Quando si tratti della tutela spettante all’interesse legittimo – la retroattività dell’esecuzione del giudicato non possa essere intesa in senso assoluto

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Bene poi in sentenza viene posta in risalto la inammissibilità di una “retroattività (o retrodatazione, o retroazione)variabile dell’effetto abilitante, in relazione ai singoli casi e ai singoli occasionali interessi perseguiti”, il che, può aggiungersi, ove accadesse, contrasterebbe proprio con quei principi di certezza nei rapporti giuridici dei quali parte appellante sollecita l’osservanza nel sottolineare la penalizzazione, ingiusta e ingiustificata, sofferta – rispetto ad altri candidati della “tornata 2012” in posizione analoga -, dovuta al “fattore tempo”, in quanto legata al fatto oggettivo che per rivalutare la sua posizione il MIUR ha impiegato quasi dieci mesi mentre il TAR, nel “dispositivo sostanziale” della motivazione della sentenza del 2016, aveva disposto, quale obbligo di conformazione, il riesame della posizione della ricorrente entro sessanta giorni: ma a quest’ultimo riguardo, sui possibili rimedi risarcitori “da durata del procedimento” attivabili dall’appellante si dirà brevemente più avanti.

E’ innegabile poi che sussista una correlazione tra l’interesse all’ASN e alla partecipazione a procedure di chiamata riservate agli abilitati.

Tuttavia, non si tratta della stessa cosa, sicché, plausibilmente, nella sentenza impugnata si è ritenuto che l’interesse perseguito in concreto con il ricorso ex art. 112 del c.p.a. esulasse dall’ambito del “thema decidendum” che aveva formato oggetto di esame e valutazione da parte del TAR nel 2016.

Il MIUR, nell’adeguare la situazione di fatto e di diritto alle statuizioni della sentenza del 2016, dichiarando la ricorrente abilitata soltanto a decorrere dal 22 dicembre 2016 e fino al 22 dicembre 2022, non ha dunque eluso la decisione del TAR.

Con riferimento alle specifiche argomentazioni prodotte dall’appellante a sostegno della propria pretesa di emanare un atto aventi effetti ora per allora, ritiene inoltre la Sezione quanto segue.

In sede di esecuzione di una sentenza di annullamento, l’Amministrazione a volte deve e a volte può emanare un atto avente effetti ora per allora.

Ad esempio, quando si tratta di un concorso e uno dei vincitori sia stato escluso perché risultato in sede amministrativa privo di un requisito per la nomina (in realtà sussistente o non necessario, per la successiva sentenza di annullamento dell’esclusione), per basilari esigenze di parità di trattamento dei candidati l’Amministrazione deve attribuire ora per allora al vincitore in giudizio la medesima decorrenza giuridica della conseguente nomina, rispetto a quelle che hanno riguardato gli altri vincitori.

Altre volte, quando si tratti di colmare il’vuotò conseguente alla sentenza amministrativa che abbia annullato con effetti ex tunc un atto generale, l’Amministrazione ben può determinare ovvero applicare ora per allora il sopravvenuto provvedimento, quando sia stato annullato un provvedimento impositivo di prezzi, di tariffe o di aliquote (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 21 ottobre 1997, n. 1145 e, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. III, 26 ottobre 2016, n. 4487; § 21.2; Cons. St., sez. III, 7 marzo 2016, n. 927; Cass., Sez. Un., 1° ottobre 1982, n. 5030).

In generale, il giudice amministrativo – anche in sede di cognizione – può comunque determinare se, nel caso di fondatezza delle censure poste a base di una domanda di annullamento, sussistano i presupposti per applicare il principio generale per il quale l’atto illegittimo vada rimosso con effetti ex tunc, oppure vada rimosso con effetti ex nunc, ovvero l’atto stesso non vada rimosso, ma debba o possa essere sostituito, con un ulteriore provvedimento, a sua volta se del caso avente effetti ex nunc (cfr. Cons. Stato, Sez VI, 10 maggio 2011, n. 2755; Ad. Plen., 22 dicembre 2017, n. 13).

Anche in considerazione del principio di effettività della tutela del ricorrente vittorioso (richiamato dall’art. 1 del c.p.a.), in rapporto alla consistenza dei poteri comunque esercitabili dall’Amministrazione a seguito della rilevata illegittimità del suo provvedimento, il giudice amministrativo – con la sentenza di cognizione o d’ottemperanza – nell’esercizio dei propri poteri conformativi e se del caso di merito può determinare quale sia la regola più giusta, che regoli il caso concreto.

Tale ampio potere del giudice amministrativo deve però tenere conto della normativa applicabile nella materia in questione e non deve condurre a conseguenze incongrue o asistematiche.

Con riferimento al caso di specie, la legge ha previsto che l’abilitazione scientifica nazionale ha efficacia per sei anni.

Il provvedimento ministeriale ha natura costitutiva di uno status e consente che il titolare della abilitazione possa avvalersene per una durata temporale predeterminata dalla legge.

Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, non si può sostenere che “l’attribuzione della abilitazione a decorrere dalla data della nuova valutazione farebbe ricadere in suo danno i tempi del processo di cognizione e quelli della esecuzione del giudicato, con penalizzazione rispetto a chi ha partecipato alla medesima procedura”.

Infatti, al termine del rinnovato procedimento, il provvedimento attribuisce lo status di abilitato per l’intero periodo di sei anni, esattamente come avviene per i candidati risultati abilitati al termine dell’originario procedimento.

Al contrario, la decorrenza retroattiva della abilitazione – disposta al termine del rinnovato procedimento – comporterebbe che essa in sostanza avrebbe effetti per un periodo di tempo inferiore a quello di sei anni, previsto dalla legge, in contrasto col principio di tipicità dell’atto amministrativo e dei suoi effetti.

Non ha rilievo, nella specie, la circostanza di fatto che l’interessata – in pendenza del rinnovato procedimento che poi si è concluso per lei favorevolmente – ha ritenuto di partecipare ad una selezione (sperando di superarla), quando ancora era priva del relativo requisito di partecipazione (costituito proprio dalla abilitazione nazionale).

A parte il fatto che l’interessata ha posto a conoscenza il Ministero di tale circostanza (e cioè di tale partecipazione in assenza del requisito richiesto) undici giorni prima della scadenza del termine di presentazione della domanda (con impossibilità di definire il procedimento in tale limitatissimo tempo), vi è la netta diversità tra i due procedimenti.

Per quanto rileva nel presente giudizio, ritiene la Sezione che – allorquando occorra un titolo abilitativo per partecipare ad un concorso o ad una selezione – i tempi di definizione del procedimento riguardante l’abilitazione e i tempi e le vicende degli eventuali relativi contenziosi non possano avere alcuna attinenza rispetto all’esigenza che siano ammessi al concorso o alla selezione soltanto coloro che abbiano i requisiti alla data di scadenza delle relative domande.

Pertanto, la diversità del procedimento abilitativo rispetto a quello indetto dalla Università La Sapienza, nonché la possibilità per l’appellante di avvalersi della abilitazione conseguita nei successivi sei anni, inducono la Sezione a considerare non accoglibile la pretesa dell’appellante, di considerare giusta e consentita dal sistema una sentenza del giudice amministrativo che incida sugli effetti tipici dell’abilitazione, disciplinata dalla legge come atto costitutivo di un peculiare status per sei anni, solo dopo il suo conseguimento (non potendosi neppure concepire una retroattività condizionata dell’abilitazione, all’esito positivo del diverso procedimento di chiamata indetto dall’Università La Sapienza).

Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

Tenuto conto della mancanza di una difesa di merito del MIUR, della oggettiva controvertibilità delle questioni trattate e dell’andamento complessivo della vicenda, sussistono ragioni eccezionali per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 8004 del 2017, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del secondo grado del giudizio compensate.

Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 marzo 2018, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Vincenzo Lopilato – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere, Estensore

Giordano Lamberti – Consigliere

Italo Volpe – Consigliere

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