Consiglio di Stato
sezione V
sentenza 21 luglio 2015, n. 3594
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUINTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9183 del 2014, proposto da:
Regione Campania, rappresentata e difesa dall’avv. An.Ma., con domicilio eletto presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione Campania in Roma, via (…);
contro
Co. Spa, rappresentata e difesa dall’avv. Sa.Ra., con domicilio eletto presso l’avv. Mi.Sa. in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE III n. 04759/2014, resa tra le parti, concernente il diniego di revisione dei prezzi in relazione al servizio di manutenzione acquedotto ex Casmez.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Co. Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 maggio 2015 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti l’avv. Sa.Ra.;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sez. III, con la sentenza 8 settembre 2014, n. 4759, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellata Co. S.p.A., dichiarando il suo diritto alla corresponsione delle revisioni prezzi spettanti per la manodopera sul contratto d’appalto per i servizi indicati, maggiorati degli interessi di mora, ai sensi del decreto legislativo n. 231-2002, dal giorno del dovuto sino all’effettivo soddisfo, condannando la Regione Campania a corrisponderne le relative somme.
Il TAR ha rilevato sinteticamente che:
– l’art. 6, comma 4, L. n. 537-1993, applicabile ratione temporis all’appalto in esame, stabilisce che tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo;
– l’appartenenza dell’appalto ai settori esclusi non lo sottrae alla regola della revisione dei prezzi, posto che la formulazione dell’art. 6, comma 4, L. n. 537-1993, peraltro contenuta in una legge finanziaria, si riferisce indistintamente a “tutti i contratti della pubblica amministrazione”;
– tale norma ha natura imperativa e, pertanto, l’art. 7 del capitolato d’oneri dell’appalto, che dispone il criterio di invariabilità dei prezzi, è nullo e deve essere disapplicato;
– la giurisprudenza amministrativa aveva già affermato la valenza di norma imperativa dell’art. 6, comma 4, L. n. 537-1993, così come della norma che l’ha sostituita, contenuta nell’art. 115 d.lgs. n. 163-2006;
– la revisione del prezzo scatta anche nel corso dell’ordinaria durata del contratto, laddove se ne verifichino i presupposti, ossia le modifiche nei costi per l’erogazione dei beni o dei servizi;
– poiché la disciplina legale, nella parte in cui prevede l’elaborazione da parte dell’ISTAT di particolari indici concernenti il miglior prezzo di mercato desunto dal complesso delle aggiudicazioni di appalti di beni e servizi, non è mai stata attuata, la lacuna può e deve essere colmata mediante il ricorso all’indice FOI;
– l’utilizzo di quest’ultimo parametro non esonera la stazione appaltante dal dovere di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale;
– data la natura di debito di valuta propria del compenso revisionale, lo stesso è soggetto alla corresponsione di interessi per ritardato pagamento, ricadendo la fattispecie oggetto del presente giudizio nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231;
– la Regione Campania, pertanto, deve essere condannata al pagamento del compenso revisionale relativamente al contratto conseguente all’affidamento del servizio biennale “Servizi di manutenzione ordinaria, conduzione, presidio e regolazione del complesso acquedottistico ex Casmez, denominato: Cernicchiara”, come sopra determinato, dal giorno del dovuto sino all’effettivo soddisfo, maggiorato degli interessi di mora, ai sensi del d.lgs. n. 231-2002, con decorrenza di tali interessi di mora ex art. 4, comma 2, del suddetto d.lgs.;
– non ha invece fondamento la richiesta di risarcimento del danno.
La Regione appellante contestava la sentenza del TAR, deducendo, sotto quattro diversi profili, la violazione del r.d. n. 2440-1923, della legge n. 537-1993, del d.lgs. n. 158-1995 e del d.lgs. n. 163-2006; la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1339 c.c.; la carenza dei presupposti in fatto e diritto della pretesa; l’illogicità della motivazione; il travisamento e l’error in iudicando.
Con l’appello in esame, si chiedeva la reiezione del ricorso di primo grado.
Si costituiva il controinteressato Co. S.p.A., chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica del 12 maggio 2015 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio rileva, in primo luogo, che il contratto d’appalto in esame è stato stipulato sotto la vigenza della L. n. 537-93 il cui art. 6 comma 4, prevedeva che “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6”.
La disposizione normativa, poi ripresa in maniera pressoché identica dall’art. 115 d.lgs. n. 163-2006, è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa quale norma imperativa che, come tale, è destinata ad operare anche in assenza di specifica previsione tra le parti ovvero in presenza di previsioni contrastanti (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22 ottobre 2012, n. 5395).
In particolare, la giurisprudenza della Sezione, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, ha già avuto modo di precisare che il predetto art. 6 della L. n. 537-93 detta una disciplina speciale circa il riconoscimento della revisione dei prezzi nei contratti stipulati dalla P.A.
Poiché questa è una previsione che prevale su quella generale di cui all’art. 1664 c.c., attribuendo direttamente alle imprese il diritto alla revisione dei prezzi, essa ha natura imperativa e si impone, come contenuto integrativo ope legis, nelle pattuizioni private, modificando e sostituendo la volontà delle parti contrastante con la stessa, attraverso il meccanismo introdotto dall’art. 1339 c.c.
La sua finalità primaria, infatti, è quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non possano col tempo subire una diminuzione qualitativa a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte.
Ne consegue che le disposizioni negoziali contrastanti con tale disposizione legislativa non solo sono colpite dalla nullità ex art. 1419 cc, ma sostituite de iure, ex art. 1339 c.c., dalla disciplina imperativa di legge (cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. V, 28 agosto 2008, n. 3994 e 9 giugno 2008, n. 2786).
Ciò posto, si deve fin d’ora rilevare che la clausola di cui all’art. 7 del capitolato d’oneri per cui è causa si appalesa contra legem, con sua conseguente nullità e con la sua sostituzione de iure, ex art. 1339 c.c., con la disciplina imperativa prevista dalla legge.
2. Passando quindi all’esame nel merito dell’appello, si deve premettere che si può prescindere dall’esame circa l’ammissibilità di alcuni dei motivi, così come eccepita dalla Co. S.p.A., stante la loro evidente infondatezza
Il primo ed il secondo motivo d’appello sono infondati poiché il vincolo contrattuale tra le parti in causa si è validamente ed efficacemente formato posto che l’aggiudicazione definitiva, nel regime anteriore all’entrata in vigore dell’attuale art. 11 d.lgs. n. 163-2006, è per legge (ex art. 16 R.D. n. 2440-1923) equivalente, ad ogni effetto, al contratto, a nulla rilevando che le parti non abbiano provveduto alla ulteriore mera formalità della stipulazione, avente natura riproduttiva (cfr. Cass. 4 marzo 2011, n. 5217).
Inoltre, deve osservarsi che in base all’attuale art. 253 del codice degli appalti, che dispone che l’applicabilità delle norme del codice riguarda soltanto le gare i cui bandi siano stati pubblicati dopo l’entrata in vigore del codice, non è possibile applicare il predetto art. 11 d.lgs. n. 163-2006.
Peraltro, il termine per l’esecuzione del contratto è iniziato a decorrere dal 27.7.2007; il rapporto contrattuale è stato prorogato per anni e la P.A. ne ha tratto vantaggio e ne ha espressamente riconosciuto l’utilità.
Inoltre, non vi è dubbio che i pagamenti effettuati dalla Regione Campania non abbiano tenuto conto, rispetto ai prezzi indicati nel capitolato d’oneri e nell’indice prezzi dell’aumento del costo della manodopera sostenuto dall’appellata.
Pertanto, in virtù del citato art. 1339 c.c., la disciplina di cui all’art. 6 della L. n. 537-93 integra la disciplina pattizia anche in sostituzione di quella difforme, come è accaduto nella specie.
Né può ritenersi che il predetto art. 7 del capitolato d’oneri, in quanto illegittimo per contrasto con una norma imperativa, avrebbe dovuto essere impugnato nei termini, posto che il capitolato d’oneri, nel caso in esame, ha l’effetto di un regolamento negoziale predisposto unilateralmente dall’Amministrazione e non di atto amministrativo generale (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275), con la conseguente pacifica applicazione delle norme civilistiche richiamate (artt. 1339 e 1419 c.c.).
Infatti, i provvedimenti amministrativi relativi alla disciplina di gara si limitano a regolare il procedimento di selezione del contraente e non contengono, come tali, alcuna disposizione precettiva in ordine alla misura dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto che sarà stipulato all’esito della procedura.
Il meccanismo dell’eterointegrazione precettiva, peraltro, ha origine e trova la sua collocazione sistematica e il suo terreno d’elezione nel diritto privato che contempla, accanto alla volontà delle parti come fonte principale dell’autonomia contrattuale, le cc.dd. fonti eteronome da individuarsi, secondo la definizione dell’art. 1374 c.c., nella legge o, in mancanza, negli usi e nell’equità; di conseguenza, l’autonomia privata, pur assumendo un ruolo centrale e propulsivo, non è fonte esclusiva e assoluta del regolamento negoziale, essendo anch’essa soggetta ai limiti previsti dalla legge e dalle altre fonti del diritto privato, sicché il suddetto regolamento negoziale è costituito e integrato anche dalle regole cogenti, esterne alla volontà dei contraenti ed eventualmente da questa difformi, dettate dalla legge o dalle altre fonti che, ove abbiano natura imperativa, sono capaci di imporsi alla volontà dei contraenti e di costituire parte del regolamento negoziale, anche sostituendosi alla diversa regolamentazione voluta dalle parti.
Anche il terzo motivo d’appello è infondato, condividendosi pienamente sul punto quanto considerato dal TAR, ovvero che in mancanza di diversa espressa previsione contenuta nel d.lgs. n. 158-1995, la l. n. 537-1993 trova applicazione anche nell’ambito dei settori cd. speciali (ex settori esclusi ex d.lgs. n. 158-1995), a nulla rilevando quanto previsto attualmente nel vigente codice degli appalti che non disciplina il rapporto che ci occupa per le ragioni già indicate (art. 253 d.lgs. n. 163-2006).
Ciò a prescindere dalla circostanza che l’appalto per cui è causa non rientra nei settori esclusi, avendo ad oggetto la manutenzione ordinaria delle apparecchiature elettromeccaniche, conduzione, presidio; il controllo e la sorveglianza itinerante del sistema idrico connesso al complesso e i lavori di manutenzione alle opere civili, attività che nulla hanno a che vedere con il settore “acqua” e con quanto disposto dall’art. 3 del d.lgs. n. 158-1995.
Il quarto motivo d’appello, non dedotto in via subordinata, contraddice quanto dedotto con il terzo motivo d’appello, ed è, come tale, inammissibile, posto che detto terzo motivo d’appello inquadrava l’appalto nei settori cd. esclusi ed in particolare in quelli di “servizi” di cui all’allegato XVI-A della legge n.158-1995, dovendosi escludere che l’oggetto dell’appalto prevedesse lo svolgimento di “lavori” di cui all’allegato XI della legge n. 158-1995.
In ogni caso, dalla descrizione dell’oggetto dell’appalto, come sopra riportata, si rende evidente come l’appalto in questione abbia certamente ad oggetto servizi e non lavori.
3. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la Regione appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, spese che liquida in euro 3000,00, oltre accessori di legge, in favore dell’appellata Co. S.p.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello – Presidente
Vito Poli – Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti – Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi – Consigliere
Nicola Gaviano – Consigliere
Depositata in Segreteria il 21 luglio 2015.
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