Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 1 ottobre 2015, n. 4596

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9935 del 2009, proposto dalla s.r.l. Pr., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato Ar.Mo., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

contro

La Provincia di Udine, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Ar.Be., con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via (…);

nei confronti di

La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Da.Iu. e Mi.De., domiciliato in Roma, (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Friuli-Venezia Giulian. 378/2009, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dela Provincia di Udine e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Ar.Mo. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

1. La s.r.l. Pr. proponeva ricorso dinanzi al TAR Friuli Venezia – Giulia, al fine di ottenere l’annullamento: a) della determina dirigenziale dd. 17 settembre 2008, che prevede la chiusura della discarica in località Premariacco; b) del D.P.G.R. dd. 11 agosto 2005, concernente le garanzie finanziarie per le discariche; c) della delibera della Giunta Provinciale dd. 21 luglio 2008, avente ad oggetto i criteri per il procedimento di chiusura e ripristino delle discariche presenti sul territorio provinciale non conformi ai criteri tecnici e ambientali definiti dalle nonne vigenti in materia di discariche.

L’appellante gestiva una discarica di 2° categoria, tipo B, in censuario di Premariacco – con autorizzazione rilasciata nel 1991 – alla quale venivano conferiti rifiuti sino al 31 luglio 2003.

In data 26 settembre 2003, la società aveva presentato il Piano di Adeguamento ex art. 17 del D.Lg. 36 del 2003.

Successivamente, in data 4 agosto 2005, la s.r.l. Pr. aveva chiesto che l’iter di valutazione dello stesso venisse sospeso essendo emersi motivi ostativi al suo accoglimento. L’1.8.08 la Provincia aveva comunicato l’avvio del procedimento di chiusura della discarica. In riscontro a questa comunicazione, la ricorrente aveva reso noto all’Ente di non ritenere la struttura soggetta al D.Lg. 36/03 (in specie per quanto riguarda l’adeguamento delle garanzie finanziarie), avendo la stessa cessato la propria attività in data 31.7.03.

2. Il primo giudice respingeva il ricorso proposto dall’odierna appellante, concludendo per l’infondatezza dei motivi dedotti a sostegno della sua pretesa. In particolare, secondo il TAR ciò che rileva, ai fini dell’applicabilità delle nuove regole introdotte dal D.Lg. 36/03, è la mera circostanza che la discarica fosse in attività al 27.3.03, data di entrata in vigore del decreto legislativo medesimo, con ciò che ne consegue in termini di obbligo di presentazione del piano di adeguamento e di effettuazione quantomeno della chiusura nel rispetto di tutte le nuove previsioni normative, nelle more della quale avrebbe potuto beneficiare di un ulteriore periodo di attività. Analoghe argomentazioni valgono, secondo il primo giudice, per le garanzie finanziarie.

Del pari non risulta corretta, secondo la sentenza impugnata, la conclusione dell’originaria ricorrente secondo la quale a causa del conflitto di interesse nel quale si sarebbe trovata l’amministrazione provinciale non sarebbe spettato a quest’ultima emettere il provvedimento impugnato, ma all’amministrazione regionale.

Al riguardo, il TAR notava, infatti, che la Provincia non può autorizzare discariche gestite da Società cui essa stessa partecipa (parole nella fattispecie discariche gestite da E. s.p.a., di cui la Provincia è socio di maggioranza e che, infatti, sono state autorizzate direttamente dalla Regione), ma possa ben può esercitare i suoi poteri nei confronti delle altre.

3. Propone appello l’originario ricorrente, censurando la sentenza di primo grado nella parte in cui afferma che il discrimine per l’applicazione delle nuove regole, introdotte dal D. Lgs 36/2003, è la mera circostanza che la discarica fosse in attività al 27/03/2003, data di entrata in vigore del Decreto legislativo medesimo e da tale elemento fa discendere la piena applicabilità alla discarica gestita dalla Pr. della disciplina contenuta nel D. Lgs 36/2003, dimenticando che lo stesso art. 17 dello stesso decreto legislativo, prevedrebbe che le discariche, già autorizzate alla data di entrata in vigore della novella, avrebbero potuto continuare a ricevere fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui erano state autorizzate, e che fino a tale data avrebbero potuto operare le pregresse autorizzazioni ricevute. Il medesimo decreto, poi, stabilirebbe che, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, il gestore della discarica avrebbe potuto presentare un piano di adeguamento della medesima sulla base delle preclusioni dettate dalla nuova normativa e che, infine, ( comma 5 ) la mancata approvazione sarebbe stata sanzionata con la chiusura delle discarica. Inoltre,l’art. 17, laddove impone i piani di adeguamento per tutte le strutture esistenti, si riferirebbe solo a quelle in piena attività, e di queste solo a quelle che avessero ottenuto l’autorizzazione alla prosecuzione dell’esercizio della discarica . Sarebbe, quindi, evidente che, nel caso in esame, essendo la discarica esaurita e non essendoci alcun motivo per autorizzare una gestione successiva, non avrebbero potuto essere imposte nuove garanzie finanziarie, non collegabili ai prezzi praticati durante l’attività.

Per il resto l’appellante si riporta integralmente ai motivi di ricorso di primo grado.

4. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione provinciale sostiene l’infondatezza dell’appello anche in ragione del precedente di questo Consiglio n. 1662/2014.

5. L’amministrazione regionale, dal canto suo, sostiene: a) l’inammissibilità dell’appello nella parte in cui si limita a richiamare i motivi di primo grado; b) la tardività dell’impugnazione del decreto del Presidente della Regione dell’11 agosto 2005, n. 266, se autonomamente lesivo; c) l’infondatezza del gravame in esame.

6. Nelle successive difese l’appellante evidenzia che il TAR Friuli con ordinanza n. 533/2014, avrebbe sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 5, comma 1, l.r. Friuli Venezia Giulia, n. 30/1987, sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale, n. 67/2014, che avrebbe escluso che la determinazione delle garanzie finanziarie possa avvenire con atto regionale regolamentare, sostenendo la rilevanza di tale quastione anche nell’odierno giudizio.

7. Il presente appello è in parte inammissibile ed in parte infondato.

7.1. L’onere di specificità dei motivi di appello, oggi previsto dall’art. 104 c.p.a., infatti, era già ampiamente affermato anche per il processo amministrativo dalla giurisprudenza di questo Consiglio prima della sua entrata in vigore. Così Cons. St., Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8966, ha affermato che: “Il requisito della specificità dei motivi di appello, prescritto dall’art. 342 Cod. proc. civ. applicabile anche al processo amministrativo, non si presta ad una definizione generale, astratta e assoluta, dovendo piuttosto essere correlato alla motivazione della sentenza impugnata, nel senso che la manifestazione volitiva dell’appellante deve essere formulata in modo da consentire di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le specifiche critiche indirizzate alla motivazione, e deve quindi contenere l’indicazione, sia pure in forma succinta, degli errori attribuiti alla sentenza censurata, i quali vanno correlati alla motivazione di questa ultima e quindi devono essere più o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificità nel caso concreto di quella motivazione”.

Facendo applicazione di tale principio, si deve rilevare che il primo giudice ha analizzato puntualmente tutti i motivi del ricorso di primo grado: pertanto, il presente appello nella parte in cui si limita a riportarsi ai suddetti motivi senza spiegare alcuna critica ai passaggi logico-giuridici della sentenza impugnata va dichiarato inammissibile.

7.2. Peraltro, l’infondatezza dell’unica critica espressa dall’appellante consente di prescindere dalle eccezioni proposte dalle amministrazione appellate.

Va, infatti, rilevato che la questione relativa all’applicazione temporale della disciplina contenuta nel d.lgs. 36/2003 è già stata vagliata da questa Sezione con la pronuncia n. 1662/2014, che ha ritenuto la disciplina de qua applicabile anche alle discariche già autorizzate precedentemente all’entrata in vigore della stessa.

Al riguardo, va rilevato, infatti, che l’art. 17, d.lgs. 36/2003, nel dettare disposizioni transitorie e finali, al comma 1, prevede che: “Le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono continuare a ricevere, fino al 31 dicembre 2006, i rifiuti per cui sono state autorizzate”, al comma 3, stabilisce che: “Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il titolare dell’autorizzazione di cui al comma 1 o, su sua delega, il gestore della discarica, presenta all’autorità competente un piano di adeguamento della discarica alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie di cui all’articolo 14” ed al comma 5, infine, conclude che: “In caso di mancata approvazione del piano di cui al comma 3, l’autorità competente prescrive modalità e tempi di chiusura della discarica, conformemente all’articolo 12, comma 1, lettera c) “.

Il legislatore ha chiaramente previsto – in capo ai titolari di discariche autorizzate alla data di entrata in vigore della novella, ossia al 27 marzo 2003 – un obbligo di presentazione di un piano di adeguamento, che contenga necessariamente le garanzie finanziarie.

Nella fattispecie è la stessa appellante che ammette (cfr. pag. 4 del presente appello) che la propria discarica rimaneva in attività sino al 31 luglio 2003 e che essa presentava il piano di adeguamento previsto dal citato art. 17 in data 26 settembre 2003.

La suddetta presentazione – lungi dall’essere espressione di una facoltà da parte dell’originaria ricorrente – va considerata dovuta sulla base della normativa sopra riportata, in quanto diretta espressione del principio di precauzione, teso ad evitare di riversare in capo alla collettività i costi ed i rischi della chiusura di un impianto non adeguabile.

Né può trarsi argomento dalla circostanza che vi sarebbe stato un breve periodo tra il momento di entrata in vigore della nuova normativa e quella di cessazione dell’attività, tale da non consentire il recupero dei costi per le garanzie finanziarie, poiché deve considerarsi a tal fine il più ampio periodo dell’intera validità dell’autorizzazione.

Inoltre, tale interpretazione risulta coerente anche con il comma 5, dell’art. 14 del d.lgs. n. 36/2003, secondo il quale: “Nel caso di impianti di discarica la cui coltivazione ha raggiunto, alla data di entrata in vigore del presente decreto, l’80% della capacità autorizzata, il massimale da garantire secondo i parametri previsti è ridotto nella misura del 40%.”.

Quest’ultima disposizione ha preso in considerazione gli interessi anche dei gestori delle discariche e modula l’ammontare delle garanzie finanziarie da prestare in ragione del livello di coltivazione residuo della discarica.

8. Quanto, infine, alla dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, l.r. Friuli Venezia Giulia, n. 30/1987, deve osservarsi che la stessa difetta di rilevanza, poiché non si collega all’unico motivo ammissibile contenuto nel presente appello, poiché riguarda il diverso aspetto dello strumento giuridico attraverso il quale stabilire i parametri per la quantificazione delle garanzie finanziarie, sicché esula dal thema decidendi, oggetto del presente giudizio.

8. L’appello deve, quindi, essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte deve essere respinto. Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 9935 del 2009, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile ed in parte lo respinge.

Condanna Pr. S.r.l. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, sia in favore della regione Sardegna che in favore della Provincia di Udine, per un totale di euro 4.000 (quattromila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Vito Poli – Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti – Consigliere

Nicola Gaviano – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 1 ottobre 2015.

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