Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 14 ottobre 2016, n. 4267

La realizzazione di opere che non interessano parti strutturali dell’edificio, ma unicamente una diversa distribuzione degli ambienti interni dell’unità abitativa, mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, è riconducibile alla categoria della “manutenzione straordinaria”, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, e non anche della ristrutturazione edilizia. Segnatamente, lo spostamento del servizio igienico, costituisce mera opera interna, soggetta al regime edilizio della manutenzione straordinaria: la minore altezza riscontrata rispetto all’altezza minimi richiesta dal Regolamento edilizio comunale, non vale a qualificare l’intervento in termini di ristrutturazione edilizia e, dunque, a giustificare la sanzione demolitoria, che trova il suo fondamento provvedimentale nell’applicazione degli articoli 33 del testo unico dell’edilizia e dell’articolo 16 della legge reg. Lazio n. 15/2008, i quali sanzionano non il contrasto dell’opera con la normativa urbanistica, ma unicamente il dato “formale ” della realizzazione dell’opera senza il prescritto titolo abilitativo

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 14 ottobre 2016, n. 4267

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5413 del 2015, proposto da:

Fa. De. Od. Di. La., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Le. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’avvocato Um. Ga. C.F. (omissis) dell’Avvocatura Comunale di Roma, domiciliata in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I QUA n. 03725/2015, resa tra le parti, concernente demolizione opere edilizie abusive;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2016 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Le., e Si. in dichiarata delega di Ga.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 3725/15 del 4-3-2015, resa ai sensi dell’articolo 60 c.p.a., il Tribunale Amministrativo per il Lazio (Sezione I Quater) rigettava il ricorso proposto dal signor Fa. De. Od. Di. La., inteso ad ottenere l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 1642 del 16-7-2014, avente ad oggetto l’ingiunzione a rimuovere o demolire gli interventi di ristrutturazione edilizia abusivamente realizzati in viale (omissis) al piano IV.

La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.

“…il ricorrente con il presente gravame chiede l’annullamento della determinazione dirigenziale in data 16 luglio 2014, notificata il 13 agosto 2014, che ha ingiunto la demolizione delle opere abusivamente realizzate nell’immobile sito in Roma, viale (omissis), consistenti nella realizzazione, in un locale sito sulla terrazza dell’immobile, di un lucernaio in posizione differente rispetto alla porta di ingresso, nonché a quanto evidenziato nella documentazione fotografica allegata all’istanza di condono del 2 dicembre 1998 ed ai relativi grafici, oltre che in lavorazioni caratterizzate da difformità rispetto agli elaborati presentati a corredo cella comunicazione di inizio lavori, riguardanti modifica delle tramezzature interne, spostamento del servizio igienico e l’eliminazione di un ambiente e, infine, in difformità di realizzazione del servizio igienico con misure incompatibili con le altezze minime definite dal regolamento edilizio comunale vigente…”.

Avverso la sentenza di primo grado il signor De. Od. Di. La. Fa. ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, chiedendone l’integrale riforma.

Con articolata prospettazione, ha dedotto:1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 6, 10, 22, 31 e 33 del d.p.r. 6-6-2001, n. 380, e degli artt. 16 e 17 della legge reg. Lazio 11-8-2008 n. 15 – travisamento dei fatti e/o erronea supposizione di fatti inesistenti – violazione dell’art. 112 c.p.c. – contraddittorietà, illogicità e comunque carenza della motivazione.

Ha, poi, riproposto, ai sensi dell’art. 346 c.p.c. e 101 c.p.a., i motivi svolti nel ricorso introduttivo, nessuno dei quali sarebbe stato esaminato dal TAR.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale, deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Le parti hanno prodotto memorie difensive.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza pubblica del 22 settembre 2016.

DIRITTO

Con unico ed articolato motivo di appello il signor De. Od. Di. La. Fa. lamenta: Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 6, 10, 22, 31 e 33 del d.p.r. 6-6-2001, n. 380 e degli artt. 16 e 17 della l.reg. Lazio 11-8-2008 n. 15 – Travisamento dei fatti e/o erronea supposizione di fatti inesistenti – violazione dell’art. 112 c.p.c. – contraddittorietà, illogicità e comunque carenza della motivazione.

Censura la gravata sentenza nella parte in cui il giudice di primo grado ha in sostanza ritenuto che le opere realizzate nel piccolo appartamento non fossero da annoverare fra quelle di cd. “edilizia libera” per le quali è sufficiente la CILA, bensì soggette al rilascio del previo titolo abilitativo edilizio, in assenza del quale esse sarebbero da considerarsi abusive.

Lamenta che il Tribunale avrebbe erroneamente affermato che gli interventi realizzati avrebbero alterato le componenti essenziali dell’edificio e determinato differenze realizzative, così costituendo ristrutturazione edilizia.

Quanto allo spostamento e/o eliminazione di tramezzature ed alla eliminazione di un locale preesistente, egli assume che trattasi di interventi da annoverarsi nella categoria della “attività edilizia libera”, ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. a del d.p.r. n. 380/2001.

Evidenzia ancora che il supposto mutamento di misurazione riguardante il servizio igienico non si è verificato affatto.

Deduce che la minore altezza del servizio igienico rispetto a quella fissata dall’articolo 41, lett. b) del regolamento edilizio non è stata la conseguenza di un intervento edilizio, ma della originaria altezza del locale sottotetto, oggetto di condono edilizio.

Sottolinea che l’appartamento è assistito da ben 17 anni da regolare titolo abilitativo in sanatoria, che non è mai stato annullato o rimosso, costituendo così titolo di legittimazione dell’attuale conformazione del locale e della sua destinazione residenziale; ancora che l’altezza del locale destinato a servizio igienico non ha nulla a che vedere con le opere eseguite sulla base della CILA del 2001, in quanto tale altezza sarebbe quella dell’anno di costruzione del locale, il 1924, mai modificata nel tempo.

Con riferimento al lucernaio (che il provvedimento gravato assume ruotato di 90°), rileva che, se anche tale modifica fosse stata effettuata, la stessa sarebbe assoggettata al regime della CILA e, dunque, la sanzione non avrebbe mai potuto essere quella demolitoria, prevista dall’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001 e dall’art. 16 delle legge reg. Lazio n. 15/2008 per ben più gravi violazioni edilizie.

Il Tribunale avrebbe comunque errato, giacchè non aveva esaminato le censure dedotte in primo grado sul punto e, in particolare, che la diversa posizione del lucernaio rispetto a quella risultante agli atti allegati al condono edilizio era imputabile ad un mero errore di rappresentazione grafica.

Aggiunge che il lucernaio esiste, nella sua attuale conformazione, fin dal 1924 e che nemmeno sarebbe potuto essere stata effettuata la contestata rotazione per la presenza di travi strutturali.

Il signor De. Od. Di. La. ripropone, poi, le censure avanzate in primo grado, che assume non esaminate dal Tribunale, così come di seguito riportate.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta: Violazione degli artt. 3, 6, 10, 22, 31 e 33 del d.p.r. 6-6-2001, n. 380; violazione degli artt. 16 e 17 della l.reg. Lazio 11-8-2008 n. 15; violazione dei principi di legalità, di imparzialità e buon andamento (art. 1 l. 7-8-1990, n. 241 e 97 Cost.); eccesso di potere per difetto di istruttoria, per difetto di motivazione, per illogicità.

Deduce in primo luogo che le contestate opere di spostamento delle tramezzature interne e del locale destinato a servizio igienico, in quanto attività edilizia libera ai sensi dell’articolo 6 del d.p.r. 380/2001 sono state legittimamente eseguite sulla scorta della CILA presentata al Municipio II in data 19 aprile 2011. Ove mai fossero state riscontrate difformità, queste non avrebbero potute essere perseguite ai sensi dell’articolo 33 del d.p.r. 380/2001 e dell’art. 16 della legge reg. Lazio n. 15/2008, riferendosi queste norme alla sanzione demolitoria applicabile esclusivamente in casi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità.

Rileva ancora che non corrisponde al vero che il lucernaio risulterebbe in posizione differente rispetto alla documentazione fotografica allegata all’istanza di condono edilizio, in quanto le suddette fotografie riportano il lucernaio esattamente nella posizione attuale e, quanto alla sua diversa posizione rispetto alla planimetria allegata all’istanza di condono, trattasi di errore grafico e non di difformità, la quale, ove esistente, sarebbe del tutto irrilevante sotto il profilo urbanistico-edilizio.

Con il secondo motivo il signor De. Od. Di. La. deduce: violazione del procedimento; violazione dell’articolo 3 delle l. reg. n. 13/2009; violazione degli artt. 33 del d.p.r. n. 380/2001, della legge reg. Lazio 11-8-2008, n. 15, nonché dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa; eccesso di potere per difetto di istruttoria, per difetto di motivazione e per illogicità.

Con riferimento alla terza irregolarità contestata, relativa all’altezza del servizio igienico (di mt. 2,33, inferiore a quella minima di mt. 2,40, fissata dall’articolo 41, lett. b) del Regolamento Edilizio), lamenta in primo luogo violazione del procedimento, evidenziando che l’attuale altezza del servizio igienico nulla ha a che vedere con le opere di manutenzione straordinaria eseguite sulla base della CILA, coincidendo con l’originaria altezza del locale.

L’ingiunzione di demolizione per pretesa violazione della prescrizione del Regolamento edilizio in materia di altezza utile interna dei locali risulterebbe illegittima, in quanto non preceduta dall’annullamento in autotutela del provvedimento di sanatoria edilizia rilasciato nel 1998, costituente indubbio titolo di legittimazione della attuale conformazione del locale (immutata nel tempo) e della sua destinazione residenziale.

Aggiunge che la determinazione dirigenziale oggetto di impugnativa è comunque illegittima, in quanto non considera che l’altezza interna del locale adibito a servizio igienico è conforme alla legge reg. Lazio 16-4-2009, n. 13, recante “Disposizioni per il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti”,, la quale prevede il recupero dei sottotetti ai fini abitativi quando “l’altezza media interna netta che, nel caso in cui il solaio sovrastante, o una sua porzione, non sia orizzontale, si intende come la distanza tra il solaio di calpestio ed il piano virtuale orizzontale, mediano tra il punto più alto e quello più basso all’intradosso del solaio sovrastante ad esso, deve essere fissata in m. 2,40 per gli spazi ad uso di abitazione, riducibile a m. 2,20 per gli spazi accessori e di servizio”.

L’appello merita di essere accolto.

La gravata sentenza del tribunale Amministrativo Regionale così motiva la reiezione del ricorso.

” -…il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto posto che gli interventi edilizi innanzi descritti costituiscono lavorazioni che pongono in essere modificazioni involgenti spostamenti e eliminazione di tramezzature di un locale preesistente, mutamenti di misurazioni riguardanti, in particolare, il servizio igienico, non da ricomprendere nell’ambito delle opere edilizie di semplice ristrutturazione che si verifica allorquando gli interventi comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio rimasto inalterato rispetto alle componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, o differenze realizzative riscontrate, come nel caso di specie, riguardo al lucernaio; – che, alla stregua delle considerazioni che precedono, le predette opere edilizie non appaiono, ictu oculi, assistite da idoneo titolo abilitativo con conseguente carattere abusivo, tale da far ritenere pienamente legittimo l’ordine demolitorio oggetto della presente impugnativa”.

La Sezione non condivide la determinazione reiettiva del giudice di prime cure, ritenendo, di conseguenza, meritevoli di favorevole considerazione le censure avanzate nell’atto di appello.

E tanto per le ragioni che di seguito si espongono.

E’ preliminare al riguardo richiamare i contenuti del provvedimento impugnato, al fine di individuare le opere realizzate e, sulla base di esse, individuarne la natura ed il corrispondente regime edilizio.

La determinazione dirigenziale n. 1642 del 16 luglio 2014 evidenzia quanto segue: “… si è rilevata, in un locale sito sulla terrazza dell’immobile, l’esistenza di un lucernaio (misurato in mt. 0,20 per mt. 0,95) in una posizione diversa (ruotato di 90° rispetto alla porta di ingresso) a quanto evidenziato nella documentazione fotografica allegata all’istanza di condono n. 225549 del 2-12-1998 e in posizione diversa anche rispetto a quanto rappresentato negli grafici allegati alla stessa istanza di condono (documentazione catastale scheda n. 10611 del 28-11-1995)…..Dal rilievo eseguito e dalle misurazioni effettuate sono state riscontrate difformità nella modifica delle tramezzature interne con conseguente spostamento del servizio igienico e l’eliminazione di un ambiente (quotato sul progetto in m. 5,20 per m. 1,00 privo di destinazione).Inoltre il servizio igienico realizzato in difformità alla predetta C.I.L. risulta avere una altezza minima interna pari a m. 1,40 ed un’altezza massima pari a m. 2,33.Tali dimensioni risultano essere inferiori al minimo prescritto dal vigente regolamento edilizio che fissa un’altezza minima per le stanze da bagno in m.2,40. Le opere in corso di ultimazione risultano comunque in contrasto con l’art. 41, lett. b) del regolamento edilizio: altezza utile minima interna dei locali adibiti a bagni inferiore a m.2,40”.

Va, poi, rilevato che il provvedimento impugnato ha ingiunto la demolizione sulla base dell’articolo 33 del d.pr. 6 giugno 2001 n. 380, recante “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità” e dell’articolo 16 della legge regionale Lazio n. 15/2008, disciplinante “Interventi di ristrutturazione edilizia e cambi di destinazione d’uso in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali”.

Dalla normativa richiamata ed applicata risulta, dunque, evidente che Roma Capitale ha ingiunto la demolizione in quanto ha considerato gli interventi realizzati come di ristrutturazione edilizia e ne ha disposto la demolizione, ritenendo la mancanza del titolo abilitativo del permesso di costruire.

La prospettazione del Comune, fatta propria dal giudice di primo grado, non può nella vicenda in esame essere condivisa.

L’articolo 10, lett. c) del d.p.r. n. 380 del 2001, applicato dal Comune, si riferisce a “interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva del fabbricato o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili ricompresi nelle zone omogenee A, comportino modifiche della destinazione d’uso nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.

Rileva la Sezione che nel caso in esame non risulta dimostrata la ricomprensione degli interventi effettuati nell’ambito applicativo della richiamata norma.

Va, invero, in primo luogo considerato che non sembra affatto alla Sezione che gli interventi edilizi posti in essere abbiano condotto ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso rispetto al precedente.

Va, infatti, rilevato che il sottotetto di cui trattasi, condonato come ambiente a destinazione abitativa, non ha visto modificata, in relazione alle opere realizzate, la sua originaria natura, né risulta esservi stato alcun incremento volumetrico.

Invero, l’immobile ha mantenuto le sue originarie caratteristiche di “mansarda destinata ad uso abitativo”, così come condonata e, dunque, regolarizzata dal punto di vista urbanistico, senza alcun incremento di volumetria complessiva dell’unità abitativa.

Vale al riguardo considerare che l’articolo 3 del d.p.r. n. 380 del 2001, nel definire, in generale, gli “interventi di ristrutturazione edilizia” qualifica gli stessi come quegli “interventi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, precisando che “tali interventi comprendono il ripristino e la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti”.

Il carattere precipuo della ristrutturazione edilizia (e che la connota in senso distintivo rispetto alle altre fattispecie di interventi edilizi sull’esistente) è, dunque, costituito dalla finalità, che è quello della “trasformazione” dell’organismo edilizio, in termini di diversità rispetto al precedente.

Tale “diversità” non risulta certamente, per le ragioni sopra evidenziate, nel caso di specie.

Venendo, poi, all’esame dettagliato delle opere contestate, va osservato quanto segue.

La modificazione delle tramezzature interne, lo spostamento del servizio igienico e l’eliminazione di un precedente ambiente (avvenuto evidentemente anch’esso mediante demolizione di una preesistente tramezzatura) costituiscono opere interne all’unità abitativa e, come tali, opere di manutenzione straordinaria.

Il citato articolo 3 del d.p.r. n. 380 del 2001 qualifica, alla lettera b), gli “interventi di manutenzione straordinaria” come “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologiche, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche della destinazione d’uso”. Il successivo articolo 6 riconduce nella “attività edilizia libera” gli interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio.

Nella vicenda in esame, le opere interne realizzate e sopra descritte, non interessando parti strutturali dell’edificio, ma unicamente una diversa distribuzione degli ambienti interni dell’unità abitativa mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature (in tale ambito rientra anche lo spostamento del servizio igienico) possono certamente ricondursi alla categoria della “manutenzione straordinaria” e non anche della ristrutturazione edilizia.

Quanto, poi, alla riscontrata minore altezza del servizio igienico rispetto all’altezza minima richiesta dal Regolamento edilizio comunale, occorre precisare, a prescindere da ogni rilievo in ordine alle preesistenti dimensioni dello stesso e. più in generale, dell’intero locale abitativo, nonché alle conseguenze dell’avvenuto condono edilizio, che il suddetto elemento non vale certamente a qualificare l’intervento in termini di ristrutturazione edilizia e, dunque, a giustificare la sanzione demolitoria sulla base delle norme concretamente applicate dall’amministrazione (art. 33 del d.p.r. n. 380/2001 e art. 16 legge.reg. Lazio n. 15/2008).

Va, inoltre, osservato che la sanzione edilizia, nell’attuale sistema normativo, ha carattere “formale”, nel senso che essa colpisce un intervento realizzato in assenza di titolo abilitativo, ma non anche il suo mero contrasto o la violazione di una norma di tipo “sostanziale”, regolatrice dell’attività edilizia.

Di conseguenza, considerando che lo spostamento del servizio igienico costituisce mera opera interna, soggetta al regime edilizio della manutenzione straordinaria (nella specie l’attività edilizia libera di cui all’articolo 6 del citato d.p.r. n. 380 del 2001), non è possibile sanzionare la minore altezza dello stesso rispetto al regolamento edilizio con una ingiunzione di demolizione che trova il suo fondamento provvedimentale nell’applicazione degli articoli 33 del testo unico dell’edilizia e dell’articolo 16 della legge reg. Lazio n. 15/2008, i quali, come sopra detto, sanzionano non il contrasto dell’opera con la normativa urbanistica, ma unicamente il dato “formale ” della realizzazione dell’opera senza il prescritto titolo abilitativo.

Può a questo punto venirsi all’esame dell’ulteriore intervento oggetto della ingiunzione di demolizione, cioè della assunta realizzazione di un “lucernaio…in una posizione diversa rispetto alla porta di ingresso a quanto evidenziato nella documentazione fotografica allegata all’istanza di condono n. 225549 del 2-12-1998 e in posizione diversa rispetto a quanto rappresentato nei grafici allegati alla stessa istanza di condono (documentazione catastale scheda n. 106111 del 28-11-1995)”.

Va, in proposito, evidenziato, che la contestazione non attiene alla realizzazione ex novo del lucernaio, ma al suo spostamento rispetto alla posizione precedente (“ruotato di 90° rispetto alla porta di ingresso”).

Sulla base della stessa prospettazione dell’amministrazione, dunque, il lucernaio già esisteva ed il privato ne avrebbe semplicemente modificato il posizionamento precedente.

Tale circostanza fattuale, asserita dallo stesso Comune, esclude che l’intervento possa essere ricondotto alla nozione di “ristrutturazione edilizia cd. “pesante”, di cui all’articolo 33 del T.U. Edilizia, richiedente il previo rilascio del permesso di costruire e sanzionato con la demolizione.

Come sopra ricordato, la richiamata norma si riferisce a interventi che portino ad un organismo del tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifica della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti.

Dal tenore letterale della disposizione (si veda la congiunzione “e”) si evince che non basta una mera modifica dei prospetti, ma occorre, quale elemento indefettibile, che il risultato dell’intervento sia la realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Orbene, tale diversità (anche in termini parziali) non risulta sussistere, considerandosi che nella specie un lucernario vi era già e che quello assunto come di nuova realizzazione è stato semplicemente spostato, senza aggiunta di nuove aperture.

Di poi, è pacifico che tale intervento non ha assolutamente modificato la consistenza dell’organismo sul quale si è intervenuto, atteso che questo è rimasto una mansarda (destinata ad uso abitativo, come da condono edilizio rilasciato), con l’esistenza di un’unica apertura sul tetto.

Le suddette considerazioni valgono, da sole, a fondare l’illegittimità della gravata ordinanza di demolizione sulla base delle norme applicate dall’amministrazione.

Purtuttavia, preme al Collegio evidenziare, ad abundantiam, che la misura demolitoria assunta risulta illegittima anche per il denunziato vizio di difetto di istruttoria.

Il provvedimento impugnato giustifica l’abusività dell’opera (spostamento del lucernaio) sulla base della posizione dello stesso rispetto a quanto evidenziato dalla documentazione fotografica allegata all’istanza di condono ed alla rappresentazione grafica della scheda catastale n. 106111 del 28-11-1995, pure allegata alla richiesta di condono edilizio.

Il privato, invece, sostiene che nessun intervento è stato mai realizzato sul lucernaio, in quanto le fotografie richiamate riportano lo stesso esattamente nella posizione attuale e il diverso posizionamento riportato nella documentazione catastale risulterebbe frutto di un errore di rappresentazione grafica.

In particolare, questi ha prodotto relazione tecnica di parte, alla quale sono state allegate aereofotografie del 1994, del 1998, del 2007 e del 2012, dalle quali risulterebbe che il lucernaio in oggetto non ha mai vista modificata la propria originaria posizione.

A sostegno dell’errore grafico riportato nella planimetria catastale, ha evidenziato come il posizionamento del lucernaio come ivi rappresentato non avrebbe mai potuto corrispondere alla realtà, in quanto nella posizione rappresentata sarebbe presente una trave strutturale.

Orbene, osserva la Sezione, pur non volendo ritenere che tale documentazione sia prova, nel presente giudizio di appello, di quanto sostenuto dal privato, che l’amministrazione, prima di affermare l’avvenuto spostamento del lucernaio prendendo a fondamento la posizione dello stesso come indicata nella planimetria catastale, avrebbe potuto e dovuto verificare se il predetto, pregresso posizionamento fosse effettivamente compatibile con lo stato dei luoghi, risultando di agevole verifica la presenza o meno in loco di travi strutturali.

In conclusione, sulla base di tutte le considerazioni sopra svolte, deve ritenersi la illegittimità della gravata ingiunzione di demolizione, con conseguente accoglimento dell’appello, riforma della sentenza di primo grado ed annullamento della determinazione dirigenziale n. 1642 del 16-7-2014.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti costituite, in considerazione della circostanza che il privato ha comunque realizzato opere diverse rispetto a quelle comunicate all’ente locale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione I Quater, n. 3725/2015, annulla la determinazione dirigenziale n. 1642 del 16-7-2014.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro – Presidente

Bernhard Lageder – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Francesco Mele – Consigliere, Estensore

Italo Volpe – Consigliere

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