Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 13 agosto 2018, n. 4938.
La massima estrapolata
L’informativa antimafia è una tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, essendo espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata.
Sentenza 13 agosto 2018, n. 4938
Data udienza 24 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6806 del 2012, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Sa. Ga., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. La. in Roma, via (…);
contro
Il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la risoluzione di un contratto d’appalto a seguito di una informativa antimafia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 luglio 2018 il Cons. Giovanni Pescatore e udito per la parte appellata l’Avvocato dello Stato Al. Pe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-del 2009, l’-OMISSIS- ha impugnato gli atti ed i provvedimenti confluiti nella informativa del 12 ottobre 2009, con la quale è stata dichiarata a suo carico la sussistenza di un rischio di condizionamento ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 252/1998 ed è stata disposta la sua esclusione da varie procedure di gara in corso presso altrettante Amministrazioni (Comuni di -OMISSIS-e -OMISSIS-e stazione unica appaltante di Reggio Calabria).
2. A seguito dell’accoglimento dell’istanza cautelare, disposto con l’ordinanza n. -OMISSIS-del 24 febbraio 2010, la Prefettura ha effettuato nuovi accertamenti, che hanno condotto all’emanazione di una seconda informazione antimafia datata 5 ottobre 2010, impugnata con motivi aggiunti in seno al medesimo giudizio.
3. Il Tar Reggio Calabria, con la sentenza qui appellata n. -OMISSIS-, ha dichiarato improcedibile il ricorso principale ed ha respinto nel merito il ricorso per motivi aggiunti, ravvisando la sussistenza di un quadro di elementi indiziari idoneo, nella sua complessità, a sorreggere l’informativa adottata a seguito della fase di riesame indotta dall’ordinanza cautelare.
4. Questi i fatti sintomatici ritenuti rilevanti.
4.1. Dai primi accertamenti (risultanti dalla informativa dei Carabinieri datata 16 settembre 2009 e dalla informativa della Questura datata 5 settembre 2009), è emerso che:
a) l’amministratore unico e socio dell’impresa ricorrente, -OMISSIS-, è figlio e fratello di altrettanti soggetti deceduti, aventi pregiudizi penali di rilievo;
b) egli è stato controllato mentre era in compagnia con soggetti controindicati.
4.2. Dai nuovi accertamenti disposti dalla Prefettura (risultanti dalla nota dell’Arma dei Carabinieri nr. -OMISSIS-del 5 ottobre 2010 e dalla nota della Prefettura nr. -OMISSIS-del 14 luglio 2011), sono inoltre emersi:
c) un contatto tra l’amministratore della impresa ricorrente ed una persona già sottoposta a diffida di pubblica sicurezza, arrestata per violazione della legge sugli stupefacenti e ritenuta affiliata a una cosca mafiosa operante nel territorio di riferimento (stando agli accertamenti delle Forze dell’Ordine, il soggetto sarebbe stato incontrato dall’imprenditore all’interno dell’abitazione del primo in data 18 dicembre 2009);
d) il coinvolgimento dell’impresa nel procedimento penale nr. -OMISSIS-, nel quale il ricorrente risulta rinviato a giudizio in concorso con numerosi imprenditori della provincia per i delitti di cui agli artt. 110-353, primo e secondo comma, c.p.;
e) i rapporti di servizio dell’Arma dei Carabinieri che forniscono il quadro delle circostanze nelle quali l’imprenditore è stato “notato o controllato” con soggetti controindicati;
f) una precedente informativa del 14 dicembre 2006, che è stata impugnata dal -OMISSIS-. senza successo, essendosi conclusa in senso a lui sfavorevole la fase cautelare, con l’ordinanza di reiezione del TAR nr. -OMISSIS-, confermata dal Consiglio di Stato con l’ordinanza nr. -OMISSIS-.
4.3. La sentenza del Tar n. -OMISSIS-del 2012, in questa sede appellata, ha rinvenuto il dato di maggiore rilievo ai fini della motivazione dell’informativa nel coinvolgimento dell’-OMISSIS- nel procedimento penale nr. -OMISSIS-, in quanto vicenda riferita a ipotesi di reato inerente l’asserita esistenza di un’associazione a delinquere, sia pure non di stampo mafioso, finalizzata al condizionamento degli appalti pubblici nella Provincia di Reggio Calabria.
4.4. Quanto agli altri elementi, il Tar ha valorizzato la natura delle “frequentazioni” del -OMISSIS-., in quanto plurime, reiterate nel tempo e, dunque, suscettibili (anche alla luce della pendenza del procedimento penale richiamato al punto precedente) di far ritenere una contiguità, non occasionale né episodica, dell’imprenditore ad ambienti malavitosi; nello stesso senso è stata valorizzata la circostanza che i contatti in questione fossero state registrati in contesti e con modalità di svolgimento che inducevano a ritenere plausibile una relazione di familiarità o di stretta vicinanza dei soggetti coinvolti.
5. L’appello della -OMISSIS-. è affidato ai seguenti motivi:
I) a dire della parte appellante, l’informazione positiva, in quanto misura a carattere necessariamente anticipatorio e servente, non può che configurarsi come provvedimento propedeutico all’attivazione di ulteriori misure di prevenzione di stampo penale, al cui regime probatorio e motivazionale la prima deve conseguentemente conformarsi.
Il confronto tra il procedimento e gli effetti dell’informazione antimafia, da una parte, ed il procedimento e le conseguenze della proposta di applicazione di una misura di prevenzione penale, dall’altra, renderebbe evidenti le paradossali asimmetrie che scaturirebbero da un’applicazione della prima che non ne riconoscesse il carattere anticipatorio e servente rispetto alla seconda, e che, pertanto, consentisse all’informativa antimafia di trasformarsi in un provvedimento amministrativo fondato su accertamenti di polizia, con effetti temporalmente indefiniti e potenzialmente espropriativi del diritto di libertà economica.
II) Sostiene inoltre l’appellante che il superamento della “soglia comunitaria” per i contratti, e dell’importo di Euro 150.000,00 per i subappalti, deve essere inteso come presupposto ineludibile per l’applicazione dell’art. 10 d.P.R. n. 252/1998.
Sarebbe quindi erroneo l’opposto orientamento espresso dal Consiglio di Stato con le sentenze nn. 240/2008 e 4533/2008, secondo il quale compete alle stazioni appaltanti la facoltà di subordinare al rilascio di informazioni negative la conclusione di contratti di importo anche inferiore alle soglie legali. A supporto di tale tesi, vengono richiamati diversi argomenti ermeneutici (in parte fatti propri dalle pronunce del Tar per la Calabria, Sezione di Reggio Calabria, nn. 483/2006, 69/2007 e 88/2007) che indurrebbero ad escludere la possibilità di estendere l’applicazione delle informazioni antimafia oltre i casi espressamente previsti.
In linea consequenziale la parte appellante evidenzia di essere stata destinataria di più informative interdittive, reiterate dal 2006 al 2010, riguardanti appalti inferiori alla soglia comunitaria, alle quali non ha mai fatto seguito la proposta di applicazione di qualsivoglia misura di prevenzione o di un altro tipo di provvedimento penale.
III) Con riguardo ai singoli elementi indiziari, la parte appellante evidenzia che:
– mancherebbe nella sentenza impugnata una pur minima motivazione in ordine alla ritenuta ‘caratura criminalè delle persone controindicate frequentate dal -OMISSIS-., oltre che al contesto e alle modalità che, facendo da cornice agli incontri, ne giustificherebbero la pregnanza indiziaria, facendoli ritenere non altrimenti giustificabili come ordinari rapporti di semplice conoscenza, conformi al costume sociale del territorio di interesse;
– analoga carenza motivazionale sarebbe riscontrabile con riguardo al coinvolgimento dell’impresa ricorrente nel procedimento penale -OMISSIS-: tale coinvolgimento trarrebbe spunto unicamente dal fatto che la -OMISSIS-, prendendo parte, insieme ad altre 32 imprese, ad una gara per lavori da eseguirsi a -OMISSIS-, aveva presentato una polizza fideiussoria sostitutiva della cauzione provvisoria, rilasciata dalla medesima società (It. Assicurazioni) alla quale si erano rivolte altre imprese: di qui il sospetto di un’unica regia di collegamento tra le ditte partecipanti alla gara. Per -OMISSIS-, tuttavia, l’elemento in questione non potrebbe avere il significato ipotizzato dall’accusa, poiché in passato l’impresa si era sempre rivolta alla medesima compagnia assicuratrice per accendere le polizze fideiussorie da presentare nelle pubbliche gare, e nel caso qui in esame non sono stati addotti elementi ulteriori a riprova della sussistenza di un collegamento con le altre ditte partecipanti, riferito alla specifica procedura di gara, tale da fornire conferma dei sospetti argomentati sulla base del predetto unico dato indiziario.
IV) E’ infine contestata come illegittima la declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado, in quanto la parte ricorrente conserverebbe un apprezzabile interesse all’annullamento anche della prima informativa del 12 ottobre 2009, i cui effetti persistono nel tempo e della quale la seconda informativa del 5 ottobre 2010 costituirebbe un mero aggiornamento.
6. La parte appellante ha precisato che l’interesse che sorregge l’impugnativa della sentenza di primo grado riguarda la sola istanza di annullamento delle informative antimafia e non anche delle conseguenti determine adottate dal Comune di -OMISSIS-, dal Comune di -OMISSIS-e dalla stazione unica appaltante di Reggio Calabria, pure gravate in primo grado, in quanto già portate ad esecuzione con l’affidamento dei lavori e la loro compiuta ultimazione.
7. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio, con una memoria con la quale ha chiesto la reiezione delle deduzioni e domande avversarie.
8. In assenza di istanze cautelari, la causa è stata discussa ed è stata posta in decisione all’udienza pubblica del 24 luglio 2018.
DIRITTO
1. Un criterio di ordine logico impone di vagliare preliminarmente il quarto e ultimo motivo di appello.
1.1. E’ controversa la sussistenza dell’interesse all’annullamento di una prima informativa, i cui effetti interdittivi risultino doppiati da un secondo provvedimento di ana contenuto.
1.2. Diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, detto interesse deve ritenersi sussistente, indipendentemente dalla reiterazione dell’effetto interdittivo conseguente alla emissione della seconda informativa, e ciò in quanto:
– l’informativa antimafia costituisce un provvedimento autonomamente lesivo, in quanto incidente sulla capacità contrattuale e sulla produttività dell’impresa destinataria, la quale è quindi interessata alla relativa impugnazione anche indipendentemente dall’esito della gara;
– detto interesse si apprezza sia sotto il profilo risarcitorio (valutabile in relazione al pregiudizio all’immagine, al credito commerciale oltre che alla capacità di guadagno che si produce nel periodo di efficacia della prima interdittiva, allorché la seconda informativa non sia stata ancora adottata); sia sotto il profilo dell’interesse morale (correlato alla più generale onorabilità del soggetto interdetto), in quanto anch’esso direttamente inciso in senso pregiudizievole dalla misura antimafia (Cons. Stato, Ad. Plen. ord. n. 17/2014);
– di tale tipologia di interesse morale e risarcitorio, di per sé idoneo a sorreggere l’azione impugnatoria, è riprova la riproposizione, nel caso qui in esame, della sola istanza di annullamento delle informative antimafia e del contestuale abbandono delle domande di caducazione delle determine di risoluzione dei contratti, adottate a valle dalle amministrazioni appaltanti;
– la statuizione di improcedibilità adottata dal primo giudice risulta censurabile anche perché assunta allorché gli effetti della seconda interdittiva non potevano ritenersi consolidati in ragione della adozione di una pronuncia giurisdizionale definitiva, munita di forza di giudicato; ne consegue che, in un tale frangente temporale, non poteva dirsi esaurito l’interesse della parte a coltivare un secondo grado di giudizio per contestare nuovamente entrambi i provvedimenti interdittivi e conseguirne, in ipotesi, il contestuale annullamento.
1.3. Inoltre, va richiamata la giurisprudenza di questo Consiglio, per la quale l’emanazione di un ulteriore provvedimento “di riesame” – in dichiarata esecuzione di una ordinanza cautelare – non determina la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del giudizio, o la cessazione della materia del contendere, a maggior ragione quando il provvedimento “ulteriore” è del medesimo contenuto sostanziale di quello già impugnato (Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2017, n. 1180; Sez. V, 25 gennaio 2016, n. 222; Sez. VI, 20 gennaio 2011, n. 396; Sez. VI, 31 luglio 2012, n. 4389; Sez. VI, 30 luglio 2013, n. 4004).
1.4. La pronuncia estintiva del giudizio, adottata a seguito dell’emanazione del provvedimento “di riesame”, risulta lesiva per entrambe le parti in lite:
a) essa lede l’originario ricorrente, poiché – se il ricorso risulta fondato – egli ha titolo alla definitiva rimozione dall’ordinamento del provvedimento impugnato e può, in presenza di tutti i relativi presupposti, chiedere il risarcimento del danno conseguente alla emanazione del provvedimento di cui sia stato ritualmente e fondatamente dedotta l’illegittimità ;
b) lede la stessa amministrazione, poiché anch’essa ha titolo alla sentenza che si pronunci sulla fondatezza del ricorso e sulla legittimità dell’atto impugnato, in quanto – se il ricorso risulta infondato – la sentenza di reiezione comporta la caducazione del provvedimento emesso in sede di riesame e la reviviscenza degli effetti dell’atto sospeso in sede cautelare.
Nel caso di specie, risulta dunque fondata la deduzione della società appellante, secondo cui il TAR avrebbe dovuto esaminare la fondatezza del ricorso di primo grado.
1.5. Tanto basta ai fini dell’accoglimento del motivo di appello, pur non potendosi condividere la qualificazione che la parte appellante intende conferire alla seconda informativa antimafia, quale misura di mero aggiornamento del primo atto prefettizio: invero, il solo fatto che essa tragga fondamento da risultanze istruttorie, in buona misura sopravvenute al primo provvedimento, non consente di dequalificarne la portata alla stregua di una mera reiterazione o di un logico corollario della prima informativa.
2. Nel merito, il primo motivo di appello trova soluzione nella consolidata elaborazione giurisprudenziale che, esaminando la tematica dei caratteri distintivi dell’informativa antimafia, a più riprese ha chiarito trattarsi di tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, essendo espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata (ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 5100/2015).
2.1. Il proprium che differenzia l’informativa antimafia da altre misure preventive è la finalità da essa perseguita di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: nella sostanza, attraverso di essa il Prefetto esclude che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una idonea organizzazione – possa meritare la fiducia delle Istituzioni e, in quanto controparte “affidabile”, possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati o di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”.
2.2. Dunque, l’interdittiva antimafia risponde ad una logica probatoria diversa da quella tipica degli accertamenti di natura penale e non deve necessariamente collegarsi a provvedimenti giurisdizionali o a misure preventive di altro tipo, la cui proposta di adozione o il cui provvedimento di applicazione, siano esse misure di natura personale o patrimoniale, non a caso figurano tra gli elementi dai quali è possibile desumere il rischio di infiltrazione mafiosa (art. 84, comma 4, lett. b) d.lgs. 159/2011).
2.3. Sul piano probatorio questa demarcazione tre le due aree di intervento (la repressione penale e la prevenzione amministrativa) si traduce nel fatto che il rischio di inquinamento mafioso rilevante ai fini della emissione della informativa deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, quindi alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (Cons. Stato, sez. III, n. 5214/2017; n. 1743/2016); sicché gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
2.4. Profonda è dunque la differenza tra i destinatari delle misure di prevenzione e i destinatari delle informazioni interdittive: per i primi, rilevano i fatti penalmente rilevanti; per i secondi, rilevano anche fatti non necessariamente aventi rilevanza penale.
2.5. Per tutto quanto esposto, il primo motivo non risulta fondato.
3. Con riguardo alla distinta questione, oggetto del secondo motivo di appello e riguardante la soglia di valore entro la quale sarebbe consentito alle amministrazioni sollecitare il rilascio delle informative, è utile ribadire – anche qui in conformità alla univoca giurisprudenza di questa Sezione – che:
– ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.P.R 252/1998, applicabile ratione temporis alla presente controversia, le Pubbliche Amministrazioni “devono acquisire” le informazioni antimafia in relazione a determinate soglie di valore, corrispondenti: i) per gli appalti di lavori, serviti e forniture, ad un valore pari o superiore a quello di rilevanza comunitaria (lettera a); ii) per le concessioni di beni pubblici, ovvero di contributi, finanziamenti ed altre erogazioni dello stesso tipo (lettera b), nonché per l’autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi concernenti la realizzazione di lavori pubblici o la prestazione di servivi o forniture pubbliche (lettera c), ad un valore superiore ai 300 milioni di lire;
– ciò non preclude, tuttavia, la possibilità di acquisire comunque la documentazione antimafia, non ostandovi alcun espresso divieto di richiederla al di sotto della soglia indicata (da ultimo Cons. Stato, Sez. III, n. 2798/2013; n. 3386/ 2014; n. 5513 e 3566/2016);
– dunque, non può avere alcun rilievo sulla legittimità dell’impugnato provvedimento il limite (di Euro 154.937,07) entro il quale, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998, la stessa amministrazione è tenuta a chiedere informazioni alla Prefettura;
– nello stesso senso si è affermato che, anche a prescindere dalla legittimità della richiesta d’informazione antimafia, il contenuto interdittivo della stessa vale a precludere la nascita di un rapporto contrattuale tra la stazione appaltante ed i soggetti coinvolti dall’informativa o, ancora, a paralizzare le sorti di un rapporto già sorto tra le parti (in tal senso Cons. Stato, sez. III, n. 2040/2014), in quanto la richiesta di informazioni fatta alla Prefettura, anche se non obbligatoria, è comunque coerente con la finalità dell’informativa interdittiva, essendo volta ad evitare che l’Amministrazione possa avere rapporti contrattuali o anche erogare risorse pubbliche ad imprese per le quali è stato accertato il rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata, stante l’evidenza impossibilità di delimitare l’applicazione del principio di legalità, che informa l’intero ordinamento giuridico;
– una diversa interpretazione normativa urterebbe contro la ratio della complessiva disciplina in materia (che mira a delimitare i rapporti economici con le Amministrazioni, solo quando l’impresa meriti la “fiducia” delle Istituzioni) e sovvertirebbe il principio che impone di assicurare, in sede interpretativa, effettività e concretezza alla tutela del bene protetto, soprattutto laddove, come avviene per le informazioni antimafia, questo assuma un ruolo assolutamente primario;
– tale conclusione, dunque, è l’unica coerente con le complessive finalità della disciplina delle informazioni antimafia, che è volta ad evitare radicalmente l’erogazione di risorse pubbliche a soggetti esposti ad infiltrazioni di tipo mafioso, e che pertanto mal tollera che ciò possa avvenire solo entro determinati limiti quantitativi (Cons. Stato, sez. III, n. 3300/2016).
3.1. Con riguardo alla fattispecie in esame, va considerato, inoltre, che – secondo quanto riferito dall’amministrazione nel corso del giudizio di primo grado – la stazione appaltante Comune di -OMISSIS-ha aderito alla convenzione per la gestione associata di una Stazione Unica Appaltante, operativa dal 1° aprile 2009 presso la Provincia di Reggio Calabria, e che tale convenzione prevede la necessità di acquisire l’informazione antimafia qualora l’importo della gara sia pari o superiore ai 150.000,00 euro.
Poiché l’appalto in questione si inserisce in tale range di valore, la richiesta di informativa ha trovato nella clausola della convenzione un’ulteriore base legittimante.
4. Quanto alla pregnanza probatoria del quadro indiziario posto a base della informativa, risulta condivisibile la lettura sistematica che il primo giudice ha inteso trarne, cogliendo in ciascuno dei tasselli istruttori – una volta integrati in una lettura unitaria e organica – apprezzabili spunti di rilievo sintomatico.
4.1. Peraltro, se la consistenza di tali elementi induce a ritenere infondate le censure proposte contro il secondo provvedimento interdittivo, diversamente si deve ritenere con riguardo al primo provvedimento, e ciò in linea con quanto già delibato dallo stesso primo giudice, il quale ha ravvisato negli aggiornamenti istruttori posti a base dell’informativa del 5 ottobre 2010 i dati di maggior rilievo ai fini della motivazione dell’atto prefettizio.
4.2. A confutazione delle contestazioni svolte dalla parte appellante con riguardo all’intero compendio istruttorio (posto a base della informativa del 5 ottobre 2010), occorre quindi ribadire che:
– nelle note del 5 e del 16 settembre 2009, e del 26 agosto 2010, si fa riferimento ad una serie di controlli in occasione dei quali il -OMISSIS-. è stato segnalato in compagnia di soggetti controindicati;
– la caratura criminale di questi ultimi non è meramente affermata, ma viene desunta dalla sussistenza a loro carico di misure di prevenzione, di provvedimenti di arresto ovvero di segnalazioni di polizia e deferimenti all’autorità giudiziaria per reati di oggettiva rilevanza sintomatica. Di alcuni di questi soggetti si afferma l’appartenenza a cosche mafiose locali;
– nessuna evidenza probatoria contraria è stata allegata dalla parte appellante in ordine alla insussistenza dei precedenti giurisdizionali o di polizia che contraddistinguono il profilo dei soggetti in questione.
4.3. Particolarmente ripetute e costanti nel tempo risultano le segnalazioni degli incontri del -OMISSIS-. con il cugino -OMISSIS-, già direttore tecnico, procuratore generale e socio della società dell’appellante, la quale, proprio in considerazione del ruolo svolto al suo interno dal predetto -OMISSIS-., aveva già subito, nell’anno 2006, gli effetti di una informativa antimafia.
Tale informativa ha conservato efficacia, superando indenne il vaglio giurisdizionale operato dal giudice amministrativo nei due gradi del giudizio cautelare.
4.4. Quanto al’profilo criminalè del -OMISSIS-., esso fonda su due misure di arresto applicategli negli anni 1993 e 1997 per i reati di detenzione e porto illegale di arma clandestina e sull’accusa di favoreggiamento personale del figlio di un esponente di clan mafioso locale.
4.5. Tra le ulteriori segnalazioni di polizia a carico del -OMISSIS-., spicca quella del 18 dicembre 2009, a mezzo della quale fu riscontrata la sua presenza all’interno dell’abitazione e in compagnia del -OMISSIS-, all’epoca sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, diffidato in quanto ritenuto affiliato alla malavita organizzata del luogo e poi condannato a 17 anni di reclusione per sequestro di persona e violazione della legge sulle armi.
Le modalità e il contesto di svolgimento dell’incontro – riportate nella annotazione dell’Arma dei Carabinieri acquisita agli atti – ne avvalorano la particolare significatività indiziaria, collocandolo, peraltro, in un frangente temporale assai prossimo a quello di emissione della seconda informativa.
4.6. Di apprezzabile rilevanza indiziaria risultano anche le 17 notazioni di polizia allegate alla nota del 13 giugno 2011, a riprova delle ulteriori frequentazioni sospette addotte a carico del -OMISSIS-.
Le relazioni di polizia attestano, infatti, discussioni e conversazioni, in alcuni casi dall’evidente tono confidenziale, tenutesi nella maggior parte dei casi all’interno di auto, di bar o nel corso di passeggiate, quindi con modalità e forme di conduzione che, ragionevolmente, non consentono di ascriverle al genere delle frequentazioni casuali o di mera cortesia e, tantomeno, di affermarne l’intrinseca inconcludenza indiziaria.
4.7. Ciò posto, le deduzioni svolte dall’appellante non sono tali da confutare i dati fattuali (sin qui richiamati) sui quali si fonda il giudizio di rilevanza sintomatica che è stato attribuito dalla Prefettura alle singole evenienze innanzi richiamate.
4.8. L’Amministrazione può ragionevolmente attribuire rilevanza ai contatti o ai rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione, quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità .
Tali contatti o frequentazioni (anche per le modalità, i luoghi e gli orari in cui avvengono) possono infatti far presumere, proprio secondo la logica del “più probabile che non” alla quale innanzi si è fatto cenno, che l’imprenditore – direttamente o anche tramite un proprio intermediario – scelga consapevolmente di porsi in dia e in contatto con ambienti mafiosi; e, quand’anche ciò non risulti punibile (salva l’adozione delle misure di prevenzione), la consapevolezza dell’imprenditore di frequentare soggetti mafiosi e di porsi su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità può ragionevolmente giustificare la reazione dello Stato e l’esclusione dell’imprenditore medesimo dal conseguimento di appalti pubblici e comunque degli altri provvedimenti abilitativi individuati dalla legge (Cons. Stato sez. III, n. 1743/2016).
5. Quanto al coinvolgimento dell’appellante nel procedimento penale nr. -OMISSIS-, occorre puntualizzare, ad integrazione della rappresentazione parziale che di tale vicenda si ricava dalla lettura dell’atto di appello, che:
a) per quanto risulta, l’iter processuale è giunto al rinvio a giudizio dell’appellante;
b) l’accusa è mossa in relazione ai delitti di cui agli artt. 110-353, commi 1 e 2 c.p., la cui rilevanza sintomatica – nella specifica materia che qui occupa – è stata riconosciuta dal recente codice antimafia;
c) l’ipotesi di reato riguarda l’asserita esistenza di un’associazione a delinquere, sia pure non di stampo mafioso, ma comunque volta a perseguire il condizionamento degli appalti pubblici nella Provincia di Reggio Calabria;
d) il coinvolgimento dell’-OMISSIS-. è posto in stretta connessione con gli accertamenti disposti nei suoi confronti e richiamati nelle relazioni di servizio di polizia sottese alla seconda informativa, il che corrobora la rilevanza delle risultanze utilizzate ai fini dell’emissione dei provvedimenti qui impugnati (si veda nello stesso senso quanto osservato dal Tar a pag. 12 della sentenza di primo grado);
e) la contestazione formulata nel capo di imputazione ipotizza che le imprese partecipanti alla gara – asseritamente avvinte da una unitaria strategia di coordinamento – abbiano predisposto offerte economiche concordate nella percentuale di ribasso: è esattamente da questo elemento che la Procura ritiene di potere ricavare conferme della irregolarità e del turbamento della gara.
5.1. Dunque, la circostanza sulla quale si sofferma l’appellante – ovvero la riconducibilità delle polizze allegate alle domande di partecipazione ad un’unica compagnia di assicurazione – non coglie in modo completo la portata delle condotte contestate, né fornisce elementi in grado di confutarne la pregnanza indiziaria.
5.2. Degli ulteriori sviluppi del procedimento penale non sono state forniti aggiornamenti in corso di giudizio.
5.3. Resta fermo, tuttavia, che gli elementi indizianti posti a fondamento di un’informativa interdittiva permangono inalterati fino al sopraggiungere di fatti nuovi e ulteriori che siano idonei ad evidenziare il venir meno della situazione di pericolo (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4053/2017), ragione per cui l’informativa è sempre suscettibile di un aggiornamento alla luce dell’evoluzione della situazione personale degli interessati o di una effettiva onerosa cessione a terzi dell’impresa.
L’amministrazione è infatti tenuta ad emettere un’informativa liberatoria nei confronti dell’impresa ove sopraggiungano reali ed effettive circostanze nuove, che siano cioè capaci di smentire o, comunque di superare, gli elementi che hanno giustificato l’emissione del provvedimento interdittivo.
6. Rispetto al quadro istruttorio sin qui riepilogato, le relazioni parentali dell’appellante (riferite al padre, soggetto sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, e al fratello, assassinato in un agguato mafioso), assumono una valenza del tutto marginale, posto che la vicinanza del -OMISSIS-. agli ambienti della malavita locale non viene fatta dipendere dalle sue origine familiari (che al più possono fornirne una possibile, ma del tutto ipotetica, spiegazione), ma dal perpetuarsi nel tempo di relazioni e condotte sintomatiche direttamente accertate e riconducibili alla sua persona.
7. In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello è fondato solo in relazione al quarto e al terzo motivo, quest’ultimo favorevolmente apprezzabile in relazione alla prima informativa del 12 ottobre 2009: ne consegue che, in riforma parziale della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado con conseguente annullamento della informativa del 12 ottobre 2009; mentre vanno respinti i motivi aggiunti al ricorso di primo grado, aventi ad oggetto l’informativa del 5 ottobre 2010.
9. L’esito della lite e il tenore delle difese in atti giustificano la compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
Sussistono i presupposti per disporre che vada rimborsato all’appellante unicamente il contributo unificato effettivamente versato per la proposizione del ricorso originario di primo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello n. 6806 del 2012, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, ai sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza impugnata:
– accoglie il ricorso originario di primo grado, con conseguente annullamento della informativa del 12 ottobre 2009;
– conferma la sentenza del TAR, nella parte in cui ha respinto i motivi aggiunti al ricorso di primo grado, riferiti all’informativa del 5 ottobre 2010;
– compensa le spese di lite dei due gradi di giudizio;
– dispone che l’Amministrazione rimborsi all’appellante esclusivamente il contributo unificato, effettivamente versato per la proposizione del ricorso originario di primo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle persone fisiche e delle persone giuridiche, contenute nella sentenza.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Giovanni Pescatore – Consigliere, Estensore
Solveig Cogliani – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Luigi Birritteri – Consigliere
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