Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 28 luglio 2014, n. 3999

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUINTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1126 del 2003, proposto dal signor Ri.Ra., rappresentato e difeso dagli avvocati Lu.To., Fi.Sa. e Ra.Ve., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fi.Sa. in Roma, corso (…);
contro
Il Comune di Pizzo Calabro, rappresentato e difeso dall’avv.to Ra.Gu., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO :SEZIONE II n. 2065/2001, resa tra le parti, concernente l’annullamento di concessioni edilizie per costruzioni di fabbricati e una domanda di risarcimento danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 marzo 2014 il Cons. Antonio Bianchi e uditi per le parti l’avvocato Lu.To.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Signor Ra.Ri. otteneva dal Comune di Pizzo Calabro tre concessioni edilizie (n. 359/89, n. 479/91 e n. 475/91), aventi ad oggetto la costruzione di fabbricati da destinare a box auto e magazzini ad uso vario, che venivano poi annullate dall’Amministrazione in via di autotutela a mezzo di tre distinte ordinanze (nn. 32, 34 e 37 del 6 aprile 1992).
Avverso le predette ordinanze il Riga proponeva tre distinti ricorsi al Tar Calabria che, riuniti i giudizi, le annullava con sentenza n. 359/1993.
La pronuncia veniva poi integralmente confermata in sede di appello da questo Consiglio, con sentenza n. 606/1997.
2. Sul presupposto che l’illegittimo annullamento delle concessioni gli avesse causato gravi danni (mancato rendimento immobiliare, maggior costo delle opere in conseguenza dell’inflazione intervenuta nel periodo di fermo dei lavori e, con specifico riferimento alle opere di cui alla concessione n. 359/89, interruzione delle trattative in corso per la vendita di alcune unità immobiliari) e ritenendo sussistenti gli ulteriori presupposti di legge, il signor Riga col ricorso n. 241 del 2001 adiva nuovamente il Tar Calabria per chiederne il ristoro.
Si costituiva in giudizio il Comune di Pizzo Calabro, concludendo per il rigetto del ricorso.
Con sentenza n. 2065/2001, il Tribunale adito respingeva le doglianze del ricorrente.
3. Avverso detta pronuncia il Riga ha quindi interposto l’odierno appello, chiedendo la riforma della sentenza del TAR e l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si è costituito in giudizio il Comune di Pizzo Calabro, insistendo per la declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado e, comunque, per la sua infondatezza nel merito .
Alla pubblica udienza dell’11 marzo 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Va esaminata in via preliminare l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dal Comune di Pizzo Calabro.
1.1. Il rilievo è privo di fondamento.
1.2. Ed invero, nella specie il danno lamentato dall’appellante – a prescindere dalla ricorrenza dei requisiti necessari a fondare l’azione risarcitoria – sarebbe stato asseritamente causato dagli illegittimi provvedimenti di annullamento delle tre concessioni edilizie di cui era titolare, emanati dall’Amministrazione comunale in via di autotutela.
Per quanto sopra, è di tutta evidenza come sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, vertendosi in materia – quella edilizia – affidata alla sua giurisdizione esclusiva.
2. Sempre in via preliminare, va altresì rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per tardività, sollevata dall’Amministrazione appellata.
2.1. Deduce al riguardo il Comune di Pizzo Calabro che il termine prescrizionale quinquennale per azionare la domanda risarcitoria sarebbe infruttuosamente decorso, avendo il signor Riga proposto quest’ultima solo nel 2001 e ciò a fronte del deposito, nell’anno 1993, della sentenza del Tar Calabria n. 359/1993, che aveva annullato le ordinanze assunte dall’Amministrazione in via di autotutela.
2.2. Il rilievo è infondato.
2.3. Ed invero, con riferimento al periodo antecedente alla data di entrata in vigore del processo amministrativo, il termine prescrizionale in questione va considerato decorrente dalla data del passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato l’atto asseritamente causativo del danno, in applicazione della regola generale fissata dall’art. 2935 c.c. (in termini, Cons. di Stato, Sez. V, 2 settembre 2005, n. 4461).
Nella specie, pertanto, il dies a quo dal quale computare la decorrenza del termine prescrizionale di cui all’art. 2947 c.c. deve farsi coincidere con la data di definitività della sentenza n. 606/97, con cui questo Consiglio ha confermato la sentenza di prime cure, determinandone il passaggio in giudicato.
Ne consegue che, rispetto alla predetta data, il giudizio risarcitorio promosso dal Signor Riga nell’anno 2001 è indubitabilmente tempestivo.
3. Nel merito il ricorso è infondato e la sentenza di rigetto formulata in primo grado deve trovare conferma, sebbene sulla scorta delle diverse motivazioni che seguono.
4. Ed invero, osserva il Collegio come nella specie l’azione proposta dall’appellante non trovi il suo presupposto normativo nell’art. 1337 c.c., come ritenuto dal Tar.
Infatti, in sede di annullamento in autotutela di un titolo edilizio non può di certo venire in rilievo una responsabilità di tipo precontrattuale.
Per un verso, infatti, il rapporto originario (tra soggetto richiedente ed Amministrazione) si è già esaurito con il formale rilascio del provvedimento richiesto.
Per altro verso, il successivo ed autonomo esercizio dei poteri di autotutela involge profili di discrezionalità amministrativa che in alcun modo possono incidere, direttamente o indirettamente, sull’aspettativa qualificata del terzo alla conclusione di un rapporto di natura pretensiva in atto con l’Amministrazione, in quanto del tutto insussistente.
Tali poteri, quindi, vengono ad incidere su una posizione giuridica già definita e di conseguenza, se esercitati in modo illegittimo, configurano una tipica ipotesi di responsabilità da parte della pubblica Amministrazione che, pertanto, solo a tale titolo può essere chiamata a risarcire i danni eventualmente prodotti.
5. Ciò posto, osserva tuttavia il collegio come nella specie l’azione risarcitoria attivata dal ricorrente non risulti assistita dai necessari presupposti di legge.
6. Ed invero, ai fini risarcitori va distinta l’illegittimità di carattere sostanziale dall’illegittimità di natura meramente formale in quanto, in linea di principio, solo nel primo caso il vizio del provvedimento costituisce presupposto per il risarcimento del danno subito dall’interessato.
In tale ipotesi, infatti, risulta comprovata in modo certo la spettanza del bene della vita fatta valere dall’interessato e, di conseguenza, la correlata lesione della stessa derivante dal provvedimento illegittimo assunto dall’Amministrazione.
Per contro, “la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento” (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439).
In altri termini, il risarcimento è in linea di principio subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, dell’effettiva spettanza in capo all’interessato del bene che viene ad essere colpevolmente inciso dai provvedimenti illegittimamente assunti dall’Amministrazione.
Orbene, nella specie, la richiamata sentenza del Tar Calabria n. 359/1993 nulla ha statuito circa la legittimità, sotto il profilo sostanziale, delle concessioni edilizie poi annullate dall’Amministrazione, avendo accolto il ricorso dell’interessato in ordine a profili meramente procedimentali afferenti, in particolare, alla mancata piena partecipazione dello stesso al procedimento di formazione dei provvedimenti di annullamento in autotutela.
Nella richiamata sentenza, quindi, non viene accertata alcuna illegittimità sostanziale dei provvedimenti di autotutela assunti dall’Amministrazione e conseguentemente non viene espressa alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, ovvero alla effettiva legittimità dei titoli edilizi in contestazione.
7. Nella specie, inoltre, non risulta acclarata neppure la presenza di una specifica ed oggettiva colpa di natura sostanziale in capo all’Amministrazione, che possa legittimare la pretesa azionata dal ricorrente.
L’interessato, sia in primo grado che nell’odierna sede, non si è curato di rappresentare come sarebbe ingiustificabile l’annullamento a suo tempo disposto in via di autotutela dall’Amministrazione.
Viceversa, doveva necessariamente essere comprovata in modo adeguato la legittimità degli originari titoli edilizi, al fine di evidenziare la legittima spettanza del bene della vita in contestazione, nonché la conseguente inescusabile incisione di quest’ultimo ad opera dei provvedimenti illegittimamente assunti dall’Amministrazione.
Anche con riguardo a tale circostanza, pertanto, non possono ritenersi sussistenti i presupposti necessari per accogliere l’istanza risarcitoria.
8. In definitiva, alla stregua di quanto sopra rappresentato, non è possibile muovere nei confronti dell’Amministrazione comunale uno specifico giudizio di rimproverabilità, essendo emersa in sede giudiziale unicamente una violazione di natura formale e non sostanziale senza, quel che più conta, alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso e senza che l’interessato abbia fornito, né in primo né in secondo grado, un minimo principio di prova in ordine alla legittimità delle concessioni edilizie poi annullate in via di autotutela.
9. A ciò aggiungasi, come correttamente rilevato dal primo giudice, che in ogni caso il ricorrente non ha fornito sufficienti elementi per comprovare il danno asseritamente subito e che tale mancanza non è certamente colmabile attraverso una inammissibile richiesta di mezzi istruttori di natura meramente esplorativa.
10. Per le ragioni esposte, l’appello si appalesa infondato e, come tale, da respingere, con conseguente conferma della sentenza impugnata, seppur con la diversa motivazione che precede.
11. Sussistono giusti motivi per addivenire alla compensazione tra le parti delle spese del secondo grado di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta – definitivamente pronunciando sull’appello n. 1126 del 2003, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate del secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2014, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Antonio Amicuzzi – Consigliere
Antonio Bianchi – Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi – Consigliere
Depositata in Segreteria il 28 luglio 2014.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *