Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 10 aprile 2017, n. 1667

L’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo è legittimamente adottata senza alcuna particolare motivazione e indipendentemente dal lasso temporale intercorso dalla commissione dell’abuso, dovendosi escludere in radice ogni legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al di lui avente causa

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 10 aprile 2017, n. 1667

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9337 del 2013, proposto da:

Lu. Mi., Ni. Ma. Ch., rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Bi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ca. in Roma, piazza (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ni. Bu. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza 28 maggio 2013, n. 2791 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, Sezione III.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 aprile 2017 il Cons. Vincenzo Lopilato. Nessuno è comparso per le parti.

FATTO

1.- Il Comune di (omissis) ha ingiunto, ai signori Mi. Lu. e Ch. Ni. Ma., la demolizione di opere in corso di realizzazione alla via (omissis), in assenza del permesso di costruire, consistenti in: “costruzione a piano terra di un capannone con pilastri in ferro bullonati su un cordolo in conglomerato cementizio, struttura in ferro con copertura in lamiere zincate coibentate a doppia falda, chiusura del capannone ai lati Est, Sud ed Ovest con pareti in conglomerato cementizio ed interposti vani d’ingresso aventi altezza di mt. 3,00 ca., mentre a lato Nord la chiusura in conglomerato cementizio è parzialmente gettata. La superficie occupante è di mq. 1.300 ca. ed una volumetria di mc. 8.450 ca. Inoltre ha in corso la recinzione del fondo a lato Ovest, con muro in conglomerato cementizio avente una lunghezza di mt. 100 ca. ed un altezza di mt. 2,50 ca., in prosieguo a detto muro vi sono solo parziali casseforme in legno, avente una lunghezza di mt. 25 ca.”.

Tale atto è stato impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, per i motivi riproposti in appello e riportati nei successivi punti.

Nel corso del giudizio le parti hanno proposto ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento con il quale il Comune, constatata la prosecuzione dei lavori in violazione dei sigilli, mediante il “completamento delle tamponature a recinzione del capannone, formazione di masso industriale, posa in opera di muri di telai in ferro per eventuali incastri di vetri, posa in opera di cancelli di ferro scorrevoli, tubi in p.v.c. per pluviali e completamento del muro di recinzione, disarmo della casseforme in legno”, ha ingiunto nuovamente la demolizione delle opere realizzate. Con tale ricorso sono stati ribaditi i motivi già prospettati nel ricorso principale.

2.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 28 maggio 2013, n. 2791, ha rigettato il ricorso.

3.- I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello.

3.1.- Si è costituito in giudizio il Comune chiedendo il rigetto dell’appello.

4.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 6 aprile 2017.

DIRITTO

1.- La questione posta all’esame della Sezione attiene alla legittimità dell’ordinanza del Comune resistente che ha ordinato la demolizione delle opere descritte nella parte in fatto.

2.- L’appello non è fondato.

3.- Con un primo motivo si afferma l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha avrebbe dichiarato l’inefficacia dell’ordine di demolizione a seguito della presentazione, da parte degli appellanti, in data 25 febbraio 2003, di una domanda di accertamento di conformità.

Il motivo non è fondato.

L’art. 31 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) prevede che, in presenza di interventi, quali quelli di nuova costruzione, eseguita in assenza di un permesso di costruire, l’amministrazione deve ordinare la demolizione.

L’art. 36 dello stesso decreto che in presenza, tra l’altro, di tali abusi è possibile “ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.

Il due procedimenti sono diversi e separati. La giurisprudenza di questo Consiglio, con orientamento che si condivide, ha affermato, infatti, che “l’istanza di accertamento di conformità (c.d. sanatoria) non incide sulla legittimità della previa ordinanza di demolizione pregiudicandone definitivamente l’efficacia ma soltanto sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell’istanza, con il risultato che essa potrà essere portata ad esecuzione se l’istanza è rigettata decorrendo il relativo termine di adempimento dalla conoscenza del diniego” (Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 466).

4.- Con un secondo motivo si afferma l’erroneità della sentenza nella parte in cui non avrebbe ritenuto illegittimi gli atti impugnati per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e per la mancata indicazione del responsabile del procedimento.

Il motivo non è fondato.

L’art. 7 della legge n. 241 del 1990 prevede che l’avvio del procedimento è comunicato, tra gli altri, ai soggetti “nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti”. L’art. 8 dispone che con tale comunicazione deve essere indicato anche il nome del responsabile del procedimento.

L’art. 21-octies, secondo comma, secondo inciso, della stessa legge prevede che: “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Parte della giurisprudenza amministrativa, con orientamento che la Sezione condivide, assume che venendo in rilievo elementi conoscitivi nella disponibilità del privato, spetta a quest’ultimo indicare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Solo dopo che la parte ha adempiuto a questo onere l’amministrazione “sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato”. La tesi opposta porrebbe a carico della p.a. una probatio diabolica “quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento” (Cons. Stato, sez. VI, 4 aprile 2015, n. 1060; Id., VI, 29 luglio 2008, n. 3786; id., V, 18 aprile 2012, n. 2257).

Nel settore dell’edilizia la giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che: “l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della p.a., con la conseguenza che ai fini dell’adozione delle ordinanze di demolizione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto” (Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 13).

La parte non ha inoltre indicato alcun elemento probatorio rilevante atto a dimostrare, ai sensi dell’art. 21-ocites della legge n. 241 del 1990, che se avesse partecipazione al procedimento avrebbe inciso sul contenuto della determinazione finale.

5.- Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza per difetto di motivazione in quanto il lungo tempo trascorso avrebbe inciso sull’affidamento del privato.

Il motivo non è fondato.

La Sezione, con ordinanza 24 marzo 2017, n. 1337, ha rimesso alla Plenaria la questione relativa alla rilevanza del tempo e dell’affidamento del privato in presenza di illeciti edilizi. In particolare, nell’ordinanza si mette in rilievo come sussistano due orientamenti.

Secondo il primo orientamento, che parrebbe maggioritario, l’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo è legittimamente adottata senza alcuna particolare motivazione e indipendentemente dal lasso temporale intercorso dalla commissione dell’abuso, dovendosi escludere in radice ogni legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al di lui avente causa (Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2016 n. 1774; VI, 11 dicembre 2013 n. 5943; VI, 23 ottobre 2015 n. 4880; V, 11 luglio 2014 n. 4892; IV, 4 maggio 2012 n. 2592).

Secondo un diverso orientamento, pur nella consapevolezza del prevalente indirizzo contrario, si individuano tuttavia “casi-limite in cui può pervenirsi a considerazioni parzialmente difformi” (Cons. Stato, sez. VI, 14 agosto 2015 n. 3933). Tali considerazioni fanno leva sul lasso temporale intercorso dalla commissione dell’abuso (o della sua conoscenza da parte dell’amministrazione: V, 9 settembre 2013 n. 4470), sulla buona fede del soggetto destinatario dell’ordinanza di demolizione diverso dal responsabile dell’abuso e sull’assenza, per mezzo del trasferimento del bene, di un intento volto a eludere la comminatoria del provvedimento sanzionatorio (in tal senso, anche Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 2015 n. 2512; V, 15 luglio 2013 n. 3847).

Nella fattispecie in esame questo contrasto interpretativo non può avere rilevanza ai fini della decisione della presente controversia in quanto l’appellante si è limitato a dedurre il fatto che è trascorso molto tempo dalla commissione dell’illecito, senza però indicare quanto tempo sia effettivamente passato e senza fare alcune riferimento alle altre circostanze poste a base dell’orientamento che ammette la tutela dell’affidamento,.

Ne consegue il rigetto del motivo alla luce del primo degli orientamenti giurisprudenziali sopra riportati.

6.- L’appellante è condannata al pagamento, in favore dell’amministrazione comunale resistente, delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) condanna l’appellante al pagamento in favore dell’amministrazione comunale delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 3.500,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore

Francesco Mele – Consigliere

Francesco Gambato Spisani – Consigliere

Italo Volpe – Consigliere

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