Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 14 giugno 2017, n. 2921

Nel processo amministrativo il ricorso collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel solo caso in cui sussistano, congiuntamente, i requisiti dell’identità di situazioni sostanziali e processuali (ossia che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi) e dell’assenza di un conflitto di interessi tra le parti

Consiglio di Stato

sezione VI 

sentenza 14 giugno 2017, n. 2921

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2938 del 2016, proposto da:

Ma. Mi. e An. Al., rappresentati e difesi dall’avvocato Fe. Te., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo (…);

contro

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Commissione giudicatrice della procedura per il conseguimento abilitazione scientifica nazionale a Professore di I e II Fascia, Anvur – Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);

nei confronti di

Gi. Gr., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza 2 dicembre 2015, n. 13656 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione III.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 marzo 2017 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Gi. Co., in delega dell’avvocato Fe. Te., e l’avvocato dello Stato Ma. St. Me.

FATTO

1.- I professori Ma. Mi. e An. Al., hanno partecipato entrambi alla procedura di abilitazione scientifica nazionale (ASN) indetta con decreto direttoriale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 222 del 20 luglio 2012, relativa al settore concorsuale 12/D1 (“Diritto Amministrativo”), presentando, il primo, domanda di partecipazione sia per la prima che per la seconda fascia di docenza universitaria, il secondo soltanto per la seconda fascia.

La commissione nazionale, all’unanimità, ha espresso giudizio negativo di non idoneità.

2.- Entrambi i Professori hanno impugnato, con un unico ricorso, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, gli atti della procedura, facendo valere sia vizi caducanti l’intera procedura sia vizi relativi alla singola posizione fatta valere.

3.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 2 dicembre 2015, n. 13656, ha dichiarato inammissibile il ricorso collettivo per mancanza di identità di posizioni sostanziali e processuali nonché per conflitto di interessi.

4.- I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello, per i motivi riportati nella motivazione della presente decisione.

5.- Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, chiedendo il rigetto dell’appello.

6.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 9 marzo 2017.

DIRITTO

1.- La questione posta all’esame della Sezione attiene alla ammissibilità e fondatezza di censure relative alla procedura di abilitazione nazionale cui hanno partecipato i professori Ma. Mi. e An. Al.

2.- La legge 30 dicembre 2010 n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario) ha riformato il sistema di reclutamento dei professori universitari.

In attuazione di tale disposizione sono stati adottati, in relazione ad una prima fase, il decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011 n. 222 (Regolamento concernente il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso al ruolo dei professori universitari, a norma dell’articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240) e il decreto ministeriale 7 giugno 2012 n. 76 (Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, nonché le modalità di accertamento della qualificazione dei Commissari, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, lettere a), b) e c) della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e degli articoli 4 e 6, commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222). In relazione alla seconda fase, che rileva in questa sede, è stato adottato il decreto Ministeriale 7 giugno 2016 n. 120.

Si è passati da un sistema fondato su concorsi locali ad un sistema a doppio stadio: una prima fase finalizzata ad ottenere l’abilitazione nazionale; una seconda fase rappresentata da una procedura “valutativa” che si svolge presso i singoli Atenei finalizzata all’ingresso nei ruoli di professore associato o ordinario.

3.- Con un primo motivo gli appellanti deducono l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto non ammissibile la proposizione di un ricorso collettivo. In primo luogo, si assume che non sussisterebbe una posizione di conflitto di interessi in quanto non verrebbe in rilievo una “selezione per accessi a numero chiuso” bensì una “mera valutazione c.d. aperta di idoneità/abilitazione”. In secondo luogo, si puntualizza che tale posizione varrebbe sia in relazione ai vizi caducanti l’intera procedura sia in relazione vizi riguardanti la singola posizione, in quanto anche in tale ultimo caso le parti tenderebbero ad ottenere non l’abilitazione, perché ciò significherebbe una valutazione di merito da parte del giudice non consentita, ma un giudizio rinnovato della commissione e quindi “un’altra chance di valutazione, cosi come sarebbe avvenuto nel caso di annullamento per vizi procedimentali”.

Il motivo è in parte fondato.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel ritenere che “nel processo amministrativo il ricorso collettivo, presentato da una pluralità di soggetti con un unico atto, è ammissibile nel solo caso in cui sussistano, congiuntamente, i requisiti dell’identità di situazioni sostanziali e processuali (ossia che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi) e dell’assenza di un conflitto di interessi tra le parti” (tra gli altri, Cons. Stato, sez. III, 21 aprile 2017, n. 1866).

La giurisprudenza richiede, pertanto, che sussistano due requisiti di ammissibilità del ricorso: uno positivo, costituito dalla identità di posizioni sostanziali e processuali in rapporto a domande giudiziali fondate sulle stesse ragioni difensive; l’altro negativo, costituito dall’assenza di conflitto di interessi, anche solo potenziale, fra le parti.

Nella fattispecie in esame è necessario distinguere i vizi generali caducanti l’intera procedura e i vizi puntuali che riguardano la posizione dei singoli appellanti.

Con riferimento ai primi sussistono i requisiti per la proposizione del ricorso collettivo. Le parti, infatti: i) in relazione al requisito positivo, fanno valere gli stessi vizi nei confronti dei medesimi provvedimenti; ii) in relazione al requisito negativo, non sussiste conflitto di interessi in quanto l’eventuale accoglimento sarebbe finalizzato esclusivamente a soddisfare l’interesse strumentale di entrambi alla rinnovazione della procedura.

Con riferimento ai secondi non sussistono i requisiti per la proposizione del ricorso collettivo e in particolare la identità sostanziale e processuale. Le parti hanno impugnato diverse determinazioni amministrative, relativi ai giudizi individuali e collegiali che li hanno, rispettivamente, riguardati per ragioni diverse. Non solo non esiste identità ma neanche connessione tra gli atti amministrativi e le censure prospettate.

L’affermazione degli appellanti – secondo cui in questa particolare tipologia di procedura non è possibile distinguere i vizi individuali e vizi generali di caducazione dell’intera procedura, in quanto, in entrambi i casi, occorre la riedizione della procedura – è destituita di fondamento. Il sindacato su atti individuali e nella specie sui giudizi se non può comportare un sindacato di merito può determinare un annullamento per vizi di legittimità, che produce poi un effetto conformativo nella fase di rivalutazione. Il che implica che l’annullamento del singolo giudizio a differenza dell’annullamento dell’intera procedura comporta un vincolo per l’amministrazione nella fase successiva di riedizione del potere che attiene, specificamente, alle singole posizioni.

Alla luce di quanto esposto deve essere confermata la sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato inammissibili le censure “individuali”, che nell’atto di appello sono prospettate al punto 2 (pagg.13-30); sono, invece, ammissibili le altre censure che gli appellanti hanno indicato come generali, fermo restando, come si dirà in seguito, la necessità di valutare in concreto se esse hanno in effetti tale valenza caducante ovvero se è stata dimostrata l’esistenza di un interesse concreto alla suddetta caducazione.

4.- Con la prima parte del primo motivo “generale” si contestano i criteri generali relativi a “normalizzazione per età accademica degli indicatori”, nonché alla circostanza che l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) avrebbe modificato la configurazione delle mediane in corso di svolgimento delle procedure.

Il motivo è inammissibile, in quanto gli appellanti non hanno indicato alcun elemento probatorio dal quale desumere che tale asserita illegittimità avrebbe inciso concretamente nella loro sfera giuridica. Non è sufficiente prospettare l’esistenza di un interesse strumentale, in quanto se così fosse il processo amministrativo assumerebbe, in presenza di tale tipologia di censure, natura oggettiva.

5.- Con la seconda parte del primo motivo “generale” gli appellanti assumono l’illegittimità degli atti della commissione che avrebbero introdotto “ulteriori e più selettivi” criteri di valutazione senza indicare, come richiesto dall’art. 6, comma 5, del decreto ministeriale n. 76 del 2012, la puntuale motivazione. In particolare, la commissione, come risulterebbe dal verbale n. 1-bis del 5 aprile 2013, ha richiesto che la domanda di partecipazione venisse corredata da “almeno tre pubblicazioni scientifiche di livello eccellente o buono (…) tra cui almeno una monografia”, con incidenza negativa nella sfera giuridica degli appellanti che non sarebbero in possesso di tale requisito.

Il motivo non è fondato.

La scelta della commissione, consentita dal decreto ministeriale n. 76 del 2012, si sottrae alle censure prospettate. La particolarità del criterio introdotto non richiedeva una particolare motivazione esplicita essendo tale motivazione insita nello stesso criterio prescelto. L’esistenza, in particolare, di una monografia si giustifica proprio al fine di valutare il livello scientifico dei singoli partecipanti.

6.- Con la terza censura “generale” si afferma che i verbali non conterrebbero indicazioni in ordine ai temi di valutazione delle produzioni scientifiche e che comunque il periodo di 120 giorni che la commissione ha impiegato per svolgere i propri lavori non sarebbero sufficienti per valutare l’intera procedura di 372 candidati.

Il motivo non può trovare accoglimento, in quanto, per ragioni di progressiva infondatezza: i) la normativa di disciplina non impone il rispetto del requisito temporale indicato; ii) il tempo sopra indicato appare comunque non palesemente inadeguato; iii) non è dato sapere quale spazio temporale sia stato effettivamente “dedicato” dalla commissione alla valutazione della posizione degli appellanti.

7.- Con la prima parte della quarta censura “generale” si contestano le modalità di sorteggio ai fini della nomina dei commissari. In particolare, si assume che “i risultati dei primi sorteggi delle commissioni effettuati dal Miur rivelano che non è stata usata un’unica chiave, ossia quella sorteggiata nella prima seduta del 30 ottobre 2012, bensì sono state utilizzate chiavi multiple”.

Il motivo non è fondato, in quanto si tratta di una affermazione che, al di là della non chiarezza, non è supportata da alcun elemento probatorio finalizzato a dimostrare l’alterazione delle regole oggettive di nomina della commissione.

8.- Con la seconda parte della quarta censura “generale” si assume che il prof. Pe. sarebbe in rapporto di collaborazione con le dott.sse Co. e Ga. Inoltre, il commissario sopra indicato avrebbe dato un giudizio positivo ad alcuni scritti redatti con la dott.ssa Co..

Il motivo non è fondato, in quanto quelli dedotti sono profili che riguardo al più la posizione dei candidati sopra indicati e non possono certo determinare la caducazione dell’intera procedura. In ogni caso, da un lato, il rapporto di collaborazione è genericamente evocato; dall’altro, la redazione di alcuni scritti tra concorrente e commissario non comporta, in mancanza di elementi di maggiore dettaglio, di per sé invalidità degli atti della procedura.

9.- Con la quinta censura “generale” si assume l’illegittimità della procedura perché i lavori della commissione si sarebbero conclusi oltre il termine perentorio di cinque mesi previsti dall’art. 16 della legge n. 240 del 2010.

Il motivo non è fondato.

La normativa evocata non prevede un termine perentorio e quindi l’affermato suo mancato rispetto non può comportare illegittimità degli atti della procedura.

10.- La dichiarazione di inammissibilità e rigetto delle censure di primo grado comporta il rigetto della domanda di risarcimento del danno anche da “discredito” richiesta dagli appellanti.

11.- In definitiva, per le ragioni si qui esposte, l’appello non può trovare accoglimento e, pertanto, sia pure con motivazione in parte diversa deve essere in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto il ricorso di primo grado.

12.- La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti anche delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Silvestro Maria Russo – Presidente FF

Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore

Francesco Mele – Consigliere

Francesco Gambato Spisani – Consigliere

Italo Volpe – Consigliere

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