Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 27 giugno 2017, n. 3136

La motivazione costituisce l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata, e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio, cosicché essa è insuscettibile di sanatoria in sede processuale mediante l’istituto previsto dal citato art. 21-octies, comma 2, della legge generale sul procedimento amministrativo

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 27 giugno 2017, n. 3136

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 8062 del 2013, proposto da:

Ga. Gr. e Ol. di Ie. e Ga. s.a.s., quest’ultima in persona dei soci accomandatari e legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Or. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via (…);

contro

Roma Capitale, in persona del sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ro. Ro., con la quale è domiciliata in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II-TER, n. 4776/2013, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione di occupazione di suolo pubblico.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Al. Ca., in sostituzione dell’avvocato Or. Ca., e Ro. Ro.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio la sig.ra Gr. Ga., titolare di autorizzazione di commercio su aree pubbliche, impugnava il diniego di concessione di occupazione di suolo pubblico permanente per il collocamento di un banco mobile di mq 9 in viale (omissis), davanti ai nn. civici 285-287, oppostole dal Comune di Roma (determinazione n. 423 in data 7 aprile 2003, emessa dal Municipio III).

2. Il diniego veniva motivato sulla base di un sopralluogo dei vigili urbani (del 19 febbraio 2003) dal quale era risultato che l’occupazione di suolo pubblico non avrebbe consentito il regolare passaggio dei pedoni (art. 20, comma 3, del codice della strada), perché avrebbe lasciato libera solo una parte di marciapiede (m. 0,85) anziché i prescritti 2 metri.

3. Con la sentenza in epigrafe l’adito tribunale, nella resistenza dell’intimata amministrazione, ha respinto il ricorso.

Pur avendo accertato che l’occupazione non intralcerebbe il transito pedonale, essendo stata richiesta per uno spazio posto al di sotto del marciapiede, nondimeno il giudice di primo grado ha giudicato legittimo il diniego impugnato ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241, sulla base degli atti dell’istruttoria.

In particolare, il tribunale:

– ha rilevato che dal citato sopralluogo dei vigili urbani erano comunque risultate due ulteriori ragioni ostative al rilascio del titolo, consistenti nel fatto che l’occupazione di suolo pubblico ricadeva su un’area della carreggiata stradale destinata a parcheggio dei motorini e che la stessa impegnava il transito di mezzi di emergenza;

– sulla base di ciò ha concluso che “il provvedimento definitivo altro sbocco non avrebbe potuto avere se non quello di diniego della concessione a fronte di due ben precisi, vincolanti ed insuperabili (per il dirigente) motivi ostativi”.

4. Avverso tale sentenza hanno proposto appello la sig.ra Ga. e la cessionaria dell’azienda cui accede l’istanza di occupazione di suolo pubblico in contestazione, Ol. di Ie. e Ga. s.a.s.

5. Resistite all’appello Roma Capitale.

DIRITTO

1. Con il primo motivo d’appello la sig.ra Ga. e la cessionaria Ol. di Ie. e Ga. censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la destinazione a parcheggio di motorini della porzione di strada su cui è stata chiesta l’occupazione di suolo pubblico possa costituire ragione ostativa al rilascio di quest’ultima. In contrario le appellanti sottolineano che nessun divieto in questo senso è previsto nel regolamento comunale relativo alle occupazioni di suolo pubblico (delibera consiliare n. 119 del 30 maggio 2005).

Le appellanti deducono inoltre che il tribunale avrebbe travisato il contenuto del verbale di sopralluogo nel ritenere che l’area in questione sarebbe destinata al transito degli automezzi di emergenza, dal momento che tale documento attesta esattamente il contrario.

2. Con il secondo motivo le appellanti censurano la sentenza di primo grado per falsa applicazione della “sanatoria processuale” prevista dall’art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990, assumendo che da questa ipotesi esula il caso in cui la motivazione del provvedimento sia insufficiente.

3. Con il terzo motivo d’appello è stata infine riproposta la censura di disparità di trattamento rispetto a situazioni di occupazioni analoghe assentite sulla stessa via.

4. Ad avviso della Sezione le censure contenute nei primi due motivi d’appello sono fondate ed hanno carattere assorbente.

5. Innanzitutto, come deducono le appellanti nel secondo motivo, i primi giudici hanno esorbitato dai limiti di applicazione della c.d. “sanatoria processuale” prevista dal citato art. 21-octies, comma 2, l. n. 241 del 1990.

Tale disposizione, nel prevede nella prima ipotesi (che qui viene in rilievo) che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, si riferisce ad atti rispetto ai quali violazioni di ordine procedimentale o formale non hanno inficiato la decisione finale (“il suo contenuto dispositivo”), quando nel conseguente giudizio di impugnazione ciò emerga in modo chiaro, anche in ragione dell’assenza di margini di discrezionalità in capo all’amministrazione.

Come al riguardo affermato da questo Consiglio di Stato, la disposizione in esame ha inteso dequotare violazioni meramente formali occorse in sede procedimentale, ogniqualvolta l’interessato non possa ritenersi leso dalla determinazione adottata all’esito della stessa (Cons. Stato, Sez. IV, 7 luglio 2014, n. 3417, 4 marzo 2014, n. 1018; Sez. V, 20 agosto 2013, n. 4194).

6. A questa possibilità di sanare vizi non invalidanti è tuttavia stato posto un limite con riguardo alla motivazione del provvedimento.

E’ stato infatti affermato che la motivazione “costituisce l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata, e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio”, cosicché essa è insuscettibile di sanatoria in sede processuale mediante l’istituto previsto dal citato art. 21-octies, comma 2, della legge generale sul procedimento amministrativo (Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 2015, n. 33; sez. III, 30 aprile 2014, n. 2247).

7. In applicazione di tale principio, occorre attenersi alla motivazione addotta nel provvedimento di diniego di cui si discute, la quale si fonda su un presupposto – l’occupazione del marciapiede in misura eccedente quella di legge consentita – accertato come insussistente dallo stesso giudice di primo grado, sulla base del fatto che l’occupazione richiesta dalla sig.ra Ga. è prevista al di sotto del marciapiede, sul piano stradale, con statuizione non appellata in via incidentale da Roma Capitale.

8. Né, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, può sostenersi che le ragioni ostative al rilascio del titolo emergessero in modo chiaro dagli atti dell’istruttoria e che rispetto ad esse il diniego di occupazione si ponesse come conseguenza vincolata.

9. Infatti, per quanto riguarda in primo luogo l’occupazione della corsia d’emergenza, è facile osservare che il sopralluogo dei vigili urbani del 19 febbraio 2003 accerta esattamente il contrario rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, attraverso l’apposizione di un crocesegno e della dicitura per cui il transito dei mezzi di emergenza “viene assicurato”.

10. Quanto al fatto che l’area interessata dall’occupazione è destinata alla sosta dei motocicli, le deduzioni delle appellanti si fondano sulla previsione recata dall’art. 4-quater, comma 2, del citato regolamento comunale sulle occupazioni di suolo pubblico, di cui alla delibera consiliare n. 119 del 30 maggio 2005, a mente della quale queste ultime sono ammesse purché non ricadenti in zone di sosta tariffata, tale non risultando quella oggetto di controversia nel presente giudizio, alla luce della documentazione fotografica prodotta.

Pertanto, sotto questo profilo non può prescindersi da una valutazione in concreto dell’amministrazione e non può ritenersi che essa sia surrogabile dal giudice amministrativo.

11. In ragione di quanto finora osservato, deve escludersi che il diniego di occupazione costituisse provvedimento vincolato con motivazione integrabile mediante gli atti della prodromica istruttoria.

12. Deve ancora darsi atto che le appellanti censurano l’ulteriore punto della sentenza di primo grado laddove la motivazione del diniego è stata integrata anche sulla base della nota della polizia municipale di Roma Capitale del 12 marzo 2013, prot. 4202, in cui si enuclea un ulteriore motivo ostativo al rilascio della concessione, consistente nella sua distanza inferiore a quella minima di 20 metri dalla più vicina stazione della metropolitana, in violazione delle ordinanze prefettizie nn. 618 e 38549 del 2005 “con le quali è stato disposto che le uscite delle stazioni delle metropolitane siano tenute sgombre dai banchi di vendita degli ambulanti, arretrando tali posizioni di circa mt. 20”.

Anche tale motivo è fondato, dal momento che l’integrazione della motivazione è stata addirittura ricavata da un atto successivo di ben 10 anni rispetto al provvedimento impugnato, avente lo scopo di relazionare l’avvocatura capitolina in ordine al contenzioso già in atto ai fini della predisposizione delle relative difese.

13. Peraltro, questa circostanza è specificamente contestata dalle odierne appellanti, le quali affermano che la loro occupazione di suolo pubblico rispetterebbe tale distanza minima di sicurezza.

Anche sotto questo profilo, quindi, l’esistenza di margini di apprezzamento fattuale dell’istanza di concessione induce ad escludere che il diniego impugnato possa essere qualificato come provvedimento vincolato.

14. Da ultimo, nelle proprie difese Roma Capitale sottolinea che il rilascio di concessioni di uso di beni pubblici è soggetto alle valutazioni discrezionali dell’amministrazione.

Sennonché non può sottacersi che nel caso di specie questa doverosa valutazione – che smentisce ulteriormente l’assunto del tribunale circa la natura vincolata del diniego – è stata espressa attraverso una motivazione fondata su presupposti accertati come insussistenti ed è stata impropriamente integrata in giudizio attraverso atti inidonei a tal fine.

15. L’appello deve quindi essere accolto ed in riforma della sentenza di primo grado deve essere accolto il ricorso colà proposto, con conseguente annullamento degli atti con esso impugnati.

Resta in ogni salvo il riesercizio da parte dell’amministrazione del potere di provvedere doverosamente con puntuale istruttoria e adeguata motivazione.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso colà proposto ed annulla gli atti con esso impugnati, con salvezza del riesercizio del potere amministrativo.

Condanna Roma Capitale a rifondere alle appellanti le spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in € 4.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camera di consiglio dei giorni 2 marzo 2017 e 7 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli – Presidente

Roberto Giovagnoli – Consigliere

Claudio Contessa – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio – Consigliere

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