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In proposito, va rilevato che nel sistema del processo amministrativo non esiste una norma, espressa o di principio, la quale attribuisca alla parte un diritto ad ottenere senz’altro il rinvio della discussione del ricorso.
La parte stessa interessata ad ottenere un differimento ha senz’altro la facoltà di rappresentare le ragioni che a suo avviso lo giustificano, ma la decisione finale in proposito spetta comunque al Giudice, stante la particolare natura del processo amministrativo, che da un lato in linea generale è regolato dal principio dispositivo; dall’altro lato, però, è volto a tutelare tanto interessi privati quanto interessi pubblici.
Di conseguenza, il rinvio della decisione non può conseguire a una mera scelta di parte, ma deve trovare un fondamento giuridico in gravi ragioni, che, se non fossero tenute in considerazione, andrebbero a pregiudicare interessi di pari rango, ovvero in primo luogo il diritto di difesa costituzionalmente garantito (in tal senso, fra le molte, C.d.S., sez. IV, 29 dicembre 2014, n. 6414, e 21 maggio 2004, n. 3326).
Nel caso di specie, l’istanza di rinvio, conseguente oltretutto ad un primo rinvio già accordato, è stata motivata con l’opportunità di attendere una decisione del Comune sulla domanda di sanatoria dell’abuso, ovvero con riferimento ad una vicenda che è estranea a questo processo, e lo potrebbe influenzare solo a favore della parte istante.
E’ evidente infatti che la reiezione dell’appello, e del ricorso di primo grado, non impedirebbe in alcun modo di rilasciare la sanatoria, ove ve ne siano i presupposti, e che l’accoglimento dell’appello stesso non potrebbe che giovare, rendendo la sanatoria inutile.
Non vi è quindi alcun pregiudizio ai diritti della difesa che dal mancato rinvio possa derivare.
2. Ciò posto, i motivi di ricorso dedotti nei due distinti appelli n. 4049 e 4050 del 2015, come esposto in narrativa, sono di identico contenuto, e quindi possono essere esaminati congiuntamente.
In tali termini, gli appelli in questione sono solo parzialmente fondati, per le ragioni di seguito precisate.
3. Il primo motivo, incentrato sulla prospettata non necessità del permesso di costruire per le opere in questione, è infondato.
Va anzitutto premesso che ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera a), del T.U. 6 giugno 2001, n. 380, sono subordinati al rilascio del permesso di costruire in generale tutti gli “interventi di nuova costruzione”.
Per la giurisprudenza, sono tali tutti gli interventi che si sostanziano nella costruzione di nuovi manufatti non riconducibili ai casi in cui, sempre in base al T.U., è previsto in modo espresso che sia sufficiente un titolo edilizio minore, e che siano volti a soddisfare esigenze non meramente temporanee dell’interessato (per tutte, C.d.S., sez. V, 12 luglio 2017, n. 3435, e sez. VI, 22 ottobre 2008, n. 5191).
Nel caso di specie, tanto le opere oggetto del ricorso n. 4049, quanto quelle oggetto del ricorso n. 4050 presentano le caratteristiche di opere durature, oltretutto di consistenza tutt’altro che modesta, dato che, come detto in premesse, sono state realizzate per soddisfare alle esigenze di approvvigionamento di acqua potabile di alcune utenze.
Le opere in questione vanno poi viste come unitarie, senza che sia possibile distinguere fra il serbatoio di cui constano e le opere ad esso accessorie.
Ciò vale anzitutto per la recinzione che protegge i serbatoi stessi, realizzata comunque con strutture di particolare impatto, che eccedono le caratteristiche di una recinzione leggera (per la quale, ove isolatamente considerata, si può porre la questione della sufficienza di un titolo edilizio minore: C.d.S., sez. VI, 4 gennaio 2010, n. 10).
Lo stesso vale anche per i movimenti di terreno descritti nell’ordinanza, che non si limitano ad una ripulitura fine a sé stessa, ma in base alla semplice descrizione dei terrazzamenti, che ne sono il risultato, costituiscono parte integrante della realizzazione dei serbatoi in questione.
Va poi rilevato che, a prescindere dalle loro caratteristiche costruttive, le opere in questione si trovano in zona assoggettata a vincolo ambientale, il che, ove realizzate senza titolo, ne comporta comunque la demolizione ai sensi dell’art. 167, comma 5, del codice n. 42/2004, che non ne consente la sanatoria.

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