L’errore di fatto revocatorio può essere configurato solo con riferimento all’attività compiuta dal giudice di lettura e di esame degli atti acquisiti al processo

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 9 luglio 2018, n. 4176.

La massima estrapolata:

L’errore di fatto revocatorio può essere configurato solo con riferimento all’attività compiuta dal giudice di lettura e di esame degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, ma non può riguardare la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto di tali atti e non ricorre, quindi, nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai a un ipotetico errore di giudizio che non è censurabile mediante la revocazione che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore terzo grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento.

Sentenza 9 luglio 2018, n. 4176

Data udienza 17 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5947 del 2015, proposto da:
VI. TO., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Re. D’A., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);
contro
ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Pa., domiciliata in Roma, via (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. VI – n. 6423 del 2014;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2018 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati An. Re. D’A. e Gi. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.? Il signor Vi. To. chiede la revocazione della sentenza n. 6423 del 30 dicembre 2014, con cui il Consiglio di Stato, in accoglimento degli appelli proposti da Roma Capitale, ha riformato le sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 1144 del 2012 e n. 8215 del 2013.
1.1.? L’odierno ricorrente sostiene che la predetta sentenza del Consiglio di Stato deve essere revocata ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., in quanto affetta dai seguenti errori di fatto risultanti dagli atti di causa:
– il giudice di appello avrebbe erroneamente percepito (e dichiarato) che il provvedimento impugnato contestava l’infedeltà della dichiarazione di sanatoria, quando invece la motivazione del diniego di condono si sarebbe retto sulla sola non condonabilità delle opere;
– in occasione dell’esame della richiesta di sanatoria e della perizia descrittiva, il Consiglio di Stato avrebbe confuso la descrizione del manufatto con l’indicazione della superficie da condonare, con ciò ravvisando una insussistente difformità (peraltro estranea alla materia del contendere);
– vi sarebbe stata omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello n. 9235 del 2013 (sollevata a pag. 27 della memoria del 24 ottobre 2014), per mancata impugnazione dei capi fondamentali della sentenza del T.a.r. n. 8215 del 2013;
– il giudice di appello avrebbe obiettivamente travisato (con riguardo alla decisione dell’appello n. 9235 del 2013) i contenuti della sentenza del T.a.r., affermando contrariamente al vero che nel giudizio di primo grado era stata adottata un’unica ordinanza cautelare, negativa per l’esponente, quando invece i provvedimenti cautelari resi dal T.a.r. sarebbero stati quattro, tre dei quali recanti accoglimento parziale della domanda cautelare.
Su queste basi, l’istante insiste per l’accoglimento del ricorso per revocazione e, in fase rescissoria, per la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, per il rigetto, degli appelli proposti da Roma Capitale.
2.? Resiste nel presente giudizio Roma Capitale, argomentando diffusamente le ragioni a fondamento dell’inammissibilità e dell’infondatezza dell’impugnazione proposta.
3.? All’udienza del 17 maggio 2018, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.? In termini generali va rammentato che una sentenza pronunciata in grado d’appello può essere impugnata per revocazione se “è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa” (art. 395, n. 4, c.p.c.). La disposizione suindicata chiarisce che questo errore vi è quando la decisione è fondata “sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”. In ogni caso può esservi errore di fatto revocatorio solo “se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
A questo riguardo la giurisprudenza ha precisato che l’errore di fatto revocatorio può essere configurato solo con riferimento all’attività compiuta dal giudice di lettura e di esame degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e al loro significato letterale, ma non può riguardare la successiva attività d’interpretazione e di valutazione del contenuto di tali atti e non ricorre, quindi, nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo semmai a un ipotetico errore di giudizio che non è censurabile mediante la revocazione che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore terzo grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 5 del 24 gennaio 2014; Sez. III, n. 5258 del 2015; Sez. VI, n. 2705 del 2016).
L’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione, deve, quindi:
a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;
b) attenere a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
L’errore di fatto che consente di mettere in discussione la decisione del giudice con il rimedio straordinario della revocazione ex art. 395 n. 4, c.p.c., non coinvolge, pertanto, l’attività valutativa dell’organo giudicante, ma tende a eliminare l’ostacolo materiale frapposto tra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo il quale promana da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio.
In altre parole, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà processuale, ossia in una svista l’obiettivamente e immediatamente rilevabile che abbia portato ad affermare o soltanto a supporre (purché tale supposizione non sia implicita, ma sia espressa e risulti dalla motivazione), l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 697 del 2014; più di recente, n. 2705 del 2016 e n. 2194 del 2017).
2.? Calando i princìpi su esposti nel caso di specie, il ricorso per revocazione in esame si appalesa inammissibile.
2.1.? La sentenza di cui si chiede la revocazione ha annullato le due sentenze del Tribunale amministrativo del Lazio ? che avevano accolto due ricorsi proposti dal signor Vi. To. avverso il diniego di condono edilizio (relativo ad un capannone sito in via (omissis)), il conseguente divieto di prosecuzione dell’attività di laboratorio di lavorazione ferro e alluminio ivi svolta, nonché avverso il successivo ordine di demolizione ? rilevando quanto segue:
– sull’interessato gravava l’onere di presentare, a corredo dell’istanza, oltre alla prova del versamento degli acconti dovuti in conto oblazione e oneri concessori, la dichiarazione ai sensi dell’art. 4 legge citata circa la consistenza e le caratteristiche dell’opera abusiva;
– nella fattispecie in esame la dichiarazione presentata descrive il manufatto come avente una superficie di 350 mq, in difformità da quanto attestato dalla allegata perizia giurata, che riferisce la consistenza di 527 mq;
– tale difformità tra la dichiarazione resa e le attestazioni provenienti dalla stessa parte interessata hanno impedito, già di per sé, il formarsi del silenzio assenso;
– a ciò va aggiunto che, come comunicato dal Comune nel preavviso di rigetto del 28 maggio 2008, al quale nessuna replica è seguita da parte dell’interessato, alla costruzione oggetto dell’istanza di condono si sono sommati nel tempo trasformazioni nella superficie e nel volume che hanno determinato la diversità dell’esistente rispetto all’immobile originario;
– una volta riscontrata la legittimità, sotto i profili considerati, del diniego di condono, la sanzione demolitoria costituisce conseguenza necessitata e sufficientemente motivata con il riferimento al permanente carattere abusivo dell’opera eseguita sine titulo, rispetto alla quale l’applicazione dell’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 si pone come atto dovuto.
Ebbene, la sentenza impugnata non è incorsa in sviste o errori nella percezione dei fatti di causa.
2.2.? Il profilo relativo alla infedeltà della dichiarazione di sanatoria ? che secondo il giudice di appello avrebbe impedito la conseguenziale formazione del silenzio-accoglimento ? attiene a un fatto che ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ha espressamente pronunciato. L’errore di fatto idoneo a costituire il vizio revocatorio, come si è detto, deve consistere in una svista, in un errore materiale, e non in un errore di valutazione o di scelta dei criteri interpretativi.
2.3.? Quanto alla non scrutinata eccezione di inammissibilità dell’appello per mancata impugnazione di alcuni capi della sentenza del T.a.r. n. 8215 del 2013, è dirimente osservare che l’omessa pronuncia da parte del giudice di appello su domande o eccezioni delle parti può integrare l’errore revocatorio soltanto se sia conseguente a un vizio di percezione del fatto processuale, e cioè a una svista del giudice il quale abbia affermato che non era stata proposta la domanda o l’eccezione, mentre dagli atti risulti la formulazione dell’una o dell’altra.
2.4.? Da ultimo, gli altri due motivi di revocazione (segnatamente: l’avere confuso la descrizione del manufatto con l’indicazione della superficie da condonare; l’affermazione contrariamente al vero che nel giudizio di primo grado sarebbe stata adottata un’unica ordinanza cautelare quando invece i provvedimenti cautelari erano stati quattro) hanno per oggetto elementi non decisivi della decisione da revocare, cosicché non è ravvisabile un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa.
4.? In questi termini, la domanda esorbita dai parametri, definiti dalla richiamata giurisprudenza, del rimedio revocatorio, per assumere piuttosto i profili di un nuovo ricorso di merito.
5.? Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione n. 5947 del 2015, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna il signor Vi. To. al pagamento delle spese di lite in favore della controparte costituita, che si liquidano in Euro 3.500,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Carbone – Presidente
Francesco Mele – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
Giordano Lamberti – Consigliere
Oswald Leitner – Consigliere

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