Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 1 febbraio 2013, n. 633
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1912 del 2012, proposto da:
Edilcostruzioni s.r.l., Tema s.r.l., Calora s.u.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutte rappresentate e difese dall’avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Terme di Santa Cesarea s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Ernesto Sticchi Damiani in Roma, V. Bocca di Leone, 78 (St. Bdl);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 02039/2011, resa tra le parti, concernente risarcimento danni subiti a seguito di annullamento procedura di affidamento lavori
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Terme di Santa Cesarea s.p.a.;
Visto l’appello incidentale proposto da Terme di Santa Cesarea s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 novembre 2012 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Buccellato per delega dell’avvocato Quinto e Sticchi Damiani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, la Terme di Santa Cesarea s.p.a. indiceva un procedura aperta avente ad oggetto affidamento, secondo il criterio del prezzo più basso, dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione, per un importo complessivo di € 10.838.139,18, del Nuovo Complesso Termale di Santa Cesarea Terme, già concesso in godimento gratuito alla Società da parte del proprietario Comune di Santa Cesarea con contratto del 26 agosto 2005.
Le risorse utilizzate ai fini dell’appalto in questione derivavano dalle agevolazioni finanziarie concesse alla Terme di Santa Cesarea s.p.a. da parte del Ministero delle Attività Produttive nell’ambito di un procedimento di programmazione negoziata conclusosi con la stipulazione di un contratto di programma in data 27 marzo 2006.
2. All’esito di un contenzioso giudiziario (iniziato in seguito al ricorso giurisdizionale proposta da uno dei partecipanti contro la sua esclusione dalla procedura), la gara in questione veniva aggiudicata all’a.t.i. Edilcostruzioni (composta dalla società Edilcostruzioni, come mandataria capogruppo, e dalle società Tema s.r.l. e Calora s.r.l., come società mandanti).
3. In data 1° agosto 2007, nelle more del giudizio amministrativo che ha interessato la gara in questione, la procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce disponeva il sequestro dell’immobile da riqualificare (immobile poi dissequestrato con provvedimento del 18 settembre 2007).
4. Con successivo provvedimento del 7 aprile 2008, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce – nell’ambito dell’indagine avente ad oggetto la sussistenza di eventuali illeciti che si presumevano consumati in occasione della richiesta da parte della società Terme di Santa Cesarea delle agevolazioni finanziarie utilizzate per l’appalto in oggetto – adottava un nuovo decreto di sequestro probatorio sul predetto immobile.
Con determina n. 1850/08, il Ministero dello Sviluppo Economico sospendeva in via cautelare l’iter procedimentale relativo alle agevolazioni finanziarie richieste dalla Terme di Santa Cesarea s.p.a. Conseguentemente, in data 31 luglio 2008, il Consiglio di Amministrazione della Terme di Santa Cesarea s.p.a., preso atto che per effetto del sequestro giudiziario del Nuovo Complesso Termale era stato impossibile dare esecuzione ai lavori di riqualificazione, deliberava di rinunciare all’investimento e di risolvere il contratto stipulato con il Comune di Santa Cesarea Terme avente ad oggetto la concessione in godimento dell’immobile termale.
In conseguenza di ciò, il Ministero dello Sviluppo Economica prendeva atto della rinuncia della società all’investimento sull’immobile del Nuovo Centro Termale ed annunciava la formalizzazione di una richiesta di de finanziamento al CIPE.
5. Nella seduta del 20 novembre 2008, il Consiglio di Amministrazione della società Terme di Santa Cesarea, considerata la necessità e l’opportunità di procedere ad una rivalutazione dell’interesse della stessa alla realizzazione degli interventi oggetto della procedura di affidamento dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione del nuovo Complesso Termale, deliberava di avviare il procedimento di riesame in autotutela di tutti gli atti del procedimento concorsuale in questione.
Con provvedimento del Consiglio di Amministrazione del 13 febbraio 2009, la società Terme di Santa Cesarea deliberava di revocare “tutti gli atti e i provvedimenti del procedimento di gara relativo all’affidamento dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione indetto con delibera del Consiglio di Amministrazione del 20 ottobre 2006 e bandito in data 2 / 5 gennaio2007, a partire dalla delibera di indizione con riferimento a tutti gli atti successivi, incluso quello di aggiudicazione”.
6. Con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede distaccata di Lecce, l’Ati Edilcostruzioni chiedeva la condanna della società Terme di Santa Cesarea al risarcimento del danno cagionatole in conseguenza dell’intervenuta autotutela.
7. La sentenza del Tribunale amministrativo regionale di Lecce ha accolto in parte il ricorso: riconosciuta la responsabilità precontrattuale della società Terme di Santa Cesarea per la violazione dell’obbligo di buona fede nelle trattative che conducono alla conclusione del contratto, il Tribunale amministrativo regionale ha risarcito il danno nei limiti del c.d. interesse negativo, riconoscendo, però, soltanto, alcune delle voci risarcitorie reclamate dalla ricorrente.
7.1. In particolare, la sentenza di primo grado ha escluso il risarcimento del danno relativo alla perdita delle favorevoli occasioni contrattuali alternative. A tale conclusione è giunto sulla base della seguente motivazione: “Nella specie, non risulta affatto provato che le maestranze e i mezzi d’opera dell’ a.t.i. fossero di entità tale da impedirle di essere contemporaneamente impegnata sul fronte delle trattative con la società termale e con gli altri cantieri. Né a tal fine possono valere le mere comunicazioni inviate dalle ricorrenti alle presunte ditte commissionanti i lavori, trattandosi di mere offerte di lavori, poi revocate con le note allegate, delle quali comunque non vi è prova dell’avvenuta accettazione da parte delle ditte destinatarie, sicché è facile presumere che le stesse assumano la valenza di mere proposte contrattuali e, quindi, atti unilaterali, non seguite da accettazione e, quindi da concreti contratti. A ciò aggiungasi che dette offerte si collocano prevalentemente, come efficacemente sostenuto dalla difesa della resistente, nell’arco temporale coperto dalla trattazione dei ricorsi proposti da G&G srl innanzi al Tar di Lecce (ric. nn.547/2007 e 78/2008) ed al Consiglio di Stato (n. 7498/2008) nei quali l’ATI ricorrente ha partecipato attivamente, sicché l’incertezza dell’affidamento dell’appalto non giustificava la rinuncia a commesse certe a fronte di una commessa di importo inferiore e meno vantaggiosa; tanto più che tale commessa risultava anche di incerto esito poiché sottoposta a procedimento giurisdizionale.
Invero, ai sensi dell’art. 1227 comma 2, c.c., il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, giacché il dovere di correttezza da esso imposto al danneggiato presuppone un’attività che avrebbe avuto il risultato sicuro di evitare”.
7.2. Per quanto riguarda le spese sostenute per la partecipazione alla gara, il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto risarcibili solo le voci afferenti alla stretta partecipazione alla gara di appalto, con esclusione, quindi, dei danni dovuti al mantenimento della struttura aziendale e all’apprestamento del cantiere, in assenza della consegna dei lavori.
7.3. Ugualmente, la sentenza di primo grado ha escluso il risarcimento delle spese sostenute per la costituzione della cauzione provvisoria e definitiva per le quali, stante la mancata stipulazione del contratto, ha ritenuto presumibile la loro restituzione da parte della stazione appaltante.
7.4. Ancora, la sentenza di primo grado ha escluso il risarcimento delle voci di spese connesse alla consegna dei lavori ovvero all’esecuzione dell’opera (come, ad esempio, le spese generali di sede ovvero quelle di cantiere).
7.5. E’ stato, infine, disconosciuto il risarcimento del c.d. danno curriculare.
8. Per ottenere la riforma parziale di tale sentenza, relativamente al punto relativo alla quantificazione del danno, hanno proposto appello le tre società indicate in epigrafe, che hanno partecipato alla gara in questione sotto forma di a.t.i., con capogruppo mandataria la Edilcantieri s.r.l..
9. La sentenza è stata impugnata, mediante appello incidentale tardivo, anche dalla Terme di Santa Cesarea s.p.a., che ha contestato l’an del risarcimento, criticando il punto della sentenza che riconosce la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante.
10. Alla pubblica udienza del 13 novembre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
11. Deve prioritariamente esaminarsi l’appello incidentale tardivo proposto dalla società Terme di Santa Cesarea: tale gravame, infatti, investendo l’an del risarcimento (perché contesta la stessa possibilità di configurare la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante) ha evidentemente priorità logica rispetto all’appello principale, che è diretto, invece, a contestare il quantum dell’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno.
11.1. L’appello incidentale tardivo proposto dalla società Terme di Santa Cesarea è ammissibile. La proponibilità, anche nel processo amministrativo, dell’appello incidentale tardivo è, infatti, ormai prevista espressamente dall’art. 96, comma 4, Cod. proc. amm., che specifica che l’impugnazione incidentale tardiva può riguardare che capi autonomi della sentenza, con la sola precisazione essa perde, tuttavia, ogni efficacia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile.
Nel caso di specie, peraltro, l’impugnazione incidentale tardiva riguarda lo stesso capo della sentenza gravata con appello principale (il capo, appunto, relativo alla domanda risarcitoria proposta dall’a.t.i. Edilcostruzioni), che viene impugnato relativamente a un punto diverso (quello relativo all’an della responsabilità), ma connesso (perché pregiudiziale) rispetto a quello gravato in via principale (relativo, come si è detto, al quantum del risarcimento).
11.2. Nel merito, tuttavia, l’appello incidentale tardivo proposto dalla società Terme di Santa Cesarea è infondato.
Nel caso di specie, infatti, il comportamento complessivo tenuto della stazione appaltante, poi sfociato nella revoca degli atti di gara, integra un illecito precontrattuale, perché si pone in contrasto con le regole di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 Cod.civ. riferite ad una pubblica amministrazione.
E’ ormai consolidata la configurabilità di una responsabilità precontrattuale anche della pubblica amministrazione, perché anche su di essa grava l’obbligo sancito dall’art. 1337 Cod. civ. di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative.
Pertanto, se durante la fase formativa del contratto la pubblica amministrazione viola quel dovere di lealtà e di correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l’affidamento della controparte (anche colposamente, perché non occorre un particolare comportamento di malafede, né la prova dell’intenzione di arrecare pregiudizio all’altro contraente) in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale.
La responsabilità precontrattuale prescinde dall’eventuale illegittimità del provvedimento amministrativo di autotutela che formalizza la volontà dell’Amministrazione di annullare o revocare gli atti di gara. La responsabilità precontrattuale non discende infatti dalla violazione delle norme di diritto pubblico che disciplinano l’agire autoritativo della pubblica amministrazione e dalla cui violazione discende l’illegittimità dell’atto. Essa, al contrario, deriva dalla violazione delle regole comuni (in particolare del principio generale di buona fede in senso oggettivo dell’art. 1337 Cod. civ..) che trattano del “comportamento” precontrattuale, ponendole in capo alla pubblica amministrazione doveri di correttezza e di buona fede analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali.
Invero, nello svolgimento della sua attività di ricerca del contraente l’Amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le norme dettate nell’interesse pubblico (la cui violazione implica l’annullamento del provvedimento ed una eventuale responsabilità da attività provvedimentale illegittima), ma anche le norme generali sulla correttezza di cui all’art. 1337 Cod. civ. prescritte dal diritto comune (la violazione delle quali fa nascere appunto la responsabilità precontrattuale) (cfr. in questi termini Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6).
Da qui l’ordinaria possibilità che una responsabilità precontrattuale sussista nonostante la legittimità del provvedimento con cui si revocano (o si annullano) in autotutela gli atti di gara.
Del resto, come la giurisprudenza ha ulteriormente chiarito (cfr. Cass., SS.UU., 12 maggio 2008, n. 11656), la responsabilità precontrattuale è una responsabilità da comportamento, non da provvedimento, che incide non sull’interesse legittimo pretensivo all’aggiudicazione, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.
Nei casi di responsabilità precontrattuale propriamente detti, infatti, ciò che il privato lamenta non è la mancata aggiudicazione, ma la lesione della sua corretta autodeterminazione negoziale.
Questa, del resto, è anche la ragione per la quale, in caso di responsabilità precontrattuale da ingiustificato recesso dalla trattative (nel cui ambito si inquadra la vicenda in esame, in cui viene in rilievo la revoca degli atti di gara), il danno è commisurato non al c.d. interesse positivo (ovvero alle utilità economiche che il privato avrebbe tratto dall’esecuzione del contratto), ma al c.d. interesse negativo, da intendersi, appunto, come interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, a non investire inutilmente tempo e risorse economiche partecipando a trattative (o, nel presente caso, a gare d’appalto) destinate poi a rivelarsi del tutto inutili a causa del recesso scorretto della controparte.
11.3. L’applicazione di tali principi al caso di specie consente di affermare la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante.
Invero, i fatti che hanno portato alla revoca dell’aggiudicazione sono riconducibili ad un comportamento non diligente della società Santa Cesarea Terme.
Una delle ragioni principali su cui si fonda il provvedimento di revoca è il venire meno delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento dei lavori. Di fronte, infatti, al procedimento penale iniziato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce per presunti illeciti consumati dalla stessa società termale in occasione della richiesta di finanziamento pubblico (sarebbe, in particolare, emersa una illegittimità nelle pratiche di finanziamento determinata da una dichiarazione non veritiera della società in relazione al presupposto di non aver fruito in precedenza di altri finanziamenti), la società Santa Cesarea Terme ha immediatamente rinunciato al finanziamento e, conseguentemente, ha disposto la revoca della gara.
Come correttamente ha rilevato il Tribunale amministrativo regionale, a prescindere dall’esito dell’indagine penale e dalla fondatezza dell’ipotesi investigativa in ordine alla falsità delle dichiarazioni, dal comportamento complessivamente tenuto dalla società appaltante emergono significativi profili di “leggerezza” e negligenza nella gestione della fase prenegoziale.
La stazione appaltante, anziché rinunciare al finanziamento e disporre la revoca degli atti di gara, avrebbe dovuto, visto che la gara ormai era stata bandita e aggiudicata (e, quindi, si configurava un ragionevole e fondato affidamento dell’aggiudicatario in ordine alla prossima conclusione del contratto), quanto meno adoperarsi attivamente per trovare soluzioni alternative, comunque meno penalizzanti per gli interessi dell’aggiudicatario, in ipotesi anche verificando la ragionevole possibilità, prima di rinunciare unilateralmente al finanziamento già ottenuto, di reperire congruamente risorse finanziarie da altre fonti, onde dare comunque seguito ai lavori per i quali la gara era stata espletata.
In tal senso non può essere preso in considerazione come comportamento scusante il fatto che la società, in sede di rinuncia al finanziamento, abbia chiesto espressamente al Ministero “se l’individuazione di un sito alternativo al Nuovo Centro Termale avesse potuto consentire il mantenimento della sovvenzione di cui al Contratto di Programma”.
Tale richiesta, infatti, anche ove accolta, avrebbe impedito di finanziare i lavori già aggiudicati, atteso che la diversità del sito oggetto dei lavori, determinando un totale mutamento dell’oggetto e delle condizioni di esecuzione del contratto, avrebbe richiesto una nuova gara per selezionare il contraente. Appare, quindi, che questa richiesta sia stata fatta più nell’interesse della società termale a non perdere il finanziamento, piuttosto che in un’ottica di doverosa tutela dell’affidamento dell’aggiudicatario.
Nel caso di specie, in altri termini, si è in presenza di una fattispecie nella quale la stazione appaltante, dopo aver bandito e aggiudicato una gara, ha deciso di non concludere il contratto (e di revocare quindi gli atti di gara) a causa di una sopravvenuta carenza di risorse finanziarie, carenza imputabile non a circostanze eccezionali o estranee alla propria sfera di controllo, ma a una scelta consapevolmente e volontariamente effettuata, che si è risolta nella rinuncia al finanziamento già ottenuto senza cercare prima ragionevoli alternative a tutela del maturato affidamento del suo contraente. Rinuncia compiuta in un momento in cui già vi era un provvedimento di aggiudicazione e, quindi, era configurabile in capo all’aggiudicatario un tale affidamento meritevole di tutela e di prudente considerazione.
11.4. Così ricostruita la vicenda, appare allora pretestuoso il tentativo dell’appellante incidentale di addossare la responsabilità degli avvenimenti a soggetti terzi (in particolare, al Comune di Santa Cesarea) o di ricercare ulteriori ragioni che, anche a prescindere dall’assenza di risorse finanziarie, avrebbero comunque giustificato la revoca degli atti di gara (in particolare, secondo la prospettazione della società termale, il ritardo ormai accumulato nell’esecuzione dell’investimento, tanto pregiudicare la convenienza economica dell’operazione)
In particolare, per quanto riguarda la posizione del Comune di Santa Cesarea, la circostanza che questo fosse proprietario dell’immobile (concesso solo in godimento alla società termale) non vale a renderlo responsabile delle vicende che hanno portato alla revoca degli atti di gara. La gara è stata, infatti, bandita dalla società Terme di Santa Cesarea ed era, quindi, quest’ultima (non il Comune) che doveva farsi carico della sussistenza e della permanenza delle risorse finanziarie necessarie per la effettiva realizzazione dei lavori programmati che si andavano ad appaltare.
Nemmeno è fondato il motivo con cui la società termale sostiene che, se pure vi fossero state le risorse finanziarie, la gara sarebbe stata comunque revocata perché (come indicato anche nel provvedimento di revoca) il tempo ormai trascorso rendeva l’investimento meno appetibile sotto il profilo della convenienza economica.
In primo luogo, la stessa successione temporale degli avvenimenti dimostra che l’autentica ragione determinante la revoca degli atti di gara è stata la rinuncia al finanziamento, dovuta, a sua volta, all’avvio dell’indagine penale: significativa, in tal senso, è la circostanza che il provvedimento di autotutela è stato adottato il 20 novembre 2008, a distanza di pochi giorni dalla nota (del 27 ottobre 2008) con la quale il Ministero dello Sviluppo Economico aveva comunicato la formalizzazione al CIPE di una richiesta di definanziamento.
Inoltre, anche ritenendo che la revoca trovi autonoma giustificazione nella mutata valutazione sulla convenienza economica, il comportamento della società termale rimarrebbe connotato da evidenti profili di scorrettezza. La valutazione sulla convenienza economica di un investimento deve, infatti, essere effettuata con particolare attenzione prima di bandire e aggiudicare la gara. La possibilità che, anche per un contenzioso giudiziario relativo agli atti di gara, vi siano dei ritardi è evenienza non eccezionale, da prudentemente prevedere e mettere in conto.
A ciò si aggiunga che, anche a concedere che la causa della revoca fosse rinvenibile nei ritardi causati dai citati provvedimenti giudiziari, emergerebbe un ulteriore profilo di scorrettezza, derivante dalla intempestività con cui la società termale ha deciso di agire in autotutela: l’autotutela è stata decisa, infatti, dopo che era decorso più di un anno dal primo sequestro penale e, comunque, dopo che erano decorsi quasi otto mesi dal secondo decreto di sequestro e dalla sentenza del Consiglio di Stato che ha definito il contenzioso amministrativo.
11.5. In definitiva, quindi, alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello incidentale tardivo proposto dalla società Terme di Santa Cesarea va respinto.
12. Può ora passarsi all’esame dell’appello principale, con cui l’a.t.i. Edilcostruzioni contesta la quantificazione del danno.
L’appello è fondato in parte, nei sensi di seguito specificati.
12.1. In primo luogo, la sentenza appellata merita conferma laddove afferma il principio secondo cui, trattandosi di responsabilità precontrattuale, il danno va risarcito nei limiti dell’interesse negativo, che include soltanto le spese sostenute per la partecipazione alla gara ed, eventualmente, la perdita della c.d. chance contrattuale alternativa.
Non meritano, quindi, risarcimento le voci che fanno riferimento all’interesse c.d. positivo (l’interesse all’esecuzione dell’appalto), che attengono, appunto, alle utilità e ai vantaggi che sarebbero derivati dall’esecuzione del contratto.
In quest’ottica si deve ritenere condivisibile la mancata risarcibilità del c.d. danno curriculare.
Nell’ambito della responsabilità precontrattuale (nonostante il Collegio sia consapevole dell’esistenza di precedenti giurisprudenziali di diverso avviso), il c.d. danno curriculare non è risarcibile, perché non attiene all’interesse negativo, ma, più propriamente, all’interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell’appalto, non dall’inutilità della trattativa.
Il c.d. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto.
Alla base del riconoscimento di questa ragione risarcitoria sta la consapevolezza che il fatto di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava con il corrispettivo pagatole dalla stazione appaltante), è già fonte per l’impresa di un vantaggio che è economicamente valutabile, perché accresce verso gli altri la sua capacità di competere sul mercato e quindi aumenta le chances di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti,
In altri termini, con il risarcimento di questo tipo di danno, la giurisprudenza riconosce che l’interesse all’aggiudicazione di un appalto, nella vita economica di un’impresa, trascende lo stretto interesse all’esecuzione della singola opera in sé e al relativo ricavo. Alla mancata esecuzione di un’opera appaltata si ricollegano, in effetti, anche nocumenti altri e indiretti, che vanno a toccare l’immagine della società e il suo radicamento nel mercato, per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino su medesimo segmento di mercato, illegittimamente dichiarate aggiudicatarie della gara.
Si tratta di un tipo di danno generato dalla lesione dell’interesse all’aggiudicazione, non dell’interesse negativo a non essere coinvolto in trattative inutili. Ne consegue che non è configurabile una sua risarcibilità nel caso in cui si invochi come titolo risarcitorio, piuttosto che la mancata aggiudicazione, l’arbitrario recesso dalla trattative della stazione appaltante: vale a dire un fatto antecedente rispetto alla mancata aggiudicazione.
12.2. Per quanto riguarda, invece, le spese sostenute per la partecipazione alla gara, l’appello principale merita parziale accoglimento. Il Collegio ritiene che debbano essere risarcite tutte le spese documentate e specificamente sostenute per la gara. Vanno risarcite in particolare le spese inerenti la elaborazione dell’offerta, la progettazione e pianificazione della commessa nella fase precedente alla gara, le spese sostenute per la costituzione dell’associazione temporanea di imprese, le spese sostenute per le polizze fideiussorie e, più in generale, tutte le spese comunque riconducibili all’attività svolta per la partecipazione alla gara.
Resta inteso, ovviamente, che tali spese andranno risarcite solo se, e nella misura in cui, l’a.t.i. Edilcostruzioni sia in grado di fornire alla stazione appaltante copia dei pagamenti effettuati per la partecipazione alla gara, non potendosi ritenere sufficiente la mera esibizione della fattura, atteso che essa non dimostra l’avvenuto pagamento e, quindi, l’effettivo sostenimento del costo da rimborsare.
12.3. Devono essere risarcite anche le spese sostenute per la retribuzione del personale dipendente all’interno della società e le spese generali per il funzionamento struttura aziendale. Invero, anche se tali spese sarebbero state ugualmente sostenute, il danno qui rilevante deriva dal fatto che le società partecipanti all’a.t.i. Edilcostruzioni hanno destinato una parte delle loro risorse umane e materiali alla partecipazione alla gara, rinunciando al loro utilizzo in altre attività e sopportando, quindi, un costo-opportunità.
Tale danno, non possibile da determinare nel preciso ammontare, può essere stabilito, in via forfettaria ed equitativa, nella misura del 25% dell’importo relativo alle spese sostenute per i c.d. costi vivi affrontati per la predisposizione dell’offerta e la partecipazione alla gara.
12.4. Va accolta in parte anche la domanda risarcitoria relativa alla perdita della c.d. chance contrattuale alternativa. Risulta dagli atti, infatti, che ciascuna delle società partecipanti all’a.t.i. Edilcostruzioni ha rinunciato, a seguito dell’aggiudicazione dell’appalto, ad altre proposte contrattuali provenienti da altre possibili committenti.
Sotto tale profilo le considerazioni svolte dal Tribunale amministrativo regionale per escludere il risarcimento non sono convincenti.
La sentenza appellata esclude il risarcimento sulla base di tre considerazioni:
– non risulta prova che le maestranze e i mezzi d’opera dell’a.t.i. fossero di entità tale da impedirle di essere contemporaneamente impegnata sul fronte delle trattative con la società termale e con altri cantieri;
– si trattava di mere proposte contrattuali non ancora seguite da accettazione (quindi il relativo contratto non era ancora stato concluso);
– l’incertezza circa l’affidamento dell’appalto in questione (peraltro sottoposto a procedimento giurisdizionale) non giustificava, anche alla luce dell’art. 1227, comma 2, Cod. civ. la rinuncia a commesse certe a fronte di una commessa di importo inferiore e meno vantaggiosa.
Il primo argomento (la mancata prova che la struttura delle imprese partecipanti all’a.t.i. fosse incompatibile con la realizzazione contemporanea di più contratti) risulta superabile in considerazione del fatto che dagli atti risulta che tali imprese hanno comunque dichiarato espressamente di rinunciare alle proposte contrattuali alternative a causa del fatto che era stata concretamente disposta a loro favore l’aggiudicazione in via definitiva dell’appalto per la ristrutturazione e riqualificazione del Nuovo Centro Termale di Santa Cesarea.
Il rapporto di causalità fra la rinuncia alle proposte alternative e l’aggiudicazione dell’appalto in questo caso risulta, quindi, per tabulas dal contenuto delle stesse dichiarazioni di rinuncia.
Pertanto, anche se in astratto la struttura aziendale delle imprese fosse stata compatibile con la contemporanea esecuzione di più contratti (circostanza, peraltro, che non emerge dagli atti di gara, mancando la prova dell’incompatibilità, come quella della compatibilità), è dirimente che nella specie le società abbiano preferito, in un esercizio che non appare incauto o irragionevole dell’autodeterminazione imprenditoriale, non assumere contestualmente più impegni, preferendo concentrarsi sull’appalto per loro già certo e concreto, e ragionevolmente – per le sue caratteristiche – stimato preferibile, relativo al Nuovo Centro Termale di Santa Cesarea.
Tale scelta imprenditoriale non appare irrazionale né frutto di un comportamento negligente, come tale rilevante ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, Cod. civ.. La scelta, fra vari contratti, di quello stimato più conveniente, e la conseguente decisione di eseguirlo in via esclusiva e senza assumere impegni concomitanti, esprime una scelta strategica di impresa che in assenza di dimostrazione contraria e per le circostanze date appare sensata e ragionevole, vale a dire esprime un uso lineare e corretto della diligenza imprenditoriale; e manifesta – in relazione al quadro generale delle opportunità contrattuali presenti in quel contesto – una corretta autodeterminazione economica dell’imprenditore. Sicché una scelta di tal genere, proprio perché non risulta manifestamente strumentale, incauta o irragionevole, non costituisce in sé un comportamento negligente che possa rilevare ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, Cod. civ..
Nemmeno convince la considerazione per cui, dato che nella specie gli atti di gara erano stati impugnati innanzi al giudice amministrativo, e dunque andavano a “rischiare” l’annullamento, l’ordinaria diligenza di cui all’art. 1227, secondo comma 2, Cod. civ. si sarebbe spinta fino a imporre all’a.t.i. Edilcostruzioni di prevenire ipotetici danni da quell’annullamento mediante l’utilizzazione di proposte contrattuali alternative. Vale anzitutto la considerazione che un’azione giurisdizionale amministrativa, incentrata com’è sulla contestazione della legittimità dell’aggiudicazione, non è degradabile da parte dell’imprenditore che ne ha beneficiato – evidentemente facendo riferimento alla sua legittimità e alla certezza che ne discende – a un qualsivoglia rischio economico, cioè ad un’alea del mercato o del contratto; e vale la considerazione che rientra nell’ambito delle scelte imprenditoriali – alla cui corretta valutazione presiedono solo l’ordinaria ragionevolezza e la diligenza imprenditoriale – l’opzione se preferire un determinato contratto (ancorché stipulato in seguito a una gara contestata in sede giurisdizionale), piuttosto che contratti alternativi, più certi, ma considerati, sotto vari profili non altrettanto convenienti.
Nemmeno vale la considerazione per cui le alternative chances contrattuali erano rappresentate da mere proposte, ancora non accettate, e non da contratti già perfezionati.
In primo luogo, in questo caso, il danno lamentato dall’a.t.i. Edilcostruzioni deriva proprio dal fatto che, con l’affidamento sull’aggiudicazione definitiva dell’appalto in oggetto, essa ha scelto di rinunciare a concludere altri contratti. La mancata conclusione del contratto che si presentava come chance alternativa non solo non è di ostacolo a configurare il danno, ma ne costituisce il presupposto.
In altri termini, ai fini del riconoscimento di questo tipo di danno, non si richiede che il contratto alternativo poi “rinunciato” sia già stato concluso, ed è al contrario sufficiente (anzi è proprio questo il presupposto del danno) che si dimostri che vi era una reale e concreta possibilità di concludere un diverso e fruttuoso contratto e che questo non è stato concluso proprio per effetto dell’affidamento concretamente e seriamente ingenerato dall’aggiudicazione poi indebitamente ritirata dalla stazione appaltante.
Nella specie peraltro, a differenza di quanto sostenuto dalla sentenza appellata, non vengono in considerazione mere proposte o mere trattative precontrattuali. L’a.t.i. Edilcostruzioni documenta, infatti, che le trattative “alternative” si erano sostanzialmente concluse mediante l’accettazione, da parte dei vari committenti, delle proposte o dei preventivi inviati dalle imprese che compongono l’a.t.i. Edilcostruzioni.
Le trattative erano quindi giunte a un punto molto serio e avanzato, il che permette qui di ritenere configurabile l’esistenza di una significativa chance contrattuale alternativa.
12.5. Ammessa in linea di principio la risarcibilità della chance contrattuale alternativa, si tratta ora di determinare l’entità del danno derivante dalla relativa perdita.
L’appellante principale chiede che le venga riconosciuto senz’altro il profitto che avrebbe ricavato da ciascuno dei contratti alternativi cui ha rinunciato in vista dell’esecuzione dell’appalto di lavori aggiudicato e poi revocato dalla società Terme di Santa Cesarea.
Tale tesi non è condivisibile.
Le proposte contrattuali alternative, così come sono state ritenute incompatibili con la contemporanea esecuzione dell’appalto in questione, devono a loro volta ritenersi incompatibili fra di loro.
Sarebbe infatti contraddittorio assumere, per un verso, che l’esecuzione dell’appalto oggetto di revoca era incompatibile con altri impegni contrattuali e, per altro verso, affermare che questi impegni contrattuali alternativi (pur avendo un valore economico equiparabile a quello dell’appalto) erano tra di loro perfettamente compatibili e quindi suscettibili di contemporanea esecuzione.
In altri termini, appurato che alla base della configurabilità del danno da perdita della chance contrattuale alternativa vi è l’impossibilità pratica di eseguire più contratti contemporaneamente (impossibilità a sua volta ascrivibile a ragioni strutturali e organizzative o a ragionevoli e non negligenti valutazioni imprenditoriali), si deve, per conseguenza, ritenere che la chance contrattuale risarcibile non possa che essere identificata nella mancata esecuzione di un solo dei concretamente possibili contratti alternativi. Stipulato un contratto alternativo, infatti, tutte le altre proposte contrattuali ricevute, per quanto serie e concrete anch’esse, sarebbero risultate a loro volta incompatibili con quello sulla base di considerazioni analoghe a quelle che portano a ritenere l’esecuzione dei lavori appaltati dalla società termale incompatibile con altri impegni contrattuali.
12.6. A tal fine, fra i vari contratti indicati dalle società appellanti, un elementare criterio di proporzione conduce a prendere senz’altro in considerazione un contratto di importo assimilabile, per importanza, a quello oggetto della gara bandita dalla società Terme di Santa Cesarea.
Per la Edilcostruzioni s.r.l. i contratti alternativi di maggiore importanza hanno un valore economico medio intorno a circa € 1.600.000 (facendo una media approssimativa dei lavori da eseguire in favore rispettivamente dell’impresa Fumarola, Sagittario s.r.l. e Le Valli Immobiliari s.r.l. ed escludendo i lavori – di ben più modesta entità – commissionati dall’impresa Corsano Mario da Vitigliano).
Più complessa e la situazione della società Tema s.r.l., che indica un gran numero di proposte contrattuali alternative di diverso importo. Anche in questo caso, con una media approssimativa tra i lavori di maggiore rilievo (e quindi paragonabili a quelli oggetto dell’appalto in questione) si può individuare una chance contrattuale alternativa di circa € 2.500.000.
12.7. Si tratta, a questo punto, di determinare qual è il danno derivante dalla perdita della chance di stipulare ed eseguire un ipotetico contratto alternativo di tale importo.
Il riferimento contenuto nell’atto di appello alla percentuale presunta di profitto calcolata come pari al 10% non può essere utilizzato. Si tratta di un criterio che già da tempo una parte consistente della giurisprudenza ha abbandonato, anche con riferimento al danno c.d. da mancata aggiudicazione, perché foriero di risarcimenti eccessivi e ingiustificati. Questa percentuale, del resto, è normativamente prevista (dall’art. 345 legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F) con riferimento ad un’ipotesi (quella del recesso ad nutum della stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto) che è sensibilmente diversa da quella qui in esame.
Trattandosi, quindi, di un criterio di liquidazione del danno in via forfettaria ed automatica previsto da una norma speciale con riferimento ad un caso particolare, non è suscettibile di essere automaticamente applicato a fattispecie diverse da quella rispetto alla quale è espressamente contemplato.
In assenza di un criterio legale di determinazione del danno e a fronte della difficoltà di determinare nel suo preciso ammontare questo tipo di pregiudizio patrimoniale, non resta che ricorrere alla valutazione equitativa.
A tal proposito, considerate le circostanze e tenuto conto del fatto che quella che viene in considerazione è, comunque, una semplice chance contrattuale (sia pure significativa per il livello avanzato cui erano giunte le trattative), e non un contratto alternativo definito e dunque definitivamente “certo”, appare equo riconoscere un importo pari al 5% dell’importo del contratto alternativo come sopra determinato.
Alla società Edilcostruzioni spetta, quindi, un danno da lucro cessante, per perdita dalla chance contrattuale alternativa, pari ad € 80.000 e alla Meta s.r.l. un danno pari ad € 125.000.
Tale danno si deve ritenere comprensivo, pena l’illegittimità duplicazione di poste risarcitorie, anche dei costi sostenuti per presentare le relative offerte e proposte progettuali.
12.8. Va, ancora, escluso il risarcimento del danno delle spese processuali sostenute in occasione del contenzioso innanzi al giudice amministrativo a causa dei ricorsi proposti, con riferimento alla gara poi revocata, dalla società C&G. Il regime delle spese processuali trova, infatti, la sua esclusiva regolamentazione nella sentenza che definisce il relativo giudizio. In materia di spese processuali, invero, non trova applicazione la disciplina generale della responsabilità civile di cui agli artt. 1218 e 2043 Cod. civ., la disciplina speciale contenuta negli artt. 90-97 Cod. proc. civ.., norme che trovano indiscussa applicazione anche nel processo amministrativo (cfr. in termini analoghi Cons. Stato, VI, 6 giugno 2008, n. 2751).
13. Ala luce delle considerazioni che precedono, quindi, l’appello principale proposto dalle società Edilcostruzioni s.r.l., Tema s.r.l. e Carola s.u.r.l. può trovare parziale accoglimento nei sensi specificati in motivazione.
In particolare:
a) le tre società hanno diritto al rimborso, a titolo di risarcimento del danno emergente, di tutte le spese vive sostenute per la partecipazione alla gara, nei limiti degli importi di cui riescano a dimostrarne l’avvenuto pagamento;
b) le tre società hanno diritto al rimborso, a titolo di risarcimento del danno emergente, delle spese generali (costo del personale e costo della struttura) nella misura del 25% dell’importo sopra determinato al punto sub a);
c) la Edilcostruzioni s.r.l. e la Tema s.r.l. hanno diritto al risarcimento, a titolo di lucro cessante per perdita della chance contrattuale alternativa, dell’ulteriore importo equitativamente determinato, rispettivamente, in € 80.000 e in € 125.000.
14. Sussistono i presupposti, considerata la complessità della vicenda e delle questioni giuridiche esaminate, per disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti:
– respinge l’appello incidentale;
– accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, l’appello principale.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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