Quando si tratti della tutela spettante all’interesse legittimo – la retroattività dell’esecuzione del giudicato non possa essere intesa in senso assoluto

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Al riguardo il TAR, nel richiamare il dibattito sui limiti entro i quali può essere emanato un atto amministrativo aventi effetti retroattivi, ha sottolineato che l’effetto abilitativo, vale a dire il bene della vita domandato in sede giudiziale, non può che essere determinato dalla nuova valutazione del dicembre del 2016 e non può essere riferito ad una situazione di fatto preesistente, “sicché sarebbe illogico pensare a un’abilitazione operante in un tempo anteriore alla riedizione del giudizio valutativo (che non può equipararsi ad un mero atto di accertamento, stante, appunto, il suo carattere “valutativo”) che è l’atto a cui l’effetto favorevole va riferito “ex nunc; il giudicato di annullamento è certamente retroattivo, ma limitatamente all’effetto demolitario, essendo pacifico che l’annullamento giurisdizionale ha effetto “ex tunc” ma esso non può però estendersi, in via conformativa e interpretativa, al nuovo atto, quale espressione di un potere valutativo che, al momento dell’adozione della sentenza, non era stato ancora esercitato; in ogni caso non è evincibile dalla sentenza alcuna statuizione, neanche implicita, in ordine alla retroattività degli effetti della “futura” valutazione”.

Il TAR ha inoltre rilevato che – quando un interesse legittimo pretensivo è leso da un atto o dall’inerzia – è inevitabile il soddisfacimento ritardato dell’interesse fatto valere: “esula dai poteri del giudice dell’ottemperanza la possibilità di modulare gli effetti del successivo atto amministrativo riservato alla P.A., in funzione dell’interesse concreto del ricorrente, peraltro occasionato nelle specie da vicende del tutto estranee all’oggetto del giudicato”.

Infine, il TAR ha osservato che il retrodatare gli effetti della abilitazione scientifica nazionale “provocherebbe conseguenze irragionevoli, dal momento che in alcuni casi l’abilitazione conseguente alla sentenza sarebbe del tutto inutile, in quanto rilasciata in un momento in cui la durata massima legale della stessa, decorrente dal momento di “retrodatazione”, sarebbe ormai irrimediabilmente scaduta; tale rischio è invece certamente evitato dall’efficacia “ex nunc” della nuova valutazione, che consente nella specie alla ricorrente di poter beneficiare del titolo abilitativo per la sua intera durata, fino alla fine del 2022″.

L’interessata, con l’appello in esame, ha riproposto le deduzioni già formulate in primo grado ed ha rappresentato che:

– il Ministero – con atti di data 1° e 31 luglio 2016 – ha nominato la commissione per la rivalutazione dei candidati in esecuzione di sentenze concernenti altri candidati, ma non le ha trasmesso per tempo anche gli atti riguardanti la propria posizione;

– ella ha presentato in data 15 ottobre 2016 la domanda di partecipazione alla “procedura valutativa di chiamata” alla Sapienza, poiché possedeva tutti gli altri relativi requisiti per essere ammessa e confidava che avrebbe ottenuto in tempo anche la necessaria abilitazione in questione, sollecitata con la diffida del 4 ottobre 2016, volta ad ottenere la più rapida esecuzione della sentenza del TAR n. 1983/2016 (in tempo utile per presentare il requisito entro il termine di scadenza del 15 ottobre).

Nel riproporre le censure di primo grado, l’appellante ha dedotto che:

– l’attribuzione dell’ASN a decorrere dalla data della nuova valutazione farebbe ricadere in suo danno i tempi del processo di cognizione (un anno e sei mesi) e quelli (più di nove mesi, anziché i sessanta giorni fissati dal TAR con la sentenza n. 1983 del 2016) della esecuzione del giudicato, penalizzandola rispetto a chi ha partecipato alla medesima procedura ed ha conseguito tempestivamente l’abilitazione, dal momento che il giudizio deve attribuire alla parte vittoriosa l’utilità che le compete;

– la sentenza di primo grado avrebbe errato nel dubitare della ammissibilità dell’azione proposta;

– “il giudice dell’ottemperanza è il giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che dal quel giudicato trovano origine”;

– poiché sono stati a suo tempo annullati gli atti lesivi del suo interesse pretensivo, l’Amministrazione avrebbe dovuto riprovvedere “ora per allora”, in modo da consentire alla interessata di conseguire il bene della vita, poiché si deve adeguare, per quanto possibile, lo stato di fatto e di diritto alla situazione antecedente alla emanazione dell’atto annullato;

– la regola della retroattività del giudicato sarebbe un principio generale applicabile anche nel caso di lesione di interessi pretensivi, per evitare che la durata del processo vada a scapito della parte vittoriosa;

– sarebbe irrilevante l’assenza, nella pronuncia oggetto di esecuzione, di una statuizione esplicita sulla retroattività del giudicato;

– poiché l’interesse all’abilitazione è correlato all’ottenimento dell’incarico di professore, “il bene sostanziale della vita sotteso al ricorso avverso al diniego di abilitazione è senz’altro riconducibile anche a quello di poter partecipare, al pari degli altri soggetti abilitati nella medesima tornata (2012), alle chiamate ed ai concorsi per ricoprire effettivamente i posti di professore che vengono banditi dalle Università nel periodo di validità (2014-2020) che avrebbe dovuto avere il provvedimento illegittimamente pretermesso dal MIUR”;

– il procedimento di chiamata pendente presso l’Università La Sapienza non sarebbe al di fuori del thema decidendum, poiché il Ministero era stato edotto dell’indizione del distinto procedimento di chiamata undici giorni prima della scadenza del termine;

– la sentenza impugnata avrebbe errato nel considerare che la pretesa della interessata si porrebbe “in contrasto con il principio di parità di trattamento e con la normativa che predetermina una durata fissa ed inderogabile dell’abilitazione scientifica” e che – mediante la retrodatazione al febbraio 2014 – vi sarebbe l'”abnorme ampliamento della durata legale massima del titolo”, poiché la pretesa è quella di retrodatare l’abilitazione al 6 febbraio 2014, con computo da tale data del termine finale di efficacia di sei anni;

– non potrebbero esservi disparità di trattamento con gli altri candidati che hanno partecipato alla medesima tornata del 2012 e sono risultati vittoriosi davanti al TAR in altri giudizi.

Con l’appello, è infine chiesto che il Ministero sia condannato al pagamento, a titolo di astreinte, di una somma di denaro per ogni ulteriore ritardo nella esecuzione.

Il MIUR si è costituito in giudizio e si è limitato a chiedere il rigetto dell’appello.

Il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e vada respinto.

In linea di principio, si deve ritenere che – quando si tratti della tutela spettante all’interesse legittimo – la retroattività dell’esecuzione del giudicato non possa essere intesa in senso assoluto, ma vada ragionevolmente parametrata alla disciplina applicabile in materia, alle circostanze del caso concreto e alla natura dell’interesse coinvolto (Cons. Stato, Ad. plen. n. 11 del 2016).

Nella specie, in seguito alla sentenza di annullamento del TAR n. 1983 del 2016, pronunciata con salvezza dei provvedimenti ulteriori dell’Autorità amministrativa, sono indubbiamente rimasti spazi liberi valutativi in capo all’Amministrazione.

L’obbligo di conformazione risultava cioè circoscritto alla rivalutazione motivata della posizione della ricorrente, vittoriosa nel giudizio di cognizione, rivalutazione che avrebbe potuto condurre, eventualmente, anche a un risultato sfavorevole alla candidata.

Il Collegio ritiene perciò corretta e da condividere la statuizione della sentenza impugnata con la quale, tenuto conto anche del “carattere valutativo”, e non di “mero accertamento”, del giudizio riformulato, l’effetto abilitativo scientifico viene collegato al momento della rivalutazione operata, con conseguente legittimità dell’atto che ha dichiarato l’abilitazione con effetti ex nunc, anziché, come preteso dalla ricorrente, ex tunc.

Ad avviso del Collegio, la sentenza appellata ha correttamente ritenuto infondata la pretesa della ricorrente di ottenere, dal giudice amministrativo, una pronuncia che avrebbe comportato una statuizione sostanzialmente “manipolativa sul piano temporale” degli effetti della abilitazione, individuati legittimamente dal MIUR con la decorrenza dalla data della pubblicazione della nuova, favorevole, valutazione (22 dicembre 2016).

In mancanza di statuizioni ulteriori, specifiche e puntuali, assenti, nel caso in esame, nella sentenza n. 1983 del 2016, il riferimento, inserito nella decisione di cognizione, alla rivalutazione discrezionale da compiersi entro il termine (ordinatorio) di sessanta giorni, non basta per considerare violato o comunque eluso il giudicato, ove la rivalutazione, favorevole, sia stata effettuata in concreto oltre il termine suddetto.

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