Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 15 dicembre 2014, n. 6148

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8982 del 2013, proposto da Pi.Bo., Lo.Ma., rappresentati e difesi dall’avvocato Da.Mo., con domicilio eletto presso Pl. in Roma, Via (…);

contro

Comune di Seregno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati To.Gi., Gi.El., con domicilio eletto presso Gi.El. in Roma, Via (…) ed altri (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE II n. 1841/2013, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Seregno e della s.r.l. Im.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2014 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Da.Mo. e Gr.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. I signori Bo.Pi. e Ma.Lo. (in seguito “ricorrenti”), con il ricorso n. 286 del 2007 proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza del Comune di Seregno, n. 363 del 18 ottobre 2006, con cui è stato ingiunto ai ricorrenti il ripristino dello stato dei luoghi, in riferimento ad una recinzione posta a confine della loro proprietà che, a detta del Comune, sarebbe stata realizzata non lungo l’esatto confine ma con uno spostamento di circa tre metri, occupando così la vicina strada statale pubblica.

2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, con la sentenza n. 1841 del 2013, ha respinto il ricorso; ha condannato i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio liquidate in euro 1.500,00, oltre gli accessori di legge, a favore del Comune di Seregno, e in euro 1.500,00, oltre gli accessori di legge, a favore della controinteressata s.r.l. Società Im..

3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.

La domanda cautelare è stata accolta con l’ordinanza n. 230 del 2014.

4. All’udienza dell’11 novembre 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Nella sentenza di primo grado sono respinti:

– il primo motivo di ricorso, recante l’illegittimità dell’ordinanza impugnata poiché non notificata al precedente proprietario, dante causa dei ricorrenti e probabile autore dell’abuso, venendo richiamata nella sentenza la consolidata giurisprudenza per cui i provvedimenti di demolizione possono essere adottati legittimamente nei confronti del proprietario attuale del bene, trattandosi di sanzioni a carattere “reale”, ferma ogni azione di rivalsa del proprietario nei confronti dell’accertato responsabile dell’abuso;

– la prima parte del secondo motivo, secondo cui i ricorrenti non avrebbero eseguito alcuna recinzione poiché esistente in loco da tempo immemorabile, essendo ciò irrilevante a fronte dell’accertata abusività dell’opera e della sua collocazione fuori la proprietà dei ricorrenti su una porzione di via pubblica, considerato che, secondo la giurisprudenza, il potere di vigilanza e repressione in materia edilizia non è soggetto a termini di decadenza, data la prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità, non richiedendo di conseguenza l’ordine di demolizione una specifica motivazione né formandosi affidamento tutelabile in capo al privato;

– la seconda parte del motivo, per cui il procedimento di accertamento e repressione dell’abuso sarebbe viziato per difetto di istruttoria e mancanza del contraddittorio, risultando, al contrario, eseguita una compiuta istruttoria, attraverso due perizie del tecnico comunale svolte non soltanto sulle mappe catastali ma anche con appropriati strumenti tecnici, non specificamente contestate dai ricorrenti, ai quali era stato comunicato l’avvio del procedimento non seguito da loro controdeduzioni;

– il terzo motivo di ricorso, recante sviamento di potere per avere agito l’Amministrazione nell’interesse della controinteressata, la s.r.l. Im. (che aveva presentato esposti e diffide), dovendosi al contrario considerare che il Comune è intervenuto con atto vincolato a fronte di un abuso accertato invasivo della sede stradale pubblica.

2. Nell’appello, richiamate sulla base dei fatti di causa la carenza di potere del Comune nell’ordinare la rimessa in pristino, essendo stata realizzata la strada de qua in conformità al PRG, e la mancata contestazione ai ricorrenti di un qualsiasi abuso avendo essi eseguito opere come da concessione edilizia, si censura la sentenza di primo grado, poiché il primo giudice:

– ha trascurato la peculiarità del caso di specie, caratterizzato dalla preesistenza della recinzione almeno 18 anni prima del provvedimento impugnato, con la conseguente necessità, da un lato, di notificare il provvedimento al precedente proprietario, venendo altrimenti impedita ai ricorrenti ogni controdeduzione né potendo essi esercitare una qualsiasi utile rivalsa dopo tanto tempo e, dall’altro, di individuare l’interesse pubblico attuale all’intervento repressivo, a fronte della conformità della strada alle previsioni del PRG e al conseguente affidamento sulla consolidata regolarità urbanistica dell’intervento decorso un così lungo periodo di tempo, come anche previsto in giurisprudenza;

– non ha valutato che l’esistenza, comunque, di una strada di pubblico passaggio (appunto la via vicinale (…)) della larghezza di sei metri, conforme al PRG, assicura l’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione comunale, rendendo ciò, da un lato, insussistente l’interesse della stessa al ripristino dello stato dei luoghi e, dall’altro e di conseguenza, fondata la censura di sviamento di potere non sussistendo alcun contrasto tra la situazione di fatto e l’interesse pubblico;

– ha ritenuto sufficiente l’istruttoria mentre essa è stata svolta senza contraddittorio, le misurazioni sono state comunque eseguite partendo dalle risultanze catastali, né sono state verificate le pratiche edilizie esistenti negli Uffici comunali che avrebbero fatto individuare la legittima esistenza di locali interrati sotto la strada ritenuta pubblica, come già dedotto in primo grado con omessa pronuncia del Tar;

– non ha considerato infine che, anche ipotizzando l’avvenuta occupazione del sedime stradale da parte del dante causa dei ricorrenti, l’invasione è inferiore alla misura di 2 metri consentita dall’art. 16 delle NTA del PRG per la rettifica dei tracciati delle linee limite delle sedi stradali.

3. L’appello è infondato per le ragioni che seguono.

3.1. Si osserva anzitutto che il rilascio ai ricorrenti delle previe concessioni edilizie non rileva, che è stata riscontrata la mancanza di titolo abilitativo alla realizzazione di un muro per la recinzione, che al riguardo è stata data ai ricorrenti la comunicazione di avvio del procedimento, con l’accertamento, infine, del contestato disallineamento del confine della proprietà.

Dagli atti emerge infatti che:

– a) il rilascio ai ricorrenti delle concessioni edilizie per la costruzione di una casa di abitazione (n. 43 del 1991, n. 268 del 1994 e n. 76 del 1998, doc. n. 3, 4 e 5 del fascicolo di parte di primo grado) non attiene alla controversia in esame, non riguardando questa la realizzazione della detta costruzione ma la diversa questione del rilevato abuso per il diverso allineamento della recinzione del lotto edificato;

– b) nel verbale n. 31136 del 17 giugno 2005 si riscontra la mancanza di titolo abilitativo dell’intervento assumibile allo scopo della recinzione e la necessità della verifica degli allineamenti stradali, venendo rilevato che “Sul filo della proprietà è stato realizzato, in tempi non recenti ed in assenza di provvedimenti autorizzativi, un muretto in calcestruzzo che presumibilmente costruirà lo zoccolo della futura recinzione. Conseguentemente dovrà essere presentata istanza di sanatoria corredata dalla verifica degli allineamenti stradali rilasciati dai competenti uffici” (essendo stata richiamata nel verbale la prospettazione della controinteressata per cui la garanzia del calibro stradale di mt. 6 era stata consentita dalla propria cessione di una maggiore area);

– c) in data 28 giugno 2005 è stata indirizzata ai ricorrenti la comunicazione di avvio del procedimento in ordine alla rilevata mancanza di titolo abilitativo a seguito dei sopralluoghi ivi altresì indicati, con facoltà di prendere visione degli atti del procedimento;

– d) con accertamenti eseguiti su incarico del Comune, di data 14 luglio 2006 e 14 gennaio 2008, è stato rilevato l’errato allineamento della posizione del confine della particella interessata (n. 83);

-e) in data 18 ottobre 2006 è stata emanato il provvedimento impugnato, in riferimento all’accertamento del 14 luglio 2006 (prot. n. 48783 del’8 agosto 2006), con allegata planimetria raffigurante il detto disallineamento.

3.2. Quanto alla notificazione del provvedimento impugnato ai proprietari attuali, la giurisprudenza, sul presupposto per cui l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l’ordinanza di demolizione ha carattere ripristinatorio non richiedente l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione, ha chiarito che:

“-l’Amministrazione non ha alcun obbligo di compiere accertamenti giuridici circa l’esistenza di particolari rapporti interprivati tra autore dell’abuso e proprietari, ma ha solo l’onere di individuare il proprietario catastale;

-i provvedimenti sanzionatori sono legittimamente adottati nei confronti dei proprietari catastali degli immobili abusivamente realizzati, dovendo del tutto prescindersi sia dalle modalità con cui l’abuso è stato realizzato sia dagli eventuali rapporti intercorrenti tra proprietari e costruttori;

– l’ordine di demolizione di opere abusive è legittimamente notificato al proprietario catastale dell’area il quale, fino a prova contraria, è quanto meno corresponsabile dell’abuso;” (Cons. Stato, Sez. IV, 23 febbraio 2013, n. 1179, e giurisprudenza ivi citata; cfr. anche Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4913).

Nella specie i ricorrenti non hanno in ogni caso fornito prova dell’asserita preesistenza della recinzione secondo l’allineamento riscontrato nel provvedimento impugnato; non è infatti sufficiente allo scopo la planimetria allegata all’atto di compravendita del terreno del 19 dicembre 1988 (doc. n. 1 del fascicolo di parte di secondo grado), in quanto riproduttiva della delimitazione dell’area allo stato, da cui non si evince l’allineamento della recinzione quale in seguito riscontrato, nulla altresì risultando al riguardo dal testo di tale atto (doc. n. 2 del fascicolo di parte in primo grado), né vale la planimetria sullo stato dei luoghi anche allegata (doc. n. 2 del fascicolo di secondo grado) poiché in questa, al contrario, lo sconfinamento è raffigurato ma si tratta di documento datato novembre 2013; conseguendo altresì da ciò la mancata prova della responsabilità del contestato abuso in capo al precedente proprietario sig. Gh., dante causa dei ricorrenti.

Né la costruzione di seminterrati può valere a legittimare abusi sulla strada pubblica sovrastante.

3.3. Riguardo alla specificazione dell’interesse pubblico all’emanazione dei provvedimenti repressivi degli abusi edilizi e all’affidamento eventualmente asserito da parte dei destinatari per il tempo trascorso dall’abuso, la giurisprudenza dominante, da cui non vi è motivo qui di discostarsi, ha chiarito che “il provvedimento di repressione degli abusi edilizi costituisce un atto dovuto in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e dalla riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge, circostanza, questa, che comporta che il provvedimento sanzionatorio non richiede particolare motivazione, essendo sufficiente la rappresentazione del carattere illecito dell’opera realizzata, né previa espressa comparazione tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’opera, che è in re ipsa, e quello privato alla relativa conservazione, e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso.” (Cons. Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2013, n. 498) non potendo ammettersi “l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.” (Cons. Stato, sez. VI, 4 marzo 2013, n. 1268).

Non contrasta con ciò la pronuncia citata dagli appellanti (Cons. Stato, Sez. V, 24 ottobre 2013, n. 5158) poiché relativa ad un caso ivi espressamente indicato come eccezionale, in ragione del lasso di tempo accertato tra la commissione dell’abuso e l’intervento sanzionatorio (circa 50 anni) nonché a fronte di una costruzione munita di un titolo edificatorio, venendo nella specie in questione delle semplici difformità dal medesimo.

3.4. Non può neppure essere ritenuto che l’interesse pubblico permanga salvaguardato dall’esistenza di una pubblica strada larga sei metri, nonostante un diverso allineamento dei confini delle proprietà private frontistanti, non essendo disponibile da parte dei privati il tracciato delle strade pubbliche come determinato dalla pianificazione urbanistica e dalla normativa sulla sicurezza della viabilità, così come non si può ritenere, per lo stesso motivo, che ciò sia consentito dal richiamato art. 16.1.2 delle NTA, nel quale è chiaramente indicato che le correzioni e rettifiche di tracciato, sino a ml. 2, rispetto alle linee limite definite nelle Tavole del PRG sono possibili ma su iniziativa dell’Amministrazione, poiché “In fase di progettazione esecutiva” (punto 2.1.) ovvero da essa richieste “In sede di rilascio delle concessioni edilizie, nel caso di rilevanti trasformazioni dell’edificazione esistente” (punto 2.2.).

3.5. L’asserito difetto d’istruttoria non sussiste poiché dalla relazione tecnica alla base del provvedimento impugnato (prot. n. 48783 del 2006), così come da quella successiva del 14 gennaio 2008, emerge che il rilievo non è stato eseguito sulla sola base delle risultanze catastali ma, assumendo la mappa catastale come base cartografica, si è provveduto alla “verifica dello stato di fatto” attraverso la “procedura celerimetrica” con l’utilizzo di “un teodolite elettroottico con distanziometro integrato Leica TCRA 1105”, la “materializzazione a terra dei punti di stazione” e il rilevamento “dei vertici delle recinzioni esistenti” lungo la strada di cui si tratta; con modalità tecnica perciò tale da non poter essere definita inaccurata, salvo prova contraria non fornita nella specie dai ricorrenti anche dopo la comunicazione di avvio del procedimento.

4. Per le ragioni che precedono l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Sesta – respinge l’appello in epigrafe n. 8982 del 2013.

Condanna gli appellanti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente grado del giudizio che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00) a favore del Comune di Seregno, appellato, e in Euro 3.000,00 (tremila/00) a favore della s.r.l. Im., controinteressata, oltre gli accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2014, con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Maurizio Meschino – Consigliere, Estensore

Sergio De Felice – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Andrea Pannone – Consigliere

Depositata in Segreteria il 15 dicembre 2014.

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