli atti riportati, l’appellante Ministero argomenta sulla erroneità della sentenza, nel punto in cui ha invece concluso per il difetto di adeguata istruttoria e motivazione, da ritenersi invece pienamente integrati sussistenti.
Si è costituito l’appellato chiedendo in via preliminare dichiararsi la inammissibilità dell’appello per assenza di specifiche censure contro i capi della sentenza gravata e in ogni caso chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
Con ordinanza in sede cautelare emessa in data 16 aprile 2014 la sezione ha sospeso la esecutività della sentenza e fissato la udienza di discussione alla data dell’11 novembre 2014.
E’ intervenuto ad adiuvandum, con ricorso ritualmente notificato in data 15 ottobre 2014, depositato in data 16 ottobre 2014, il Codacons, chiedendo l’accoglimento dell’appello.
In relazione all’intervento in appello, l’appellato Ludovisi ha eccepito la tardività, in quanto lo stesso è stato notificato in data 15 ottobre 2014 e depositato in data 16 ottobre 2014, mentre il codice di rito all’art. 50 comma 3, con norma inderogabile, prevede che l’intervento debba avvenire almeno trenta giorni prima della udienza di discussione del ricorso, fissata per l’11 novembre 2014.
Con memoria conclusiva l’appellato ha ribadito i rilievi di inammissibilità dell’appello per mancanza di specifiche censure; in subordine ha chiesto rigettarsi l’appello perché infondato.
Alla udienza pubblica dell’11 novembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’intervento di terzo è tardivo.
L’art. 50 comma 3 c.p.a., nel disciplinare l’intervento volontario in causa, dispone che il deposito dell’atto di intervento di cui all’art. 28 comma 1, cioè di colui che non sia parte e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, è ammesso fino a trenta giorni prima dell’udienza; l’art. 28 secondo comma prevede che chi vi ha interesse possa intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova.
Nonostante la apparente contraddizione delle due disposizioni – l’interveniente sostiene di poter intervenire, accettare il giudizio nello stato in cui si trova fino in sostanza alla data di udienza e di poter chiedere o meno termini a difesa, al quale dichiara di rinunciare – al Collegio pare chiaro che quanto dispone il richiamato articolo 50 comma 3 e cioè che il deposito dell’atto di intervento di cui all’art. 28 comma 1, cioè di colui che non sia parte e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, è ammesso fino a trenta giorni prima dell’udienza, fa concludere che è inammissibile l’atto d’intervento che sia stato (in ogni caso) depositato oltre il termine di trenta giorni prima della udienza di discussione (Consiglio di Stato sez. V :28 novembre 2012 n. 6010).
Nel processo amministrativo la nuova disciplina introdotta dall’art. 50, c. proc. amm. prevede, sul piano strettamente procedurale, che l’atto di intervento è proposto al giudice davanti al quale pende la controversia principale; deve contenere le generalità dell’interventore, le ragioni su cui si fonda, la sottoscrizione della parte, il patrocinio del difensore e la relativa procura ex artt. 22 comma 2, e 24,c. proc. amm.; è notificato a tutte le altre parti, costituite e non, nel giudizio principale.
Il suo deposito è sottoposto ad un duplice e inderogabile limite temporale: a pena di decadenza deve essere depositato nella segreteria del giudice adito entro trenta giorni dalla notificazione e, comunque, non oltre trenta giorni prima dell’udienza fissata per la discussione del ricorso; di conseguenza la tardività del deposito non sarebbe neanche sanabile ex post, per acquiescenza delle controparti, in quanto i termini perentori sono espressivi di un precetto di ordine pubblico processuale essendo posti a presidio del contraddittorio e dell’ordinato lavoro del giudice (Consiglio di Stato sez. IV 6 maggio 2013 Numero: 2446).
Ne discende l’inammissibilità dell’intervento del Codacons per tardività.
2. Con riguardo alle eccezioni di inammissibilità dell’appello per mancanza di specifiche censure, si osserva quanto segue.
L’articolo 101 del codice prevede che l’appello debba, tra l’altro, contenere le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata.
E’ quindi in linea di principio inammissibile l’appello carente di ritualità nella sua stesura e privo della indicazione di specifiche censure avverso i capi di sentenza gravati (Cons. Stato, III, 24 maggio 2013, n.2835); l’appello, pur se gravame a critica libera, deve comunque contenere censure specifiche circa la sentenza impugnata (Cons. Stato, VI, 18 aprile 2013, n.2128); i motivi di appello ben possono contenere, in modo più o meno esplicito, argomentazioni contrarie a quelle espresse nella sentenza appellata (così, Cons. Stato, VI, 20 novembre 2013, n.5497).
Nella specie, il Collegio ritiene che, dal tenore dell’appello, che riporta da un lato le diverse ragioni del diniego (nei diversi ambiti e con riguardo alla compromissione dei vari beni oggetto di vincoli, a seguito della proposta trasformazione), e dall’altro lato sostiene, sia pure in sintesi, la sussistenza della adeguata istruttoria e completezza della motivazione, è chiaramente evincibile la prospettazione dell’unico motivo di appello, quale critica alla sentenza di accoglimento di primo grado; d’altronde, come evidente, tutta la presente controversia si appunta sulla sufficienza o meno della motivazione (e della istruttoria a monte), ritenuta insussistente dal primo giudice.
3. Nel merito, è fondato l’appello proposto dall’amministrazione.
E’ vero che nell’ambito del procedimento di autorizzazione paesaggistica il parere vincolante della Soprintendenza deve essere puntualmente e congruamente motivato e, in caso esso sia negativo, deve esplicitare le effettive ragioni di contrasto tra l’intervento progettato ed i valori paesaggistici dei luoghi compendiati nel decreto di vincolo.
Il parere deve inoltre indicare quale tipo di accorgimento tecnico o, al limite, di modifica progettuale potrebbe fare conseguire all’interessato l’autorizzazione paesaggistica, in quanto la tutela del preminente valore del paesaggio non deve necessariamente coincidere con la sua statica salvaguardia, ma richiede interventi improntati a fattiva collaborazione delle autorità preposte alla tutela paesaggistica, funzionali a conformare le iniziative edilizie al rispetto dei valori estetici e naturalistici insiti nel bene paesaggio (così, tra varie, Cons. Stato, VI, 24 marzo 2014, n.1418).
Nella ipotesi in cui la sicurezza dei luoghi renda inevitabile, per la stessa Sovrintendenza, interventi costosi di contenimento, ai quali normalmente non può un comune proprietario farsi carico, tale attività collaborativa è maggiormente doverosa, al fine di perseguire l’obiettivo di un progetto che, nel rispetto dei valori estetici e storici, consenta al proprietario di intervenire realizzando un progetto che consenta la utilizzazione migliore e più fruttuosa del bene vincolato.
Se quindi è evidente che in ogni vicenda analoga, i rapporti tra il privato la cui titolarità sia limitata dal vincolo e la Soprintendenza, che valuta l’interesse pubblico e della collettività alla tutela e fruizione del bene vincolato, debbano essere ispirati a canoni di comportamento di correttezza e lealtà procedimentale, tali obblighi sono ispessiti quando la situazione di ammaloramento del bene richieda interventi, come nella specie, di grande rilevanza economica, ai quali la parte privata, normalmente, non possa fare fronte senza ricorrere a progetti che consentano una valorizzazione economica del bene stesso.
Se quindi può pensarsi ad uno speciale dovere di motivazione (su tale dovere speciale, da ultimo, Cons. Stato, VI, 24 marzo 2014, n.1418), attesa la particolarità della fattispecie, va valutato se in concreto tale obbligo sia stato rispettato.
Le ragioni del diniego, evincibili in sostanza dall’atto del 14 febbraio 2012 e dalla relazione del 22 maggio 2012 erano, evitando di riportare i passaggi di ricostruzione storico-descrittiva del bene vincolato, i seguenti: a) la realizzazione del parcheggio “manometterebbe l’area di sedime del giardino vincolato contiguo al fabbricato”; giardino che “qualora fosse interessato dalle operazioni di scavo, sarebbe irrimediabilmente compromesso venendo alterate anche le caratteristiche idrologiche e fisico-chimiche dello strato di terreno posto sotto il substrato, comunque connesso alle piante”; b) la futura effettuazione di ulteriori scavi archeologici, “comporterebbe gravi alterazioni non compatibili con la conservazione delle valenze paesaggistiche del bene sottoposto a vincolo”; c) la realizzazione del parcheggio necessiterebbe di “opere di così evidente impatto sul sistema strutturale, a stretto contatto con le opere di fondazione del Casino che potrebbe, durante l’esecuzione di perforazioni e scavi, per quanto eseguiti con tecnologie avanzate, compromettere l’equilibrio dell’edificio e di tutti i suoi aspetti decorativi”; d) “l’indispensabile progetto di consolidamento del Casino, per quanto ne garantisca la conservazione, ne snaturerebbe completamente i contenuti incidendo sulle tecniche e materiali originari e quindi non compatibile con la tutela dell’immobile sottoposto a vincolo monumentale”; e) la “destinazione a parcheggio, con le sue relative conseguenze di uso, andrebbe a configurarsi come elemento avulso rispetto alle valenze naturalistiche proprie del sito con modificazioni nella natura e sedimentazione del sottosuolo creando una cesura nella continuità della stratificazione dei luoghi con conseguente modifica della consistenza del soprassuolo non più insistente sulla superficie naturale ma irreversibilmente separato dal substrato che ne ha generato e caratterizzato per secoli la configurazione”; essa “snaturerebbe l’equilibrato rapporto tra la residenza con giardino e l’area attualmente destinata a pertinenza-servizio (garage): si determinerebbe infatti un rovesciamento di tale rapporto, trasformando il bene preminentemente in un’area di parcheggio con annessa residenza”; f) sarebbe “non compatibile con i criteri della tutela monumentale la modifica proposta nel prospetto delle mura ottocentesche della villa, sulla via Ludovisi, là dove sarebbe previsto l’accesso al parcheggio; la stessa valutazione valga per l’inserimento delle griglie di areazione, in quanto esse altererebbero l’armonia di un unicum storico e architettonico esistente da più di due secoli e sottoposto integralmente a vincolo”; g) il progetto proposto “non sembra poter risolvere i problemi statici che interessano il Casino dell’Aurora, poiché la palificata perimetrale proposta potrebbe solo isolare l’area di sedime della Villa dal grande scavo del sottosuolo, senza arrecare adeguati benefici alla consistenza del terreno e dunque senza assicurare l’opera di consolidamento della struttura, ritenuta necessaria dalla Scrivente”.
In sintesi, il diniego motiva sulla base delle seguenti e numerose ragioni che si contrappongono, per esigenze di tutela, alla trasformazione proposta del bene vincolato: a) compromissione idrogeologica e fisico-chimica che deriverebbe al terreno sottostante le piante a seguito degli scavi; b) compromissione del bene vincolato che deriverebbe da futuri scavi archeologici; c) impatto del parcheggio sul sistema strutturale a stretto contatto con le opere di fondazione del Casino dell’Aurora, con possibile compromissione della parte decorativa a seguito di scavi e perforazioni; d) il proposto progetto (che naturalmente contiene insito il necessario, d’altro canto, consolidamento) snaturerebbe, per tecniche e materiali, la natura originaria e sarebbe incompatibile con il vincolo monumentale; e) la destinazione a parcheggio e il suo uso sarebbero avulsi dal contesto, snaturerebbero il sottosuolo, modificando la configurazione che esiste da secoli (il rapporto tra soprassuolo e substrato); f) verrebbe snaturato l’equilibrio tra residenza a giardino e area già ora destinata a pertinenza-garage, trasformandola quest’ultima in area preminente; g) incompatibilità della trasformazione delle mura ottocentesche sulla via Ludovisi, laddove si prevederebbe l’accesso al parcheggio; h) incompatibilità delle griglie di areazione (che, tuttavia, sostiene la parte appellata, potrebbero scomparire)alterando l’unicum storico ed architettonico esistente da più di due secoli; i) non risoluzione dei problemi statica che interessano il Casino dell’Aurora.
Pertanto, in disparte la loro limitata sindacabilità, se, nell’ambito dell’esaminato procedimento, il parere negativo deve essere puntualmente motivato (in tal senso, da ultimo, tra varie, Cons. Stato, VI, 24 marzo 2014, n.1418) esplicitando le effettive ragioni di contrasto tra l’intervento progettato ed i valori paesaggistici dei luoghi vincolati, non può ritenersi che, nella specie, tale puntuale motivazione faccia difetto.
In più, rispetto alla asserita contraddittorietà che il primo giudice aveva ravvisato tra il diniego e la riconosciuta (da tutte le parti) esigenza di consolidamento statico dell’edificio, va rilevato come invece il diniego abbia espresso puntuali considerazioni sull’opera di consolidamento (necessaria), che tuttavia il progetto proposto non risolverebbe nel modo adeguato (si veda l’ultimo punto, sub f) sopra richiamato).
4. E’ naturale che sono fatte salve le successive e possibili attività nelle quali, naturalmente, deve ritenersi che il rapporto tra l’amministrazione statale quale struttura appositamente dedicata alla tutela (a norma dell’art. 9 Cost.) e la proprietà (tutelata dalla Costituzione e da norme sovranazionali) debba essere modellato da principi di correttezza e leale collaborazione, tenendo conto, tra le varie esigenze pubbliche e private da contemperare, anche dello stato critico del bene e delle esigenze finanziarie indispensabili per il consolidamento.
5. Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, va respinto il ricorso originario.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del doppio grado, in relazione alla particolarità della controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Sesta – definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede: dichiara tardivo l’intervento del terzo; accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza, respinge il ricorso originario. Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Maurizio Meschino – Consigliere
Sergio De Felice – Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere
Depositata in Segreteria il 15 dicembre 2014.
Leave a Reply