Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 26 agosto 2015, n. 3988

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7608 del 2014, proposto da:

Comune di Empoli, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Ri.Fa., con domicilio eletto presso Da.Pa. in Roma, piazza (…);

contro

Co.Co. ed altri (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Toscana – Firenze: Sezione I n. 01049/2014, resa tra le parti, concernente restituzione aree occupate o in alternativa adozione provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art. 42 bis t.u. espropriazioni;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Co.Co. ed altri (…);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2015 il Cons. Sandro Aureli e uditi per le parti gli avvocati Fa. e Bi.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L’appello rivolto dal Comune di Empoli alla sentenza del T.a.r. della Toscana in epigrafe, riguarda l’azione proposta dai signori Co.Co. ed altri (…), quali proprietari di alcuni immobili situati nel Comune di Empoli, occupati da molti anni da una scuola elementare (foglio di mappa n. 15, particelle 1124 e 1060) e da strade d’uso pubblico, costituite da una porzione di via (…).

Tali beni sono catastalmente intestati, per quanto riguarda le particelle 1124 e 162, a Co. ed altri (…), e, per quanto concerne le particelle 4089 e 4090, ai predetti signori e a Ri.Pe. e Gi.Fr..

Da una relazione del Comune di Empoli relativa al procedimento che portò alla realizzazione della suddetta scuola elementare (situata nella particella 1124, generata dal frazionamento della particella 1060) risulta che il progetto della scuola e la relativa dichiarazione di pubblica utilità furono approvati con deliberazione consiliare n. 26 del 19.1.1979, alla quale sono seguiti il decreto di occupazione d’urgenza n. 156 del 13.3.1979 e la redazione dello stato di consistenza in data 21.4.1979, ma non del decreto di espropriazione.

Poiché a seguito di ciò i ricorrenti hanno chiesto al Comune di valutare l’adozione del provvedimento di acquisizione, ex art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, dei beni in questione, occupati dalla scuola e dalle strade, con conseguente corresponsione dell’indennizzo e del risarcimento previsti da detta norma, l’Ente, rendendo improcedibile il ricorso per silenzio inadempimento nel frattempo proposto dai ricorrenti, ha replicato con nota dell’11.9.2013 del Responsabile del Servizio e del Dirigente del Settore.

Ivi, è stato riferito che era agli atti del Comune la dichiarazione di accettazione dell’indennità di esproprio e la delibera di acquisizione in via bonaria dei terreni occupati dalla scuola; per quanto riguarda le aree su cui ricade la viabilità, con la predetta nota si è evidenziato, in un caso che si tratta di strada privata di uso pubblico (realizzata nell’ambito di lottizzazione privata e risultante da collaudo sottoscritto dalla ditta Barbieri e Noccioli in data 17.8.1964 e da altro collaudo del 7.12.1976, i quali la qualificano come privata di uso pubblico), e nell’altro caso, (parte di via (…)) di strada di lottizzazione realizzata da Ca.An. in forza dell’autorizzazione del 4.12.1971 e menzionata nella convenzione tra la ditta Pe. e Co. da un lato e il signor Ca.Gi. ed il Bo. dall’altro (convenzione nella quale è pattuito che “la ditta Co. e Pe. cede i terreni da destinare a sede stradale”).

Ciò riferito, con la predetta nota, il Comune, ha ritenuto non applicabile l’invocato art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001.

Il giudizio che è seguito alla predetta nota del 11.09.2013, è stato definito con la sentenza in epigrafe, nella quale emergono le conseguenti valutazioni, avuto riguardo alle censure proposte ed alle conseguenti controdeduzioni del Comune intimato.

In rito, il primo giudice, in particolare, ha respinto l’eccezione del Comune d’inammissibilità della richiesta di condanna a provvedere ai sensi dell’art. 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, ovvero quella di emanare il provvedimento ivi previsto, avendo i ricorrenti con la loro domanda in realtà lasciato impregiudicata la scelta discrezionale del Comune, tra acquisizione al patrimonio pubblico dell’area non ritualmente espropriata, con pagamento dell’indennizzo, e restituzione del bene, e ciò in conformità con il citato art. 42 bis del quale quindi erroneamente l’Ente ha lamentato la violazione.

Entrando nel merito della controversia, il primo giudice ha esaminato la situazione relativa ai terreni occupati dalle strade (particelle 4089, 4090 e 162) sottolineando che essa è diversa da quella delle superfici interessate dalla scuola e dalle relative pertinenze (particella 1124).

La realizzazione di quest’ultima risulta essere stata preceduta dalla dichiarazione di pubblica utilità (implicita nell’approvazione del progetto, ex art. 1 della legge n. 1/1978) di cui alla delibera consiliare n. 26 del 19.1.1979, dal decreto di occupazione d’urgenza del 13.3.1979, dal verbale di presa di possesso e dalla redazione dello stato di consistenza del 21.4.1979, dalla liquidazione in data 4.2.1980, da parte del Presidente della giunta regionale, dell’indennità provvisoria di esproprio, dalla dichiarazione di accettazione, sottoscritta da Co.Ri. e Pe.Li. in data 15.5.1980, e della predetta indennità, incrementata del 50 per cento per la cessione volontaria; dalla deliberazione n. 331 del 13.3.1981, con cui la Giunta comunale ha disposto l’acquisizione della particella 1124 (già particella 1060) intestata ai signori Corradini e Peruzzi.

Ha però precisato il primo giudice che tuttavia “il procedimento avviato non risulta concluso né con il decreto di espropriazione, né con la stipulazione del contratto di cessione bonaria”; entrambi alternativamente, necessari non potendo essi ritenersi sostituiti né dall’intervenuto accordo amichevole, né dalla riscossione ed sottoscrizione dell’accettazione dell’indennità provvisoria di esproprio.

L’opera pubblica (scuola) è stata quindi realizzata su terreno che è da considerare tuttora privato.

Quanto all’iniziativa del Comune che il primo giudice ha qualificato come “eccezione riconvenzionale di usucapione”, è stata disconosciuta la presenza delle condizioni per giungere al suo accoglimento.

Tanto, sia per l’inizio del possesso ad usucapionem dal 22.08.1983, corrispondente al termine dell’occupazione legittima; sia per aver i danti causa dei ricorrenti, con ciò considerandosi domini e non semplici detentori (Cassa. II, 12.04.2002, n.5226), assolto all’obbligo di corrispondere l’I.C.I. sui terreni in questione a decorrere dal 1993 e sino al 2005, ed avendo i ricorrenti continuato ad assolvere all’obbligazione tributaria anzidetta negli anni successivi.

Il tutto a fronte del fatto che il Comune non ha confutato tali adempimenti, alla luce del quale deve essere esclusa interversione della detenzione in possesso.

Escluso tra le parti che quanto alle aree dei ricorrenti su cui è stata realizzata la viabilità, potesse trovare applicazione l’art.42 bis del d.p.r. n.327/2001, tale norma, in alternativa alla restituzione delle aree occupate, previo rimessa in pristino, come da richiesta dei ricorrenti, è stata ritenuta quindi applicabile con tutte le sue conseguenze dal primo giudice rappresentate, in forza di quanto emerso nel giudizio e sopra sintetizzato, limitatamente alla particella 1124 del foglio di mappa n.15, sulla quale è stata realizzata la scuola.

Conclusione quest’ultima che il Comune di Empoli con il gravame all’esame ha contestato assumendo;

la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; b) la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c,p.c.; c) l’inversione dell’onere della prova; d) la violazione e falsa applicazione art. 1158 c.c.;e) la violazione e falsa applicazione art. 1165 c.c.; la violazione e falsa applicazione art. 2943 c.c..

Ciò in quanto il primo giudice da un lato ha erroneamente affermato il fatto che i danti causa degli appellati abbiano corrisposto I.C.I. (oggi IMU) dal 1993 per il terreno su cui è sorta la scuola situato in via De Sanctis 17, ed attribuito rilevanza giuridica alla mancata contestazione di tale adempimento da parte del Comune; e dall’altro ha attribuito al mero pagamento dell’I.C.I. addirittura un’efficacia interruttiva dell’usucapione, che esso nella fattispecie non ha, ignorando anche che il possesso dell’area il Comune lo ha esercitato per oltre un ventennio con il consenso all’inizio esplicito con l’accettazione dell’indennità provvisoria e successivamente implicito per assenza di ogni contestazione al riguardo.

Entrambe le parti hanno presentato memoria con le quali hanno approfondito le rispettive posizioni.

All’udienza del 26 maggio 2015 il ricorso in epigrafe è stato trattenuto in decisione

L’appello è infondato e va respinto.

Il Comune appellante, osserva preliminarmente la Sezione, ha indubbiamente introdotto in giudizio la circostanza della intervenuta usucapione nella forma della c.d. eccezione di tipo riconvenzionale, al solo fine quindi di paralizzare la domanda restitutoria e risarcitoria ex adverso proposta, e dunque nell’implicito presupposto della estraneità della domanda riconvenzionale alla giurisdizione pur esclusiva del g.a., senza chiedere quindi alcun accertamento pieno dell’acquisto a titolo originario dell’area in questione ai sensi dell’art. 1158 Cod. civ.: ne consegue la giurisdizione del GA. ai sensi dell’art. 8 Cod. proc. amm. sull'”eccezione riconvenzionale” di usucapione formulata dal Comune in primo grado e reiterata in appello.

Occorre inoltre precisare che il Comune appellante non contesta neppure in questa sede che il pagamento dell’I.C.I. prima e dell’I.M.U., poi, abbia in astratto efficacia interruttiva del possesso ad usucapionem, nella specie iniziato, secondo il giudice di primo grado, a far data dal 22 .08.1983, termine dal quale nella specie, l’occupazione ad usucapionem dell’area di parte appellata destinata a scuola avrebbe potuto protrarsi.

Contesta però il Comune appellante che non c’è prova che tale tributo sia stato versato per la particella interessata dalla scuola (n.1124 del mappale n.15) nel ventennio di durata del possesso ad usucapionem; nè da parte dei danti causa dei ricorrenti, né da parte di quest’ultimi, a partire dall’introduzione del tributo nell’anno 1993.

Al riguardo il Comune appellante contesta, in particolare, che la prova dell’avvenuto pagamento del tributo in parola possa essere ricavata dalla documentazione che i ricorrenti hanno prodotto tanto in primo grado che in appello.

Sulla premessa che questi ultimi ed i loro danti causa sono proprietari di numerosi immobili, sul punto in contestazione occorre chiarire, ad avviso della Sezione, che non viene contestato in giudizio che i pagamenti del tributo in parola effettuati dai ricorrenti e dai loro danti causa nel ventennio rilevante sono stati eseguiti secondo le prescrizioni che tali adempimenti imponevano, ovvero, senza che occorresse e senza che occorra ancora oggi, che vengano specificati i dati catastali relativi all’immobile, avendo l’interessato la facoltà di indicare nell’apposito bollettino di pagamento la somma complessivamente dovuta, il numero complessivo degli immobili a cui questa si riferisce, essendogli imposto soltanto di indicare se trattasi di aree (agricole o edificabili) o abitazioni (principale, seconde case, o pertinenze).

Tanto nella considerazione che le disposizioni in tema di versamento del tributo in parola pongono a carico soltanto dell’Amministrazione (statale prima e comunale poi,) l’onere di scorporare detta somma complessiva, imputandola sulla base dei dati catastali incrociati con quelli dei registri immobiliari, relativi ai singoli beni, intestati ai soggetti che hanno effettuato il pagamento, potendo in tal modo verificare se vi sia stato corretto ed integrale assolvimento del relativo obbligo.

A fronte dell’esposto quadro normativo di riferimento, è allora consentito aggiungere che attraverso la documentazione prodotta in giudizio (segnatamente quella ottenuta dallo stesso Comune appellante con l’accesso agli atti) i ricorrenti hanno quanto meno fornito un principio di prova d’aver corrisposto dal 1993 (anno della sua introduzione) il tributo in parola anche sulla particella n1124 del foglio di mappa n.15 sulla quale è stata irritualmente realizzata la scuola, interrompendo per tal via il possesso ad usucapionem del Comune di Empoli.

Su quest’ultimo, semmai, per quanto esposto, deve ricadere l’onere della prova del contrario a supporto della proposta eccezione riconvenzionale.

In assenza di tale prova la sentenza di primo grado non può che essere quindi confermata.

La Sezione, peraltro, fermo quanto sopra ritenuto, intende cogliere l’occasione del presente giudizio per ribadire il proprio orientamento in tema di usucapione in favore dell’Amministrazione delle aree illegittimamente espropriate ed irreversibilmente trasformate dalla realizzazione dell’opera pubblica, che si risolve nei fatti nella neutralizzazione dell’azione restitutoria e/o risarcitoria del proprietario, impedendo anche, addirittura, trattandosi di acquisto a titolo originario, che quest’ultimo possa chiedere l’applicazione dell’art.42 bis del d.p.r. 327/2001, norma la cui costituzionalità è stata riconosciuta dal giudice delle leggi con la recentissima sentenza n.71/2015.

La Sezione non esita a ritenere che il riconoscimento dell’usucapione per effetto dell’occupazione illegittima scaturita da una procedura espropriativa non conclusasi ritualmente (con la cessione bonaria ovvero con il decreto di esproprio) rappresenta ciò che è stato definito un esercizio di “equilibrismo interpretativo” dal quale debbono essere prese le distanze.

Ritiene la Sezione a tal riguardo di ribadire (v. Sent. IV n.3346/2014) che è assai discutibile la usucapibilità di beni illecitamente occupati dall’Amministrazione.

Lo impediscono invero plurime ragioni.

La prima delle quali fa capo all’orientamento secondo il quale “In tema di tutela possessoria, ricorre spoglio violento anche in ipotesi di privazione dell’altrui possesso mediante alterazione dello stato di fatto in cui si trovi il possessore, eseguita contro la volontà, sia pure soltanto presunta, di quest’ultimo, sussistendo la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, e senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca, e non interpretabile come espressione di acquiescenza. alla luce dell’ampia nozione di violenza del possesso elaborata dalla giurisprudenza (ex multis Cass. civ., Sez. II, 7 dicembre 2012 n. 22174).

Cosi escludendosi che la detenzione possa essere mutata in possesso.

La seconda pone in relazione l’asserita usucapibilità con la sua incompatibilità al cospetto dell’art. 1 del Protocollo Addizionale della CEDU e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la cui costante giurisprudenza (Sez. II, 30 maggio 2000, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta c. Italia, n. 14793/02), ha più volte affermato, la non conformità alla Convenzione (in particolare, al citato Protocollo addizionale n. 1) che ha valore di “norma costituzionale interposta”, dell’istituto della cosiddetta “espropriazione indiretta o larvata” e quindi di alternative all’acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal decreto di espropriazione, ovvero dal contratto tra le parti.

Non consente quindi la C.E.D.U. che l’apprensione materiale del bene da parte dell’Amministrazione possa considerarsi legittima al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante (art. 42 bis D.P.R. n. 327 del 2001).

Né può essere omesso di aggiungere, infine, che l’interruzione dell’usucapione può avvenire oltre che con la perdita materiale del possesso soltanto con la proposizione di apposita domanda giudiziale, cosicché quantomeno sino all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, qualificandosi antecedentemente l’occupazione acquisitiva come “fattispecie ablatoria”, era preclusa da parte del destinatario dell’occupazione preordinata all’esproprio, l’azione di restitutio in integrum, onde, trovando necessariamente applicazione l’art. 2935 Cod. civ., il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi, come sostenuto anche da parte appellata, a partire dall’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327.

Alla luce di quanto finora rilevato l’appello deve essere quindi respinto, con la conseguente conferma integrale della sentenza di primo grado e con essa dell’alternativa di cui l’Amministrazione dispone tra restituzione delle aree occupate dalla scuola, previa riduzione in pristino stato, e obbligo di disporne l’acquisizione sanante ex art.42-bis del d.p.r. n.327 del 2001.

La complessità della controversia permette che le spese del giudizio vengano compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio – Presidente

Nicola Russo – Consigliere

Sandro Aureli – Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Depositata in Segreteria il 26 agosto 2015.

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