Consiglio di Stato, sezione terza, ordinanza 7 novembre 2017, n. 5138.

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Va replicato che, in linea astratta, sarebbe certamente ipotizzabile un regime più stretto delle preclusioni in appello, volto a velocizzare il processo e a responsabilizzare gli oneri di attenzione delle parti in ordine alle cause di inammissibilità del ricorso di primo grado, valorizzando i connotati dispositivi della giurisdizione amministrativa. Ma la scelta legislativa di prevedere il giudicato implicito limitatamente alle questioni di giurisdizione, adottata all’esito di una complessa evoluzione giurisprudenziale e teorica, si raccorda strettamente all’attuale regolamentazione della traslatio del processo tra diversi ordini giurisdizionali.

E’ la circostanza che il processo erroneamente incardinato davanti al giudice privo di giurisdizione prosegue poi davanti al giudice naturale a spiegare la parziale dequotazione del difetto di giurisdizione, ancorata, oltretutto, ad una progressiva omogeneizzazione degli strumenti di tutela previsti dai diversi ordinamenti processuali.

Pertanto, al di fuori dell’ipotesi peculiare del difetto di giurisdizione, resta ferma l’esigenza di assicurare, anche in grado di appello, il pieno controllo officioso della ricevibilità e ammissibilità della domanda proposta dinanzi al TAR, con il solo limite della pronuncia espressa non impugnata, in conformità al consolidato principio secondo il quale “I presupposti processuali o le condizioni dell’azione, se non è diversamente previsto dalla legge, sono rilevabili, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo. Ogni giudice, infatti, in qualsiasi stato e grado, ha il potere e il dovere di verificare se ricorrono le condizioni cui l’ordinamento subordina la possibilità che egli emetta una decisione nel merito”.

Si tratta, del resto, di condizioni all’esercizio del potere giurisdizionale che l’ordinamento normalmente prevede per la tutela di interessi sostanziale di ordine pubblico, sottratti alla disponibilità delle parti, che riguardano il contraddittorio e il diritto di difesa (in caso di rinvio al primo giudice) oppure implicano la definizione della lite, non assimilabili al difetto di giurisdizione, neanche quoad effectum, posto che, com’anzi detto, il difetto di giurisdizione impone semplicemente il differimento della decisione.

L’art. 9 del d.lgs. 104/2010, dunque, deve ritenersi norma speciale che solo ed esclusivamente per il difetto di giurisdizione valorizza in via di eccezione il principio del giudicato implicito, correlativamente ed indirettamente confermando, per le altre cause di inammissibilità, l’assolutezza del potere di rilievo ufficioso del giudice in ogni stato e grado del procedimento. Sul punto possono richiamarsi Cons. Stato, Sez. VI, 24/9/2007, n. 4924; Cons. Stato, sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 1094; Consiglio di Stato, n. 2152/2013; Sez. VI n. 4196/2017.

A) La questione dell’onere di immediata impugnazione dei criteri di aggiudicazione stabiliti dalla lex specialis di gara.

2. Riconosciuta l’astratta rilevabilità d’ufficio, anche in grado di appello, delle questioni attinenti all’ammissibilità del ricorso di primo grado, il Collegio prospetta all’Adunanza Plenaria la questione interpretativa centrale, oggetto del presente giudizio, concernente l’esatta delimitazione oggettiva dell’ambito entro cui sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara e degli atti che definiscono le regole della procedura selettiva, con particolare riguardo ai criteri di aggiudicazione e al metodo di valutazione delle offerte.

In tal senso, occorre ridefinire l’attuale portata dei principi espressi dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1/2003, alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici e dell’evoluzione della giurisprudenza della CGUE.

La questione è della massima importanza, sicché anche nell’ipotesi in cui l’Adunanza Plenaria dovesse optare per la tesi della non rilevabilità d’ufficio in appello della inammissibilità del ricorso, per effetto del giudicato implicito, resterebbero ferme le esigenze delineate dall’art. 99, comma 5, del CPA, secondo cui “5. Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l’adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell’adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato.”

2.1. In questa prospettiva – giova sin da subito sottolineare – la Sezione intende deferire la questione in termini più ampi e generali, anche considerando che la stessa pronuncia n. 1/2003 aveva molto opportunamente analizzato il tema in tutte le sue sfaccettature, senza limitarsi alla peculiarità del caso concreto esaminato dall’ordinanza di rinvio.

2.2. È opportuno ricordare che, allo stato, l’orientamento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria, seguito dalla prevalente (ma non unanime) giurisprudenza è attestato sulle indicazioni espresse dalla pronuncia n. 1/2003, la quale, con un’ampia e lineare motivazione, ha definito, con la massima chiarezza, i casi – limitati – in cui sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando di gara.

2.3. Giova ripercorrere sinteticamente l’evoluzione giurisprudenziale alla base di tale orientamento, a partire dall’ordinanza n. 2406 del 6 maggio 2002 della V Sezione del Consiglio di Stato.

La decisione ha ricordato la sussistenza di molteplici indirizzi interpretativi, variamente giustificati, e ha evidenziato “l’esigenza, di carattere generale, di procedere all’esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a pena di decadenza, l’immediata impugnazione dei bandi di gara (o di concorso) senza attendere gli atti applicativi”. La pronuncia ha in particolare chiesto all’organo nomofilattico “se le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione alle procedure selettive, debbano essere impugnate entro il termine decorrente dalla loro conoscenza legale, ovvero se possano essere impugnate contestualmente all’atto applicativo che conclude la procedura selettiva”. È utile ricordare che l’ordinanza aveva espresso un avviso favorevole per la prima opzione esegetica, “con particolare (ed esclusivo) riguardo alle clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara. Anche in tal caso, le clausole in questione hanno attitudine a determinare l’immediato arresto procedimentale, nei confronti dei soggetti che non rispettano le prescrizioni riguardanti le modalità di presentazione delle offerte, oppure gli oneri strettamente formali e procedimentali, connessi alla domanda di partecipazione alla procedura selettiva. Nelle altre ipotesi, invece, sembra che debba affermarsi la regola dell’impugnazione congiunta all’atto applicativo”.

2.4. L’Adunanza Plenaria n. 1/2003 ha dapprima analizzato il tema complessivo dell’impugnabilità degli atti amministrativi a carattere generale, con effetti nei confronti di una pluralità di destinatari non determinati nei provvedimenti, ma chiaramente determinabili, evidenziando che, per essi “si pone il problema della loro lesività immediata prima dell’adozione degli atti applicativi: prima cioè che gli atti puntuali che delle clausole degli atti generali fanno applicazione, identifichino in concreto i destinatari da essi effettivamente lesi nella loro situazione soggettiva”. Ha poi ricordato la tradizionale soluzione del problema alla luce dei principi che regolano l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale (o amministrativo), i quali richiedono “che sia l’interesse sostanziale (a tutela del quale si agisce) che l’interesse ad agire siano caratterizzati dai requisiti della personalità e della attualità”. Correlativamente, “la lesione subita dall’interesse sostanziale del ricorrente (ed in conseguenza della quale egli agisce in giudizio) deve, in linea di stretta conseguenzialità, essere contrassegnata dai caratteri della immediatezza, della concretezza e dell’attualità”.

Sulla base di tali premesse teoriche, l’Adunanza Plenaria ha ulteriormente argomentato che “A fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare. D’altra parte, ove l’esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l’atto che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l’atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi, ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva”.

2.5. Delineato il quadro generale in punto di interessi sostanziali e fissata l’esatta perimetrazione dell’interesse legittimo, l’Adunanza Plenaria ha poi chiarito che “le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di norma, quelle che prescrivono requisiti soggettivi di ammissione o di partecipazione alle gare per l’aggiudicazione, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l’amministrazione”

Al contempo, la decisione n. 1/2003 ha escluso l’onere di immediata impugnazione:

a) delle clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara;

b) delle prescrizioni del bando che condizionano anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia;

c) delle clausole del bando che definiscono gli oneri formali di partecipazione.

Ha infine precisato che “non può, invece, essere escluso un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere ricompresa quella di un bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui, al quale, per i suoi intrenseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente ed immediatamente la partecipazione”.

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