Le Regioni sono titolari di un ampio potere discrezionale, chiamato a bilanciare interessi diversi

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 10 agosto 2018, n. 4903.

La massima estrapolata

Le Regioni sono titolari di un ampio potere discrezionale, chiamato a bilanciare interessi diversi, ossia l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, le legittime aspettative degli operatori privati che ispirano le loro condotte ad una logica imprenditoriale e l’assicurazione dell’efficienza delle strutture pubbliche che costituiscono un pilastro del sistema sanitario universalistico.

Sentenza 10 agosto 2018, n. 4903

Data udienza 24 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8652 del 2011, proposto dalla s.p.a. In. Me., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Vi. Do. e Ma. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Sa. in Roma, viale (…);
contro
L’Azienda Ulss 17 di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati An. Le. e An. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
la Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati An. Ma., Em. Mi. e Ez. Za., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
la Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ma. Ro. Ru. Va., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
l’Azienda U.L.S.S. n. 6 Eu., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati An. Le. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti e domicilio fisico presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza n. 341/2011, resa tra le parti, depositata in data 1° marzo 2011, che ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento delle note del direttore generale dell’Azienda ULSS 17 del 6 aprile 2009, n. 17899/DG, del 4 maggio 2009, n. 21966/240, del 29 maggio 2009, n. 26113/273, aventi ad oggetto l’applicazione dell’Accordo quadro tra le Regioni del Veneto e dell’Emilia Romagna, di cui alla d.G.R. 2908/2007, e che ha dichiarato irricevibile per tardività il ricorso medesimo con riferimento alla domanda di annullamento dell’atto presupposto d.G.R. n. 2908 del 18 settembre 2008, contenente il “Recepimento dell’accordo quadro fra la Regione Emilia Romagna e la Regione Veneto per la gestione della mobilità sanitaria per le prestazioni di ricovero ospedaliero e di specialistica ambulatoriale”, nonché l’allegato accordo quadro siglato dalle due Regioni in data 2 agosto 2007;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda U.L.S.S. 17 di (omissis), della Regione Veneto, della Regione Emilia Romagna e dell’Azienda U.L.S.S. n. 6 Eu.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 24 luglio 2018 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti l’Avvocato Ma. Sa., l’Avvocato Ga. St. su delega dell’Avvocato An. Ma. e l’avvocato Em. Co. su delega dell’Avvocato Ma. Ro. Ru. Va.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in appello indicato in epigrafe, la s.p.a. In. Me., operatore nel campo della diagnostica per immagini in regime di accreditamento con il SSN, chiede la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto n. 341 del 2011, con la quale era respinto il ricorso proposto per l’annullamento delle note del direttore generale dell’Azienda ULSS 17 del 6 aprile 2009, n. 17899/DG, del 4 maggio 2009, n. 21966/240, e del 29 maggio 2009, n. 26113/273, aventi ad oggetto l’applicazione dell’Accordo quadro tra le Regioni del Veneto e dell’Emilia Romagna di cui alla d.G.R. 2908/2007 ed era dichiarato irricevibile per tardività il ricorso medesimo con riferimento alla domanda di annullamento dell’atto presupposto d.G.R. n. 2908 del 18 settembre 2008, contenente il “Recepimento dell’accordo quadro fra la Regione Emilia Romagna e la Regione Veneto per la gestione della mobilità sanitaria per le prestazioni di ricovero ospedaliero e di specialistica ambulatoriale”, nonché l’allegato Accordo quadro siglato dalle due Regioni in data 2 agosto 2007.
Con la richiamata sentenza, il TAR ha ritenuto infondata la tesi di parte ricorrente in ordine all’inefficacia dell’Accordo in mancanza di atti attuativi, in quanto priva di riscontri, ed anzi ha evidenziato che il testo dell’accordo depone inequivocabilmente nel senso dell’immediata operatività e percettività, precisando che “le modalità operative del presente accordo hanno validità dal 1 ottobre 2007 al 31 dicembre 2009″, stabilendo anche che ” le parti danno atto che il tetto economico per la reciproca mobilità passiva nel periodo di validità è rappresentato dal dato consolidato dell’anno 2006 per le tipologie di prestazioni oggetto dell’accordo” e che ” i tetti sono invalicabili per le attività di ricovero e per le attività ambulatoriali”.
Specificatamente con riferimento alla risonanza magnetica, il TAR evidenziava che l’Accordo espressamente ha previsto che “avendo analizzato l’indice di consumo ed il contributo dato a tale indice dall’attività delle strutture venete, si ritiene che il corrispondente numero di prestazioni erogate a favore di cittadini dell’Emilia Romagna sia da ritenersi non incrementabile in relazione al fabbisogno: pertanto il tetto di produzione ed economico relativo viene fissato nello standard dell’anno 2006. Tale tetto può essere modificato solo su specifica committenza dell’Emilia Romagna in relazione all’andamento dell’indice di consumo standardizzato”.
La nota di trasmissione, in tale contesto, non potrebbe avere alcun contrario significato; né sarebbero rilevanti eventuali modalità applicative adottate dalla regione Emilia Romagna.
Ancora, la non ammissibilità di compensazioni sarebbe coerente – sulla base dell’Accordo – con gli ordinari criteri della programmazione sanitaria, che fanno costantemente riferimento alla fissazione di tetti economici idonei a stabilire i budget annuali di ciascuna struttura sanitaria.
Poiché l’Accordo risultava operativo già dal 2007, non sarebbe, altresì, fondato il motivo di ricorso teso a censurare l’affidamento della ricorrente.
Infine, per gli stessi profili sopra enunciati, sarebbe tardivo il ricorso avverso la delibera della Giunta regionale di recepimento dell’Accordo.
La s.p.a. In. Me., propone, dunque, appello per censurare le conclusioni del TAR in relazione ai seguenti profili che di seguito saranno dettagliatamente specificati:
– inefficacia dell’Accordo in assenza di atti applicativi da parte della Regione;
– in particolare, mancata valutazione del dato complessivo della mobilità tra le Regioni Veneto ed Emilia Romagna;
– erroneità della pronunzia sulla tardività dell’impugnazione dell’Accordo tra le Regioni.
Si è costituita l’Azienda ULSS n. 17 di (omissis), che ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
Si è costituita per resistere, altresì, la Regione Veneto, che nel riproporre l’eccezione di irricevibilità del ricorso introduttivo con riguardo alla delibera di recepimento dell’Accordo, ha evidenziato l’immediata efficacia dello stesso, chiedendo la reiezione dell’appello.
Le parti hanno prodotto ulteriori memorie per l’udienza di discussione.
In particolare, la Regione Veneto ha precisato che dal 1° gennaio 2018 le competenze amministrative oggetto di contenzioso sono state trasferite all’Azienda Ze. e, pertanto, ha chiesto l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti.
Si è costituita l’Azienda U.L.S.S. n. 6 Eu., esponendo che per effetto della l. reg. Veneto n. 30 del 2016 è stata soppressa l’Azienda U.L.S.S. n. 17, che è cessata in data 31 dicembre 2016 ed è stata incorporata nella nuova Azienda U.L.S.S. n. 6 Eu.
All’udienza di discussione del 24 luglio 2018, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I – Con il primo motivo di appello, la s.p.a. In. Me. censura l’erroneità e l’insufficienza della motivazione della sentenza del TAR, in ordine alla constatata immediata operatività dell’Accordo quadro e alla non necessità di una valutazione complessiva a livello regionale dei volumi economici da porre in mobilità .
L’appellante sostiene che sarebbero inconferenti i passaggi ritenuti significativi dal TAR e che, anzi, la tesi della non immediata applicabilità dell’Accordo sarebbe desumibile dal fatto che la nota di trasmissione dell’accordo testualmente prevedeva che la ULSS si impegnava a “divulgare le modalità applicative dell’accordo non appena queste saranno definite dalla Regione”; altresì, in tale senso deporrebbe il testo della delibera n. 2908/2007 di recepimento dell’Accordo, nella quale si dava “mandato al segretario regionale della sanità …di adottare i provvedimenti conseguenti al recepimento dell’accordo…al fine di dare concreta operatività all’accordo medesimo”.
Pertanto, sarebbe illegittima la pretesa restitutoria avanzata dalla Azienda appellata, in assenza dell’accertamento a livello regionale e consolidato dei volumi di mobilità passiva; coerentemente con tale interpretazione si dovrebbe leggere, infatti, la nota dell’Emilia Romagna (doc. 7, degli atti prodotti in primo grado), secondo la quale, sulla base del dato consolidato 2008, vista la “situazione di sostanziale pareggio si è ritenuto di non imputare né penalità agli erogatori né gli effetti positivi agli utilizzatori”, essendo stato riscontrato un sostanziale equilibrio contabile per il 2007 ed il 2008 tra mobilità attiva e passiva.
II – Osserva il Collegio che nella controversia in esame vengono dibattuti due diversi profili: da un lato, l’efficacia dell’Accordo tra le due Regioni, dall’altro le modalità applicative.
Quanto al primo punto, risultano condivisibili le statuizioni del TAR.
E’ evidente che l’Accordo ha stabilito l’efficacia con decorrenza 1° ottobre 2007, per disposizione espressa e non controvertibile.
Del resto, le disposizioni contenute nell’Accordo corrispondono alla fondamentale funzione programmatica riconosciuta alle Regioni nel governo della spesa sanitaria e nella fissazione dei tetti di spesa per le singole strutture.
Non può neppure dubitarsi in ordine al potere della Regione di indicare, come precisato, il tetto per le singole strutture.
Né del resto appare in contestazione il fatto che tale tetto sia stato determinato con riferimento al dato storico accertato per il 2006.
Infatti, l’art. 8 quinquies, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 502/92, prevede che le Regioni stabiliscano “i criteri per la determinazione della remunerazione delle strutture ove queste abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato, tenuto conto del volume complessivo di attività e del concorso allo stesso da parte di ciascuna struttura”.
Rilevano al riguardo i principi elaborati dall’Adunanza plenaria con la sentenza 12 aprile 2012, n. 3, che ha affermato che le Regioni sono titolari di “un ampio potere discrezionale, chiamato a bilanciare interessi diversi, ossia l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, le legittime aspettative degli operatori privati che ispirano le loro condotte ad una logica imprenditoriale e l’assicurazione dell’efficienza delle strutture pubbliche che costituiscono un pilastro del sistema sanitario universalistico”. Peraltro, la stessa Corte costituzionale ha evidenziato che – dopo l’enunciazione da parte delle legislazione sanitaria del principio della parificazione e concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private, con la conseguente facoltà di libera scelta da parte dell’assistito – si è progressivamente imposto nella legislazione sanitaria il principio della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario.
In questo modo si è temperato il regime concorrenziale attraverso i poteri di programmazione propri delle Regioni e la stipula di appositi “accordi contrattuali” tra le USL competenti e le strutture interessate per la definizione di obiettivi, volume massimo e corrispettivo delle prestazioni erogabili (ex multis, Corte cost. 26 maggio 2005, n. 200).
Rimane, dunque, da verificare se quanto alle modalità applicative si rendesse necessario un successivo atto, come sostenuto dall’appellante.
Ciò posto, anche in ragione dell’immediata efficacia dell’accordo e del tetto fissato per struttura con riferimento al dato storico del 2006, deve condividersi l’impostazione ermeneutica seguita dal TAR, che ha evidenziato come con l’Accordo si sia deciso di non incrementare la mobilità tra le due Regioni stipulanti.
Tale determinazione risulta ampiamente ed espressamente rimarcata nelle stesse premesse dell’Accordo e nella delibera che lo recepisce, come versati in atti, nei quali si sottolinea la volontà di favorire il pieno utilizzo delle strutture e l’autosufficienza di ciascuna Regione.
Da ciò discende chiaramente che il dato storico risulta sufficiente alla determinazione del tetto applicabile e coerente con la finalità di riduzione dei movimenti extraregionali.
Quanto alla previsione di ulteriori provvedimenti applicativi, questi devono intendersi richiamati quali eventuali ulteriori atti da emanare ove si fossero rese necessarie altre particolari esigenze.
Questo Consiglio, del resto, si è espresso sulla ragionevolezza della necessità di stabilire un tetto alle prestazioni extraregionali, affermando che, “in linea generale, non può ritenersi irrilevante per una Regione che le prestazioni sanitarie siano erogate in favore dei residenti nella stessa Regione ovvero in favore dei residenti di altre Regioni, tenuto conto dell’interesse, proprio di ogni Regione, di soddisfare innanzitutto le esigenze sanitarie dei propri residenti”, dal momento che l’erogazione di prestazioni in favore di cittadini residenti in altre Regioni incide sicuramente, seppure in maniera indiretta, “sul piano della fiscalità regionale”, con la conseguenza che “tutto il sistema dei tetti di spesa regionali risulterebbe vanificato se non venissero limitate anche le prestazioni erogabili in favore di soggetti residenti in Regioni diverse” (Cons. Stato, Sez. II, 1° febbraio 2012, n. 495).
“Né può fondatamente sostenersi, per le considerazioni già formulate innanzi quanto al rilievo sul piano dei flussi finanziari della mobilità attiva extra regionale, che le prestazioni socio-assistenziali ai cittadini extra-Regione, sfuggano, per natura, a qualsiasi limitazione in termini di spesa e di volume di prestazioni. Infatti, tutte le prestazioni erogate dal servizio pubblico incontrano un limite, determinato discrezionalmente dall’autorità pubblica nell’esercizio del potere di allocazione delle limitate risorse finanziarie: tale potere è sindacabile nei limiti propri del giudizio di legittimità, ma non se ne può radicalmente contestare il fondamento”.
Tale interpretazione – a differenza di quanto ritenuto dall’appellante – non confligge con la nota direttoriale della Regione Emilia Romagna, n. 110 del 24 maggio 2010, rimanendo nei poteri discrezionali di programmazione di ciascuna Regione la scelta delle modalità applicative necessarie a soddisfare le suindicate esigenze.
In questo senso, dunque, stante l’efficacia immediata dell’accordo, ai fini della individuazione del tetto applicabile ad ogni singola struttura, non occorreva che la Regione Veneto verificasse ulteriormente le tabelle di mobilità interregionale attiva e passiva per l’anno 2008 (oggetto del presente contenzioso).
Sotto questo profilo, il motivo di appello risulta infondato.
II – Da quanto sin qui esposto, discende, altresì, l’infondatezza del secondo ordine delle censure tese a contestare l’erroneità e l’insufficiente motivazione della sentenza con riferimento alla reiezione del motivo sulla dedotta illegittimità della fissazione di un tetto di spesa per la singola struttura, con riferimento alla circostanza che la U.L.S.S. non aveva comunicato un tetto, bensì aveva solo ‘anticipatò l’Accordo tra regioni.
Come già rilevato, il procedimento di determinazione del tetto delle prestazioni per l’anno di riferimento risultava completato, non essendo necessario, alla luce della stessa formulazione dell’Accordo, una successiva individuazione concreta dello ‘sforamentò rispetto al dato storico del 2006, rispetto al quale risulta già determinato il tetto di spesa per le finalità sopra evidenziate.
III – Ciò posto, stante l’espressa dizione dell’Accordo, immediatamente efficace ed applicabile, nessun affidamento poteva essere maturato dalla appellante.
Inoltre, ogni censura rivolta contro il contenuto dell’Accordo stesso risulta ormai tardiva, come è stato adeguatamente precisato dal giudice di primo grado.
Per quanto sin qui ritenuto, l’appello deve essere respinto e per l’effetto deve essere confermata la sentenza gravata.
Pertanto, non sussistono i presupposti per disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Azienda Ze., come richiesta dalla Regione Veneto.
La complessità della fattispecie esaminata comporta la compensazione delle spese del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello n. 8652 del 2011, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza n. 341 del 2011.
Spese compensate del secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Giovanni Pescatore – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Luigi Birritteri – Consigliere

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