Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 14 novembre 2014, n. 5599

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3305 del 2012, proposto da:

Ag. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato En.Gi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato D.Po. in Roma, via (…);

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via (…);

nei confronti di

Po. Sas;

per la revocazione

della sentenza 24 gennaio 2012, n. 308 del Consiglio di Stato, Sezione sesta.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2014 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati D.Po. ed altri (…).

FATTO

1.- L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (in seguito, anche solo Autorità), con provvedimento 11 maggio 2009 n. 31978, ha ritenuto la scorrettezza della pratica commerciale posta in essere dall’Agenzia Antonio Piovani s.r.l., consistente nella promozione della propria attività di servizi funebri, mediante inserzione negli elenchi telefonici e cartelli posizionati nel territorio del Comune di Monza, con affermazioni quali “Funerali completi con convenzioni comunali” nonché con riferimenti ad una esperienza nel settore da “oltre cento anni”. In particolare, l’Autorità, in relazione al messaggio riportato nelle inserzioni e sui cartelloni pubblicitari, ha accertato la violazione degli articoli 20, 21, 22 e 23, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo) in quanto esso risulta idoneo ad indurre in errore il consumatore medio riguardo alle caratteristiche dei servizi funebri offerti dal professionista ed alle condizioni alle quali gli stessi vengono erogati, alla sussistenza di una convenzione con il Comune di Monza, nonché all’inizio della relativa attività d’impresa. Con il citato provvedimento, è stata irrogata, altresì, alla società appellante una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad euro 50.000.

1.1.- La società ha impugnato tale provvedimento innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che, con sentenza 17 gennaio 2011, n. 348, ha respinto il ricorso.

1.2.- La ricorrente in primo grado ha impugnato detta sentenza innanzi al Consiglio di Stato che, con sentenza 24 gennaio 2012, n. 308, ha respinto l’appello.

2.- L’appellante ha proposto ricorso per revocazione per il mancato esame di un motivo di appello.

2.1.- Si è costituita in giudizio l’Autorità chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile e comunque infondato nel merito.

3.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 21 ottobre 2014.

DIRITTO

1.- La questione posta all’esame della Sezione attiene alla sussistenza dei presupposti per disporre la revocazione della sentenza 24 gennaio 2012, n. 308 del Consiglio di Stato per omesso esame di un motivo di appello. In particolare, il ricorrente deduce che detta sentenza non avrebbe esaminato il secondo motivo con il quale, lamentando il “richiamo eccessivamente generico alle norme del Codice del consumo”, il ricorrente stesso sarebbe stato privato “della possibilità di conoscere con esattezza la norma violata”. In particolare, si sostiene, al sig. Piovano è stata contestata, “ab origine”, la contravvenzione di cui all’art. 23, comma 1, lettera d), e artt. 20, 21 e 22″ del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo) dovendo la parte “con riferimento agli articoli testè indicati immaginare quali commi e quali lettere aver violato”.

2.- Il ricorso è inammissibile.

3.- L’art. 106 cod. proc. amm. stabilisce che “le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile”. In particolare, avendo riguardo a quanto rileva in questa sede, l’art. 395, comma 1, numero 4, cod. proc. civ. dispone che la revocazione è ammissibile “se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”, specificando che “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha più volte affermato che “l’omissione di pronuncia su domande o eccezioni delle parti, sebbene costituisca, di per sé, violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c., o comunque difetto di motivazione, non elimina la rilevanza del processo causale che ha determinato l’evento omissivo e non esclude che l’omissione di pronuncia possa essere fatta valere non ex se, ma come risultato di un vizio della formazione del giudizio e, quindi, errore di fatto revocatorio, atteso che nel caso di omessa pronuncia errore revocatorio e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non sono in relazione di alternatività, ma il primo è possibile fonte della seconda” (si veda Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5187 e le sentenze ivi citate).

La stessa giurisprudenza ha, però, puntualizzato che “l’omessa pronuncia su un vizio deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali (…)” (Cons. Stato, sez. IV, n. 5187 del 2013).

Nel caso in esame, il Consiglio di Stato, come risulta dalla lettura complessiva della motivazione, ha esaminato il motivo di appello indicato nel ricorso per revocazione.

Nel giudizio di primo e di secondo grado il ricorrente con un primo motivo aveva ritenuto che l’Autorità non gli avesse garantito una piena partecipazione procedimentale e con il secondo motivo, sopra riportato, che l’Autorità avesse provveduto ad una generica contestazione delle norme violate.

Il Collegio, con la sentenza impugnata, al punto 2 della stessa, ha esaminato contestualmente entrambi i motivi in ragione della loro omogeneità derivante dal fatto che con essi si contestava la violazione di regole procedimentali.

A tale punto si afferma, infatti, quanto segue: “Va disatteso il primo motivo di gravame con cui si ribadisce l’assunta violazione procedimentale in cui sarebbe incorsa l’Autorità, cui si contesta di non aver adeguatamente consentito, nel corso del procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato in primo grado, il contraddittorio con l’odierna appellante”. Si aggiunge: “va sul punto considerato che, in disparte la precisione dei riferimenti normativi indicati dall’Autorità, un contraddittorio si è effettivamente dispiegato in sede procedimentale, come incontrovertibilmente desumibile dalla circostanza dell’avvenuta presentazione, ad opera della società appellante, di memorie difensive, complete di allegati, in data 17 dicembre 2008 e 17 febbraio 2009”.

Risulta in maniera evidente dalla lettura della motivazione come il Collegio abbia ritenuto che l’Autorità abbia rispettato le regole procedimentali in ragione delle modalità concrete di esercizio del diritto di difesa della parte senza che possa assume rilevanza la questione, posta con il secondo motivo, della “precisione dei riferimenti normativi”. Né si poteva pretendere una motivazione più ampia, sul punto, in presenza di un motivo di appello con il quale l’odierna ricorrente si è limitata ad affermare che “ab origine” al sig. Piovano è stata contestata la violazione di alcune norme genericamente indicate. Nell’appello non è stato dedotto come ciò abbia compromesso le garanzie partecipative. Il Consiglio di Stato ha, pertanto, ritenuto ininfluente la prospettata genericità in presenza di una attività difensiva che si è espletata, come risulta dalle memorie depositate, senza impedimenti o difficoltà.

In definitiva, dalla lettura del punto 2 della motivazione della sentenza impugnata risulta esaminato non soltanto il primo motivo, espressamente richiamato, ma anche il secondo motivo, senza che assumi rilevanza il piano meramente formale del suo mancato richiamo.

4.- La ricorrente è condannata al pagamento, in favore dell’Autorità, delle spese del giudizio che si determinano in euro 2.000,00, oltre accessori previsti dalla legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato – Sezione sesta – definitivamente pronunciando:

a) dichiara inammissibile il ricorso proposto con l’atto indicato in epigrafe;

b) condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Autorità, delle spese del giudizio che si determinano in euro 2.000,00, oltre accessori previsti dalla legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Maurizio Meschino – Consigliere

Carlo Mosca – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore

Marco Buricelli – Consigliere

Depositata in Segreteria il 14 novembre 2014.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *